Devo fare un’autocritica. Fino a qualche giorno fa ero convinto che la Germania fosse in pieno dibattito politico interno, lacerata dal dilemma se aiutare il resto dell’Europa a uscire dalla crisi, o farsi i fatti propri. Adesso so che non è così. Non c’è alcun dilemma. La Germania è unita nella sua ferma determinazione di essere la guida dell’Europa. Non un primus inter pares, ma un primus punto e basta. E questo consente di vedere molte cose sotto un’altra prospettiva. Ma prima di tutto devo spiegare che la mia conversione è avvenuta non sulla via di Damasco ma su quella di Lussemburgo, dopo aver ascoltato in rapida successione tedeschi e lussemburghesi (che è come dire tedeschi e tedeschi al quadrato) ribadire che l’Europa che abbiamo è questa; che di altre Europe non c’è bisogno, e che altre Europe non sono all’orizzonte e non ci saranno.
Il tutto è avvenuto nella sede dell’Unione Europea di Lussemburgo, in un convegno che è stato aperto da due prolusioni – per la verità di tutt’altro tenore – i cui autori erano Mikhail Gorbaciov e Michel Rocard. I due anziani oratori hanno portato duplici valutazioni critiche dell’assetto mondiale ed europeo. Ma è stato un prologo che non ha avuto seguito. Dopo di loro è arrivata la commissaria della nuova internazionale brussellese, Viviane Reding, che ha messo tutti i puntini sulle “i”, rispondendo, fredda come il diamante, a Gorbaciov (che aveva osato parlare di coinvolgere la Russia) che l’Europa va dall’Atlantico (inclusa la sponda occidentale, s’intende), fino alla frontiera ucraina. Non un centimetro più in là. A Rocard – che aveva osato invitare a smettere di pensare che il mercato sia in grado di autoregolarsi e che gli equilibri che esso raggiunge siano automaticamente quelli giusti – la Reding ha risposto ribadendo che lacostruzione europea non prevede l’uscita dai dogmi della nuova internazionale del denaro.
Al più – ha detto – si potrà concedere qualche ritocco della costruzione istituzionale europea, del tipo che il Presidente della Commissione dovrebbe essere anche, simultaneamente, il Presidente del Consiglio; del tipo che sarà il Parlamento Europeo a eleggere la Commissione Europea; del tipo che il Parlamento Europeo dovrà essere il detentore dell’iniziativa legislativa. Ma poi è cominciata l’offensiva tedesca. A tutto campo. Nel senso che destra conservatrice e socialdemocrazia sono apparse davvero le due ali destre della attuale Germania. E i calibri che hanno parlato non erano quelli dei fucili a pallini. Per Theo Weigel, ex ministro delle finanze, non c’è nessunacrisi dell’euro. Semmai c’è una crisi del debito, ma l’euro è sano come un pesce. Per Karsten Voigt (altro socialdemocratico) la Germania ha il compito di rieducare l’Europa alla stabilità, perché erogare denaro in attesa di modifiche strutturali nei comportamenti degli europei indisciplinati significa attendere per sempre modifiche strutturali che non arriveranno mai.
Per Lothar Ruehl (ex segretario di Stato e professore all’Università di Colonia) la Germania non potrà mai accettare, a termini di Costituzione, una riduzione della propria sovranità nazionale su questioni di bilancio e di gestione della propria politica economica e sociale. Che è come affermare che noi dobbiamo modificare la nostra Costituzione (per esempio introducendo il pareggio in bilancio, cosa che abbiamo fatto), mentre loro hanno una Costituzione che vale di più della nostra. Ed è toccato sempre a Lothar Ruehl il compito – che ha svolto con grande entusiasmo – di spiegare al folto uditorio che gremiva il palazzo che la Germania già soffre di una sotto-rappresentazione in Europae che chiederle di riformare radicalmente le istituzioni europee in un senso più prossimo ai criteri della proporzionalità (una testa un voto) sarebbe considerato inaccettabile per i paesi maggiori (Germania, Francia, Inghilterra) e dunque è una idea che deve rimanere fuori dalla discussione.
Gli altri oratori tedeschi si sono divisi i compiti di dichiarare – confesso la mia ulteriore sorpresa – che il ruolo della Nato non sarà ridimensionato in alcun caso; che è inutile crearsi fastidi nei confronti della riva sud del Mediterraneo, visto che – come ha spiegato il banchiere Horst Mahr – «nessun privato investirà un solo centesimo là dove si fanno le rivoluzioni». E altrettanto sciocco sarebbe pensare di gettare in quei gorghi denaro pubblico, «perché sarebbero comunque i contribuenti già oberati dai debiti a dover pagare le perdite». Dunque, tirando le somme, la Germania pensa all’Europa come a una sua colonia. Quanto al resto del mondo l’atteggiamento, paradossalmente, sembra quello di una specie di impossibile, austera autarchia, a base di esportazione di Mercedes, Volkswagen, Bmw.
C’è da chiedersi in che mondo viva questa Germania, che non si sa se sia quella dei tedeschi, come popolazione, o quella di una classe politica e imprenditoriale che non è più capace di “leggere” nemmeno il proprio paese, non parliamo dell’Europa, e caliamo una coltre di silenziosa pietà sul resto del mondo. Perché basterebbe porre alla signora Merkel una domanda: si è chiesta, Angela, come la Germania, e l’Europa, potrà reggere di fronte a una Cina che presto avrà, da sola, il 20% della produzione industriale mondiale? Ecco forse perché arrivano i Piraten a sconvolgere il quadro, come è arrivata Syriza in Grecia, come Marine Le Pen e Melenchon in Francia, come Beppe Grillo in Italia. E come è già accaduto in Finlandia, in Olanda, in Irlanda.
Il patto sociale europeo viene bombardato ogni giorno dalle portaerei della finanzamondiale; i ceti medi affondano in una inattesa proletarizzazione; i partiti tradizionali, che si erano assunti il ruolo di garantire l’equilibrio, si rivelano invisibili o si arrendono al più forte, che li ha già comprati. Il terremoto è già cominciato e i proprietari universali sembrano ignorarlo. Poiché non possono non averlo sentito, anche loro, non resta che una conclusione: che si preparano a gestire uno scontro violento e prolungato, a colpi di bastone. Si preparano a fare scorrere del sangue.
Nessun commento:
Posta un commento