Proposte alternative e la questione del “come fare” per movimenti, sindacati, associazioni, intellettuali e partiti al Forum organizzato da Sbilanciamoci! e il manifesto.
Centocinquanta persone provenienti da
differenti Paesi di tutto il Continente hanno partecipato giovedì 28
giugno a Bruxelles, in un’aula del Parlamento Europeo, al Forum
“Another Road for Europe” (in appendice l’elenco delle realtà
presenti). Data e luogo scelti non a caso: il giorno d’avvio del
decisivo vertice del Consiglio d’Europa, a meno di trecento metri
dall’edificio dove sono in riunione i Capi di governo degli stati
dell’Unione per discutere di crisi dell’Eurozona.
Il Forum, nato dall’omonimo appello e
introdotto dagli interventi dei promotori Rossana Rossanda e Mario
Pianta, ha visto un confronto a tutto campo tra economisti, sociologi
e politologi insieme ad esponenti dei movimenti sociali, delle
organizzazioni sindacali, della società civile, con partiti e
parlamentari europei (Verdi e Sinistra, ma anche Socialisti e
democratici, compreso qualche nostrano PD). E’ impossibile dare qui
conto per intero della ricchezza della discussione, prolungatasi per
quasi dieci ore, ma cercheremo di segnalarne gli spunti più
significativi.
DOMARE LA FINANZA
Il Forum si è articolato in tre
sessioni di lavoro. La prima, dedicata a moneta unica, mercati
finanziari, debito e politiche fiscali, è stata introdotta da Trevor
Evans (della rete di economisti che redigono periodicamente il
rapporto Euromemorandum) con un intervento che ha denunciato la
condizione di “democrazia sospesa” a fronte dello strapotere
della finanza e sottolineato come il dibattito ufficiale sia
condizionato a monte da un’ “analisi fuorviante del problema”,
in cui viene rimosso come l’origine della crisi del debito sovrano
europeo sia da collocare nella crisi dei mutui statunitensi del
biennio 2007-2008. Le banche europee sono state “affogate dai
sub-prime” che avevano cartolarizzato, gli Stati europei sono corsi
in loro soccorso facendo lievitare il debito pubblico e le minori
entrate fiscali, in conseguenza della recessione di produzione e
consumi, hanno fatto il resto.
A partire da questa lettura, Evans ha
presentato una serie di proposte, poi in parte riprese e sintetizzate
nel comunicato finale, tra le quali l’introduzione della settimana
lavorativa di trenta ore, strumenti di “controllo sociale delle
multinazionali” (l’attenzione critica è stata soprattutto
puntata sulle centrali finanziarie – ha sostenuto – ma gli attori
principali, anche delle dinamiche speculative, sono prevalentemente
le grandi corporation), la ridefinizione della “posizione
dell’Unione Europea nel mondo”, in particolare nel rapporto con
il suo Sud, e la riduzione del consumo delle materie prime, anche per
tagliare le emissioni di gas serra.
Ne è seguito un dibattito ampio: per
Antonio Tricarico (re:common) bisogna capire “come riappropriarsi a
livello europeo della finanza pubblica e sganciarla dalla
speculazione finanziaria privata”, ad esempio – ha suggerito –
rilanciando il ruolo delle banche d’investimento pubbliche, oggi
dipendenti dal mercato finanziario. Per Jorgos Vassilikos, con il
controllo dell’Eurogruppo, cioè della riunione dei ministri
economici, sui bilanci nazionali si avvera il “sogno
antidemocratico” descritto dal rapporto della Trilateral del 1975.
