Quella che si è svolta in Vaticano negli ultimi mesi con grande clamore mediatico è solo l’ultimo capitolo di una saga classica: lo scontro di potere all’interno delle mura leonine. Ma si è trattato di una lotta senza esclusione di colpi fra due destre, due correnti conservatrici. Un punto va infatti messo bene in luce: non ci sono mai state, in tutte le recenti vicende, due differenti visioni del mondo e della Chiesa che si confrontavano.
di Francesco Peloso
Sono stati gli uomini della lotta al comunismo, dell’appoggio alle dittature sudamericane, delle bustarelle che salivano e scendevano lungo le scale ampie e silenziose dei sacri palazzi, dei peccati inconfessabili insabbiati e coperti. Sono stati gli uomini discreti e potenti che hanno svolto con cura il ruolo di collaboratori di quello che è stato insieme l’ultimo Papa re e il primo Papa globale, cioè Karol Wojtyla, a volte scontrandosi fra di loro, ma in silenzio, mentre il loro potere si allargava a dismisura e forse immaginavano di essere, per varie ragioni, immortali. E così non hanno creduto alla loro fine, non si sono rassegnati a lasciare ai nuovi padroni, ai nuovi cardinali e arcivescovi, i parvenu della Curia romana, le poltrone che contano.
Quella che si è svolta in Vaticano negli ultimi mesi con grande clamore mediatico, a suon di corvi e di documenti riservati fuoriusciti dalle stanze del Papa, è solo l’ultimo capitolo di una saga classica: lo scontro di potere all’interno delle mura leonine. Un conflitto duro, un po’ alla Dan Brown, un po’ alla Corleone, un po’, semplicemente, in stile vatican-curiale. Essenzialmente, però, si è trattato di una lotta senza esclusione di colpi fra due destre, due correnti conservatrici, che si sono contese il controllo della Chiesa universale; un punto va infatti messo bene in luce: non ci sono mai state, in questi mesi, due differenti visioni del mondo e della Chiesa che si confrontavano.
Wojtyla con la lotta al comunismo rifonda la Chiesa integralista
Una simile rappresentazione, è l’obiezione ricorrente nei sacri palazzi, non corrisponde al vero: è falsa, dettata da intenti anti cristiani e anticattolici, ideologica, letteraria. E certo nel corso del ‘900, tanto per restare agli ultimi decenni, fra le mura vaticane si sono mossi uomini di ogni tipo: personalità di valore, fini diplomatici, evangelizzatori e missionari coraggiosi, ma anche spie, corrotti, faccendieri, manovratori dell’ombra, esperti di traffici finanziari illeciti e via dicendo. Nel determinare però una svolta negli assetti di potere interni alla Chiesa la scelta ideologica compiuta da Giovanni Paolo II – la lotta al comunismo sovietico e ai partiti satelliti al potere nell’Europa orientale – è stata decisiva. Ogni mediazione, ogni colorazione intermedia, è scomparsa, l’adesione ideologica è diventata una fede, ogni incertezza è stata esclusa, le correnti progressive fuoriuscite dal Vaticano II cancellate. In questa cavalcata ideologica che ha avuto bisogno di una Chiesa integralista, incapace di mettersi in discussione e di misurarsi con la modernità, è maturata la crisi ancora in corso.
I colombiani all’opera fra narcos e scomuniche
Si dice con buona ragione che fra i grandi elettori di Ratzinger, ci fossero due uomini dell’estrema destra ecclesiale latinoamericana e wojtyliana: i cardinali colombiani Alfonso Lopez Trujillo e Dario Castrillon Hoyos. Loro coordinarono, fra gli altri, la raccolta dei voti necessari all’elezione di Benedetto XVI nel conclave dell’aprile 2005. Lopez Trujillo, oggi scomparso, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, è stato il grande scomunicatore: nota la scomunica impartita a medici e familiari di una bambina violentata dal patrigno e per questo indotta ad abortire. La violenza carnale su una ragazzina non era reato da pena canonica, l’aborto naturalmente sì. Molte le perle di questo tenore inanellate da Lopez Trujillo (il cardinale voleva scomunicare anche i medici che provocavano la morte di un embrione, tanto per dirne una). Su Castrillon, invece, si potrebbe scrivere un romanzo nero. Ho anche un ricordo personale. Nel 2003 mi trovavo in Colombia, la salute di Giovanni Paolo II era ormai compromessa, nel corso di un breve ricevimento con prelati e diplomatici, ebbi modo di parlare con uno degli arcivescovi di punta del Paese. Conversando dei possibili candidati alla successione di Wojtyla, feci anche il nome di Castrillon. La risposta fu più o meno la seguente: “non credo, di lui si dice che sia legato ai soldi del narcotraffico”. Feci finta di nulla e proseguii. Castrillon è stato a lungo il prefetto della Congregazione per il clero, una sorta di ministro dei preti della Chiesa universale, posizione dalla quale ha difeso a spada tratta sia attraverso lettere riservate che con dichiarazioni pubbliche, il diritto dei vescovi a nascondere gli abusi dei preti colpevoli di abuso sessuale.
