Gianni Rinaldini 20.06.2012
Alla vigilia di un probabile voto di fiducia sul disegno di legge sul
mercato del lavoro, ovvero su precarietà, art. 18 e ammortizzatori
sociali, la Cgil ha deciso di considerare conclusa questa fase e
cambiare pagina per favorire le iniziative unitarie fino ad arrivare a
un ipotetico sciopero generale unitario in autunno dai contenuti
indefiniti. È stata così cancellata la decisione del precedente comitato
direttivo che aveva proclamato 16 ore di sciopero, 8 ore a livello
territoriale e 8 ore per lo sciopero generale, contro il ddl sul mercato
del lavoro e per riaprire la questione previdenziale.
La segreteria
ha gestito quel mandato in modo tale da evitare l'apertura di un
conflitto con il governo nel corso dei lavori del Senato, fino alla
paradossale decisione alla vigilia dell'atto parlamentare conclusivo di
mettere a disposizione le 8 ore di sciopero per le future iniziative
unitarie, di cui non si conoscono i contenuti. Nel frattempo il ddl è
stato ulteriormente peggiorato. Un vero e proprio ribaltamento, che
svela una totale mancanza di trasparenza nei confronti delle lavoratrici
e dei lavoratori che hanno scioperato e manifestato nel corso di queste
settimane, senza che il gruppo dirigente della Cgil avesse il pudore di
dire esplicitamente che stava operando in tutt'altra direzione, a
partire dal comunicato della segreteria che considerava positiva la
soluzione del nuovo art. 14 che cancella di fatto l'art. 18.
Per
questa ragione come Coordinatore dell'area di minoranza ho annunciato la
nostra non partecipazione al voto del direttivo perché non è
accettabile che l'organizzazione venga gestita in violazione delle più
elementari regole democratiche. Se queste erano le intenzioni, il gruppo
dirigente aveva il dovere di esplicitarle convocando il direttivo in
tempi utili per confermare o disdire lo sciopero generale della Cgil e
non convocarlo alla vigilia dell'ultimo passaggio parlamentare. Questa
deriva nella vita interna della Cgil è l'ultimo atto in ordine di tempo
di una gestione dell'organizzazione sconosciuta nella mia lunga
esperienza sindacale. Una gestione dove si sostituisce l'autoritarismo
all'autorevolezza di un gruppo dirigente.
Vengono ridotti, in alcuni
casi annullati, gli spazi democratici di confronto e di discussione con
la pratica di accordi sottoscritti dalla segreteria e il pronunciamento
successivo del direttivo che assume ogni volta il significato del voto
di fiducia al segretario generale, pensando così di mettere a tacere la
dialettica interna, che esiste nella organizzazione, e che va ben oltre
il rapporto congressuale maggioranza e minoranza. La stessa
consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori, quando si realizza
come sull'accordo del 28 giugno, non ha alcuna possibilità di
svolgimento e verifica democratica, correndo il rischio di svilire lo
strumento della democrazia.
Resta il fatto che in questi mesi il
governo ha utilizzato la crisi per ridisegnare l'intero assetto sociale
del nostro paese: sistema previdenziale, precarietà, art. 18 e tutela
nel lavoro e ammortizzatori sociali, nell'assenza di una reale
iniziativa di contrasto da parte della Cgil, a differenza di ciò che
accade negli altri paesi europei. La mobilitazione cresciuta negli
ultimi mesi, anche in previsione dello sciopero generale annunciato, è
stata smontata in primo luogo dalla stessa Cgil, gli stessi scioperi da
proclamare localmente si sono svolti soltanto in alcuni territori,
isolando nella pratica l'iniziativa e la generosità dei metalmeccanici.
In questo modo si è consegnato alla mediazione tra le forze politiche la
definizione di questioni sociali che avranno un effetto devastante
sulla condizione di lavoro e di vita di milioni di lavoratori, precari e
pensionati.
I rapporti unitari, per essere ricostruiti, devono
svilupparsi in assoluta chiarezza delle reciproche posizioni. Affermare
che non è possibile proclamare lo sciopero generale come Cgil perché in
questo modo non si favorisce la crescita dei rapporti unitari,
ovviamente su altre questioni, e non su quelle che ho prima richiamato,
significa associare alla subalternità alle forze politiche, la
subalternità alle altre organizzazioni sindacali. Un vero capolavoro.
Infine,
il documento finale del direttivo nazionale richiama l'importanza della
manifestazione unitaria del 2 luglio in Campania, mentre negli
stabilimenti Fiat le lavoratrici e i lavoratori iscritti alla Fiom-Cgil
non vengono assunti a Pomigliano. Esiste un problema democratico non
eludibile che va ben oltre l'accordo del 28 giugno 2011, e riguarda il
ripristino di elementari diritti fondamentali, come il fatto che una
organizzazione sindacale non può essere espulsa dagli stabilimenti.
Questo
è un aspetto preliminare nel rapporto con Cisl e Uil che non può essere
condizionato ad alcun altro aspetto di natura contrattuale e/o di
accordi sindacali perché riguarda la democrazia nel nostro paese, e
qualsiasi cedimento su questo versante assume il significato della
collusione. La crisi della rappresentanza politica non è cosa diversa
dalla crisi della rappresentanza sociale. Non aprire un confronto a
tutto campo che abbia la valenza di un congresso straordinario temo che
preluda a una deriva preoccupante della Cgil, della funzione e del ruolo
delle organizzazioni sindacali. Tutto ciò avviene mentre il disagio
sociale cresce paurosamente con un impasto di rabbia, frustrazione e
rassegnazione che non trovano oggi alcuna rappresentanza portatrice di
un segnale di speranza per il futuro. Quella che viene chiamata
antipolitica fa parte dell'umore popolare di cui anche noi portiamo
responsabilità. È da qui che dovrebbe partire la discussione.
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