Mentre sono impressionanti le cifre fornite da Andrea Banares
(Fondazione Responsabilità Etica): il debito pubblico italiano
corrisponde a meno dell’un per cento delle migliaia di miliardi di
dollari in prodotti derivati, controllati dalle quattro più
importanti banche d’affari di Wall Street. E solo in Italia il peso
dei derivati è cresciuto negli ultimi vent’anni del 642 %,
venticinque volte più del Pil. E’ la temporalità dei mercati
finanziari, e della loro crisi in rapporto a quella della politica a
risultare drammaticamente asimmetrica: per Banares, con la
risoluzione del Parlamento Europeo a favore dell’introduzione della
Tobin Tax, ovvero della tassazione delle transazioni finanziarie
(TTF), si apre “uno spiraglio”, ma ci sono voluti vent’anni di
campagne (e la portata della crisi) per arrivare a questa decisione
politica, peraltro non ancora esecutiva, mentre bastano pochi
millesimi di secondo per una decisione finanziaria dagli “effetti
nocivi” devastanti.
Problematico, a mio avviso,
l’intervento di Klaus Suehl (Rosa Luxemburg Stiftung): la sua
insistenza, al ritorno da un viaggio ad Atene, sulla “necessaria
solidarietà” da portare ai “popoli vittime della crisi” non
può essere considerato solo un retaggio da cultura terzomondista
anni Sessanta, ma è molto più rilevatore di un atteggiamento
diffuso nella sinistra tedesca, che rischia di inibire invece la
ricerca di una pratica sociale e politica comune del comune spazio
europeo.
Sono seguiti gli interventi dei
parlamentari europei: il ritorno rispetto alle questioni poste, e
riassumibili nell’urgenza di stabilire forme di controllo sociale e
democratico sulle dinamiche dei mercati finanziari, è stato senza
alcun dubbio positivo, ma è difficile nascondere la sorpresa per il
fatto che pure gli eurodeputati del Partito Democratico italiano, con
alcuni tratti di involontaria comicità, quando “giocano in
trasferta” appaiano quasi “estremisti”, dimentichi del sostegno
generosamente offerto al Governo Monti e alle sue politiche.
A chiudere la sessione poche, ficcanti
parole di Rossana Rossanda: a ricordare, dopo gli interventi di
esponenti della CES (la Confederazione europea dei sindacati), come
di fronte al quadro descritto non solo nessuno immagini l’indizione
di uno sciopero generale continentale, ma addirittura i sindacati in
Europa non si facciano “neppure una telefonata fra di loro”.
Certo, le organizzazioni sindacali – ha aggiunto – non hanno più
“alcun effettivo potere, ma sono troppo tranquilli per questo”.
Insomma, la sinistra che lei ha conosciuto è stata sconfitta, negli
ultimi trent’anni in Europa, ma “almeno, cominciate a parlarvi
tra di voi.”
EVITARE UNA GRANDE DEPRESSIONE
La seconda sessione, in mattinata, si è
occupata di “green new deal”, occupazione, conversione ecologica
e beni comuni. Introdotta da Danny Lang (rete degli Economistes
atterrés) intorno all’interrogativo su come “migliorare lavoro e
welfare, senza tornare all’impossibile riproposizione del vecchio
modello industrialista”, la relazione di Pascal Petit (Université
Paris XIII) ha preso le mosse dalla constatazione che la stessa
agenda politica neoliberista è diventata “ostaggio della finanza,
controproducente rispetto ai suoi stessi fini”, insomma è andata
“troppo in là”, trovandosi incastrata nella sua stessa “trappola
ideologica”. Tutti i suoi paesi modello, di diversi modelli
comunque sotto il segno del neoliberismo trionfante, sono in crisi,
anche quando la nascondono: vale per gli Stati Uniti, così come per
Germania e Gran Bretagna. E servono certo strumenti giuridici più
avanzati per mettere a nudo e contenere gli effetti delle “debolezze”
del sistema finanziario, ma non guasta anche il ricorso al “caro
vecchio sistema del boicottaggio” di banche e istituzioni
finanziarie. Questo per arrivare a rivedere e rafforzare le basi
fondamentali dei servizi pubblici, anche a livello locale, molto
erose negli ultimi vent’anni.