Il regista dell’insabbiamento
Nella Primavera del 2010 era venuta alla luce una lettera dello stesso Castrillon risalente al 2001 e indirizzata a un vescovo francese, monsignor Pierre Pican diocesi di Bayeux, nella quale il cardinale si felicitava con lui per aver scelto di fare qualche mese di carcere piuttosto che denunciare un prete abusatore. Piccolo particolare: il sacerdote in questione, René Bissey, era stato all’epoca condannato a 18 anni di carcere per aver violentato un ragazzo e aver aggredito sessualmente 10 bambini. Castrillon, quando la storia divenne di pubblico dominio, diffuse poi altri particolari sull’episodio. Nel corso di un convegno ecclesiale tenutosi in Spagna spiegò fra l’altro: “dopo aver consultato il Papa e avergli mostrato la lettera la inviai al vescovo, congratulandomi con lui per essere stato un modello di padre che non consegna i suoi figli alla giustizia”. Secondo il cardinale fu poi lo stesso Giovanni Paolo II ad autorizzarlo a inviare “la lettera a tutti i vescovi del mondo e a metterla su internet”.
Infine il cardinale colombiano è stato presidente della Commissione Ecclesia Dei, ovvero l’organismo della Curia che presiede ai rapporti e ai negoziati con la Fraternità di San Pio X. Sua è stata, almeno in parte, la responsabilità di aver messo nei guai Benedetto XVI con il caso del vescovo negazionista della Shoah e delle camere a gas, Richard Williamson. In sostanza Castrillon fu accusato in Vaticano di non aver avvertito il Papa delle dichiarazioni di Williamson proprio mentre si stava procedendo alla revoca della scomunica per lui e per gli altri tre vescovi.
L’impero di Maciel e le simpatie dei cardinali per i legionari
Dell’ex Segretario di Stato Angelo Sodano, attualmente decano del Sacro collegio cardinalizio, e dell’ex sostituto per gli affari interni Leonardo Sandri – oggi prefetto della congregazione per le chiese orientali – le cronache hanno già raccontato molto. La stima per Pinochet e la giunta militare argentina, e poi quel rapporto preferenziale con i Legionari di Cristo, la potente e reazionaria organizzazione guidata da padre Marcial Maciel. In quest’ultimo legame erano uniti al segretario personale di Wojtyla, Stanislaw Dzisiwisz, oggi cardinale a Cracovia. Le inchieste del giornalista americano Jason Berry – pubblicate a suo tempo sul National Catholic Reporter – hanno descritto scenari inquietanti di bustarelle di denaro che venivano consegnate ai piani alti del Vaticano. Maciel si comprava l’impunità interna, il dominio assoluto nella sua congregazione, la protezione e l’omertà dei superiori che anzi promuovevano le istituzioni dei Legionari in America Latina. Secondo le inchieste mai smentite di Berry, il cardinale argentino Eduardo Pironio, per diversi anni prefetto del dicastero vaticano che si occupa degli istituti di vita religiosa, riceveva i favori di Maciel e in tal modo ogni indagine sulla congregazione veniva evitata. Pironio passò poi al ministero vaticano per i laici e morì nel 1998. Nel 2006 il cardinale Camillo Ruini ha aperto la causa di beatificazione ancora in corso.