Ricchi di proposte, anche pratiche, per
un rilancio in chiave ecologica e sociale dell’economia, gli
interventi di Etienne Lebeau (Joint Social Conference), Giulio Marcon
(sbilanciamoci!), Thomas Coutrot (Attac France) e Michele De Palma
(FIOM). Quest’ultimo, in particolare, ha ricordato come oggi
l’esercizio stesso della contrattazione sia impossibile per milioni
di lavoratrici e lavoratori in Europa e come manchi un autentico
sindacato europeo, una “coalizione di lavoratori” in grado di
imporre un contratto continentale unico, incardinato su minimi
salariali, limiti all’orario, diritti e superamento della
precarietà. Per De Palma non basta discutere che cosa fa la finanza,
ma è necessario interrogarsi su “quale crescita”, ragionare
sull’intero processo produttivo, impedendo che la responsabilità
per produzioni inquinanti e nocive sia scaricata, col ricatto, sui
lavoratori. Allo stesso modo è indispensabile introdurre un reddito
garantito per le giovani generazioni, per evitare che su di esse
possa esercitarsi il ricatto della disoccupazione: uno strumento per
“ricostruire autonomia, da Marchionne come dalla Lehman Brothers”.
Per l’economista Mariana Mazzucato
(Open University, GB), bisogna “provocare i sindacati”, la loro è
una strategia tutta difensiva e l’offensiva è ancora debole.
Eppure servirebbe per porre con forza una grande questione
redistributiva della ricchezza, “non solo per costruire un nuovo
welfare, ma per andare a prendersi le risorse là dove si produce
effettivamente valore.” E più risorse pubbliche andrebbero
indirizzare proprio per investire nella ricerca delle tecnologie
verdi.
Sian Jones (European Anti-Poverty
Network) ha sottolineato la paradossale scarsa attenzione che viene
dedicata, nel tempo della crisi, alle politiche di welfare: “l’agenda
sociale europea sembra essere sparita”. E invece nuovi servizi
sociali di protezione dovrebbero essere coniugati con le campagne
contro razzismo e discriminazione. Ed è il momento giusto per
pretendere una Direttiva dell’Unione Europea che disciplini livelli
comuni ed universali di “reddito minimo”.
Il contributo dell’attivista bulgara
Mariya Ivancheva (European Alternatives) ha riportato l’attenzione
sul tema dei beni comuni. Ci sono lotte di cui poco si sa a livello
continentale: proprio in una Bulgaria apparentemente pacificata,
migliaia di persone si sono negli ultimi mesi mobilitate contro la
politica silvicola dell’Unione Europea, che serve ad avallare la
sistematica distruzione di migliaia di ettari di foreste nei Balcani.
Tommaso Fattori (Forum dei movimenti per l’acqua) ha insistito su
come il conflitto intorno ai “commons” stia al centro in Europa
della battaglia per il “recupero dal basso di sovranità da parte
di cittadini”. Per Jason Nardi (Social Watch), infine, bisogna
de-industrializzare la produzione agricola, cancellarne il
sovvenzionamento per incentivare gli investimenti veri, contribuire
alla riduzione dei consumi, con scelte da “imporre anche in modo
proattivo”.
Il giro di tavolo dei rappresentanti
istituzionali è stato aperto da uno Stefano Fassina (PD) molto più
prudente e “governativo” di chi lo aveva preceduto, ma che di
fronte alla crescita innegabile dei divari sociali ha sottolineato il
bisogno di “alleggerire la pressione fiscale sui cittadini
lavoratori”, altrimenti si rischia nel breve termine il “rifiuto
dell’Europa”. Dopo Marisa Matias (parlamentare portoghese della
GUE), ha preso la parola Nichi Vendola che, in un’ottica politica,
ha segnalato come tra crisi della sinistra, cioè “crisi di un
punto di vista autonomo” sul mondo, e crisi dell’Europa, cioè di
un “modello di incivilimento che aveva stabilito un rapporto
culturale e costituzionale tra lavoro e libertà”, vi sia uno
strettissimo rapporto. Tanto che “rinnovamento della sinistra e
costruzione europea” stanno sul medesimo terreno. In qualità di
amministratore locale, ha denunciato i paradossi del Patto di
stabilità, che impedisce di spendere “per reagire alla crisi” le
risorse virtuosamente accumulate; quello della difficoltà a
difendersi dalla speculazione finanziaria, per cui la Regione Puglia
è stata forse l’unico ente locale a riuscire a rinegoziare il
proprio debito in derivati con un colosso come Merrill Lynch, ma il
comune cittadino cliente di una banca non viene mai informato dei
rischi che corrono i suoi risparmi investiti; quello infine del
potere e della decisione democratica: “quanto conto io in realtà?”
si è chiesto, se sono eletto da un milione di cittadini ma mi viene
imposta la privatizzazione forzata di beni comuni quali l’acqua e
l’energia.
UN’EUROPA DEMOCRATICA
La sessione pomeridiana, e conclusiva,
è stata dedicata alla partecipazione e ai processi reali di
“decision making” a livello continentale. Monica Frassoni
(copresidente dei Verdi europei) non si è limitata a denunciare lo
storico deficit democratico delle istituzioni comunitarie e lo
“squilibrio di poteri” nel rapporto di governance tra i loro
stessi organismi con la triangolazione tra Parlamento, Commissione e
Consiglio, in rigoroso ordine crescente di peso effettivo. Ma ha
segnalato anche i rischi connessi ad un “permanente andare avanti e
indietro” nella costruzione europea.
Rossana Rossanda si è domandata perché
i popoli europei non credano nell’Europa, e la vocazione europeista
sia rimasta una cultura politica d’élite, proprio nel continente
che aveva inventato la democrazia come “forma di distribuzione del
potere in una società”. La risposta sta nel vizio d’origine
degli accordi di Maastricht del 1992, quando la comunità è stata
fondata su un elemento estraneo alla politica, cioè l’economia. E,
all’interno di questa, sull’elemento più astratto, cioè la
moneta. La rappresentatività di chi governa realmente in Europa è
quella delle forze economiche dominanti, perché si è passati dal
“rapporto tra sovrano e popolo a quello tra forze economiche e
forze politiche”, con le seconde al diretto servizio delle prime.
Perciò la sfida dovrebbe consistere nella costruzione di un potere
politico che sia, in chiave contemporanea, almeno all’altezza della
settecentesca “divisione dei poteri” e dell’ottocentesco
riconoscimento dei “diritti del lavoro”.
Susan George ha puntato in particolare
la sua attenzione sul documento Van Rompuy-Draghi-Barroso-Juncker, in
queste ore in discussione al Consiglio: un “manifesto
antidemocratico” che consegna poteri enormi ad autorità non elette
da nessuno, che procede “rapidamente” su una strada che deve
essere bloccata dall’ “unità di un fronte del rifiuto”. E di
fronte al quale non abbiamo tanto tempo.
E’ seguito un nutritissimo dibattito
tra i cui contributi “dal basso” segnalo qui, al volo per ragioni
di spazio, quelli di Hilary Wainwright (rivista Red Pepper), Pier
Virgilio Diastoli (European Movement e Permanent Forum Civil
Society), Pierre Jonckheer (presidente della Green European
Foundation), Fabienne Orsi (Attac France), gli indignados di
Barcellona Daniel Seco e Sergi Diaz, Raffaella Bolini (Arci), Walter
Meier (Transform) e Roberto Musacchio (Altramente), tutti con accenti
diversi orientati all’importanza di un processo costituente di uno
spazio democratico europeo, a partire da un’idea non formale ma
conflittuale di democrazia. Tra di essi particolare forza ha avuto il
contributo di Lorenzo Marsili (European Alternatives) nel richiamare
alla necessità di “fare politica a livello europeo”. Dopo aver
citato i casi in cui ciò non è avvenuto, dallo sciopero generale
continentale contro le politiche di austerity, alla difesa della
Grecia dall’attacco subito e in corso, fino al rifiuto del fiscal
compact – e non a caso il cruciale vertice del Consiglio europeo
non ha visto contrapporsi alcuna visibile forma di protesta –
Marsili ha indicato nell’esigenza che i partiti “cedano
sovranità”, verticale e orizzontale; nell’elaborazione di una
vera e propria “strategia politica” comune a livello
continentale; nella costruzione di un programma di movimenti e
società civile in vista del voto europeo del 2014, gli obiettivi
minimi di questa fase.