Il caso Propaganda Fide, il patto fra cardinali e costruttori
Altro versante degno di nota è quello di Propaganda fide, centro di consulenze per laici potenti legati ai poteri italiani e vaticani, cuore di un patrimonio edilizio immenso, dicastero delle missioni implicato nelle inchieste sulla ‘cricca’ di Guido Bertolaso, il ‘fu’ delfino del Cavaliere, e Angelo Balducci, l’ex potente Presidente del Consiglio nazionale dei lavori pubblici mitico ex gentiluomo di sua santità che in Vaticano si avvaleva anche dei favori sessuali di qualche giovanotto. Quando la Segreteria di Stato un paio di anni fa provò a scaricare ogni responsabilità dei vari scandali nei quali era coinvolta Propaganda Fide sul cardinale Crescenzio Sepe – l’ex prefetto nominato da Wojtyla – questi pubblicò una lunga lettera – un capolavoro nel suo genere, va detto – in cui indicava tutti i dicasteri vaticani, a cominciare dalla Segreteria di Stato e dal cardinale Sodano, che avevano approvato il suo operato e le sue iniziative finanziarie. Sepe oggi è arcivescovo e cardinale a Napoli dove fu mandato da un Ratzinger appena eletto al soglio di Pietro smanioso di liberarsi della corte dei miracoli wojtyliana. In questo senso uomini come il cardinale Giovanni Battista Re – a lungo anche sotto Benedetto XVI a capo della Congregazione dei vescovi – sono stati certo più discreti, non risultano coinvolti in traffici, eppure hanno cercato di mantenere a tutti i costi il potere e quando gli è stato levato non hanno mandato giù il rospo tanto facilmente.
Dal clan sudamericano a quello genovese
L’attuale Segretario di Stato ha operato un cambio della guardia all’interno del sistema di potere vaticano passando dal clan sudamericano a quello genovese. Molti i liguri che si sono sistemati in Curia, e tuttavia accanto agli alti prelati – una schiera di cardinali neofiti nominati dal Papa anche su suggerimento del Segretario di Stato – sono emerse figure laiche a dir poco sorprendenti. Fra queste ultime è salito agli onori delle cronache tale Marco Simeon, personaggio dalle alterne e non sempre eccelse fortune in Liguria eppure assai potente grazie al cardinale Bertone, tanto da diventare il responsabile relazioni esterne della Rai e di essere chiamato alla guida di ‘Rai Vaticano’ – scatola vuota del sistema informativo pubblico, eppure incarico di prestigio – dopo la scomparsa del vaticanista di lungo corso Giuseppe de Carli.
Il nome di Simeon viene spesso associato a quello del manager sanitario Giuseppe Profiti, condannato in Liguria nel processo sul sistema tangentizio legato alla sanità e oggi a capo dell’ospedale vaticano Bambin Gesù di Roma, prestigiosa istituzione sanitaria di cui si dice sia però in serie difficoltà economiche. Si tratta di figure dal profilo incerto a metà fra l’uomo d’affari e l’arrampicatore sociale i cui volti un tempo sarebbero rimasti nascosti dietro le quinte; oggi invece emergono e mostrano in pubblico quei legami di potere con la politica, la finanza, l’establishment statale, ormai entrati in crisi, ma che hanno fatto parte per lunghi anni di quell’intreccio di rapporti e accordi inconfessabili fra le due sponde del Tevere.
In questo senso la Rai è specchio dei tempi. Si pensi a personalità come quella di Lorenza Lei, accreditata dai media di un bertonismo tutto d’un pezzo e di una fedeltà vaticana non discutibile; oggi è caduta in semi-disgrazia e comunque si trova in uscita dalla plancia di comando dell’azienda. Ancora della squadra fa parte quell’Antonio Preziosi, giornalista dal passato non molto noto, poi assurto ai vertici del giornali radio e di Radio Uno; di Preziosi non si ricordano grandi momenti di giornalismo, ma almeno tre interviste di riguardo: una al cardinale Angelo Bagnasco e altre due al cardinale Tarcisio Bertone, trasmesse con tutti gli onori dalla testata giornalistica. Non sarà un caso che Preziosi sia stato di recente nominato consultore del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali – un dicastero vaticano – insieme a Gian Maria Vian che però dirige l’Osservatore romano. Senza contare che ha insegnato alla Pontificia università salesiana di Roma.
Infine, rimbalzando di nuovo dalla Rai alla sanità, è emersa un’altra figura solo in apparenza minore. Quella dell’arcivescovo polacco Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari. Di recente sono state avviate indagini della magistratura sull’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito che hanno portato alla luce un legame inaspettato fra lo stesso Belsito, il suo amico e compagno d’affari, l’imprenditore e faccendiere Stefano Bonet, e il Vaticano, cioè il ministero della sanità d’Oltretevere guidato dall’arcivescovo Zimowski. Oggetto delle indagini il presunto tentativo di Belsito-Bonet di ottenere dai sacri palazzi l’appalto per un’opera di tutto rispetto: la messa a punto di un sistema di monitoraggio di tutte le strutture sanitarie del mondo, un sistema di circa 140mila enti messi oggi a dura prova dalla crisi e pieni di debiti.
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domenica 24 giugno 2012
Goodfellas in Vaticano: quei bravi ragazzi Oltretevere fra porpore, dollari e scandali
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