La stessa Rossanda, in chiusura, è
tornata sulla preferenza per un’ “ipotesi costituente
transnazionale”, perché è la portata del cambiamento in atto a
richiederla; mentre Mario Pianta ha indicato le tappe successive di
un “lavoro congiunto” che qui ha avuto inizio.
MA … CONCLUSIONI PROVVISORIE
Credo che la discussione di Bruxelles
abbia fatto compiere a tutti i suoi partecipanti un significativo
passo in avanti. Le molto ragionevoli misure keynesiane di governo
della finanza e di stimolo ad uno sviluppo non distruttivo e
sostenibile, che qui sono state illustrate e che in parte sono
recepite dal comunicato finale (riprodotto qui sotto), iniziano
infatti a descrivere i contorni di una proposta di alternativa
larga, immediatamente collocata sul terreno sociale ed ecologico.
Questa proposta può davvero essere considerata patrimonio comune e
condiviso delle differenti esperienze che qui si sono ritrovate.
Ma non si può fare a meno di sentirsi
in sintonia con le realistiche “sgradevoli” considerazioni di
Rossanda. Bisogna imparare tutti a dirsi la verità. E soprattutto le
verità scomode. Realizzare anche solo un decimo dei ragionevoli
obiettivi indicati dal Forum implicherebbe ed implica un drastico
rovesciamento dei rapporti di forza, sociali e politici, dati.
Insomma, per dirla con una formula: l’alternativa si presenta
finalmente “ricca di contenuti”, ma drammaticamente “povera di
forza”.
La discussione intorno alla questione
democratica in Europa impone allora il tentativo di rispondere alla
domanda: da dove partire affinché l’alternativa non risulti
velleitaria?
La sensazione, più che una previsione
che, di questi tempi, nessuno dovrebbe azzardarsi a fare, è che
“Loro” cioè i signori riuniti a trecento metri di distanza nel
palazzo del Consiglio stiano accelerando il processo di unificazione
politica, certo sotto il segno delle politiche economiche
neoliberiste e del deficit democratico, che fino a questo punto ci
hanno portato. Quando si affrontano i temi dell’Unione fiscale e di
quella bancaria è di questo processo che stiamo assistendo al
consolidarsi.
E, allora mai
come oggi, vi è la necessità che faccia irruzione sulla scena, su
questa scena, un potere costituente radicalmente democratico, che sia
nutrito da una nuova stagione di conflitto sociale in Europa. Perciò
questa necessità marcia di pari passo con l’affermarsi di una
capacità di pensare ed agire con modalità costituenti innovative,
anche nelle relazioni tra di noi, nel campo di chi vuole costruire
l’alternativa. E’ il tema delle “coalizioni” e riguarda tutti
perché nessuno può più dirsi né esercitarsi da autosufficiente.
Nel nostro piccolo, con le giornate di Francoforte, ci abbiamo
provato. Ma l’idea delle coalizioni in Europa, da verificare nel
vivo dei conflitti del presente, deve interessare ogni piano, quello
dei movimenti sociali così come quello sindacale, tra le autonomie
locali così come sul piano direttamente politico. E, allo stesso
tempo, tra questi differenti livelli dev’essere instaurata una
nuova dialettica intessuta di relazioni reali.
Ecco dunque il limite, ma anche la
sfida stimolante che la discussione di Bruxelles ci consegna. Perché,
come ha detto un certo Cesare Prandelli, “abbiamo capito che oltre
alla tecnica, ci vuole la qualità e il cuore.” E se si mettono in
campo tutti e tre questi elementi, si può provare sul serio a
mandare a casa i custodi del “rigore” (così come si è fatto con
quelli “dei rigori”) che schiacciano la democrazia, la vita e i
diritti di milioni di donne e uomini d’Europa.
Bruxelles, 28 giugno 2012
*****************************
il comunicato finale (versione italiana
a cura di Gloria Bertasi)
Cinque
proposte chiave
del Forum
«Un'altra strada per l'Europa»
Bruxelles, 28
giugno 2012
Un'alternativa
all'inerzia del Consiglio Europeo.
I 150
partecipanti al Forum Internazionale «Un'altra strada per l'Europa»
del 28 giugno 2012 presso il Parlamento europeo a Bruxelles hanno
discusso delle alternative praticabili alla mancanza di azione
efficace contro la crisi europea attese dal Consiglio europeo di
Bruxelles.
Tra le azioni
concrete richieste, le seguenti assumono il carattere di estrema
urgenza:
- Confrontare la drammatica accelerazione della crisi finanziaria europea - segnata dall'interazione tra la crisi bancaria e la crisi del debito pubblico - la Banca centrale europea deve agire immediatamente in qualità di prestatore di credito di ultima istanza nei fondi obbligazionari di Stato. Il problema del debito pubblico va risolto con comune senso di responsabilità dell'Eurozona, usando accordi istituzionali che potrebbero essere attuati senza dilazione; il debito deve essere valutato da un audit pubblico.
- E' necessario un radicale ridimensionato del settore finanziario con una tassa sulle transazioni finanziarie, limiti alla finanza speculativa e ai movimenti di capitali e con un'estensione del controllo sociale, nello specifico sulle banche che ricevono fondi pubblici. Il sistema finanziario dovrebbe essere trasformato in modo tale da supportare investimenti produttivi sostenibili da un punto di vista sociale e ambientale.
- Le politiche di austerità dovrebbero essere rovesciate e il pesante condizionamento imposto ai Paesi che ricevono fondi emergenziali europei andrebbe rivisitato; la pericolosa costrizione del Patto di stabilità va rimossa cosicché i paesi possano difendere le spese pubbliche, sociali e i salari mentre l'UE assume un ruolo più ampio nello stimolare la domanda, promuovere la massima occupazione e imboccare un nuovo corso di crescita sostenibile. Inoltre, le politiche europee dovrebbero investire nell'armonizzazione fiscale, mettere la parola fine alla competizione fiscale e spostare il peso fiscale dal lavoro a una più elevata tassazione di profitti e ricchezza.
L'azione
dovrebbe partire ora per cambiamenti di lungo termine nelle seguenti
direzioni:
- Un «new deal» verde può fornire una via d'uscita alla recessione in Europa con importanti investimenti a sostegno di una transizione ecologica verso la sostenibilità, aprendo così a posti di lavoro d'alta qualità, ampliando le conoscenze in nuovi ambiti d'innovazione e allargando le possibilità d'azione a livello locale, in modo particolare sui beni pubblici.
- La democrazia deve essere estesa a tutti i livelli in Europa; l'Unione europea va riformata e la concentrazione di potere nelle mani degli Stati più potenti, così come si è sviluppata con la crisi, dev’essere rovesciata. L'obiettivo è raggiungere una maggiore partecipazione dei cittadini, un ruolo più significativo del Parlamento europeo e un controllo democratico molto più significativo sulle decisioni chiave. Le prossime elezioni europee del 2014 devono rappresentare un'opportunità per compiere scelte tra le proposte alternative per l'Europa all'interno e trasversalmente negli Stati membri dell'Unione.
Nel rischio di
un collasso, le politiche europee devono cambiare strada e
un'alleanza tra società civile, sindacati, movimenti sociali e forze
politiche progressiste - specialmente nel Parlamento europeo - è
imprescindibile per portare l'Europa fuori dalla crisi generata da
neoliberalismo e finanza e verso una democrazia effettiva.
*****************************
il comunicato finale (testo originale
inglese)
PRESS RELEASE
Five Key
Proposals for Another Road for Europe
Brussels, 28
June 2012
An
alternative to European Council inaction
from the
Forum “Another Road for Europe”
150 participants
to the International Forum “Another Road for Europe” held
on June 28, 2012 at the European Parliament in Brussels have
discussed viable alternatives to the lack of remedial action on
Europe’s crisis that is expected from the European Council in
Brussels.
The practical
actions that have been demanded include the following. As a matter of
urgency:
1. Facing the
dramatic acceleration of Europe’s financial crisis – marked by
the interaction between a banking crisis and the public debt crisis –
the European Central Bank must immediately act as a lender of last
resort in the government bond market. The public debt problem has to
be solved with a common responsibility of the eurozone, using
institutional arrangements that could be put in place without delay;
debt has to be evaluated by a public audit.
2. A radical
downsizing of the financial sector is needed, with a financial
transaction tax, limitations on speculative finance and capital
movements, and an extension of social control in particular over
banks receiving public funds. The financial system should be
transformed, so that it supports socially and environmentally
sustainable productive investment.
3. Austerity
policies should be reversed and the heavy conditionality imposed on
countries receiving EU emergency funds should be revised; the
dangerous constraints of the “fiscal compact” need be removed, so
that countries can defend public expenditure, welfare and wages,
while the EU assumes a greater role in stimulating demand, promoting
full employment and taking a new course of sustainable and equitable
growth. Moreover, European policies should move towards fiscal
harmonization, putting an end to tax competition, and shifting the
tax burden away from labour and to a higher taxation of profits and
wealth.
Action should
start now for longer term changes in the following directions:
4. A green new
deal can provide a way out of Europe’s recession, with large
investments supporting an ecological transition toward
sustainability, providing high quality jobs, expanding capabilities
in new innovative fields and enlarging possibilities for action at
the local level, especially on public goods.
5.
Democracy has to be expanded at all levels in Europe; the European
Union has to be reformed and the concentration of power in the
hands of more powerful states that has taken place with the crisis
has to be reversed. The aim is to achieve greater citizens’
participation, a major role for the European Parliament, and a much
more significant democratic control over key decisions. The next
European Parliament elections in 2014 must represent an opportunity
for making choices amongst alternative proposals for Europe within
and across European Member States.
Facing a risk of
collapse, Europe’s policies need to change course, and an alliance
between civil society, trade unions, social movements and progressive
political forces - notably in the European Parliament - is required
to lead Europe out of the crisis created by neoliberalism and finance
and towards a fully fledged democracy.
Information
in five languages and the original appeal “Another road for Europe”
can be found at www.anotherroadforeurope.org.
For information
and contacts:
*************************************
Le
organizzazioni partecipanti al Forum: Active
Citizenship Network, Altramente, Arci, Attac France, Attac Germany,
Attac Finland, Centro studi Alternativa Comune, Corporate Europe
Observatory, Economistes Atterrés, Euromemorandum, European
Alternatives, European Anti-Poverty Network, European Federalist
Movement, Fiom-Cgil, Green European Foundation, il Manifesto, Joint
Social Conference, New Economics Foundation, OpenDemocracy.net, Red
Pepper, Rete@sinistra, Rosa Luxemburg Stiftung, Sbilanciamoci!,
Social Watch Italian coalition, Soundings, Transform! Europe,
Transnational Institute, in collaborazione con i gruppi al Parlamento
Europeo “The Greens EFA” e “GUE / NGL”.
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