Il Pdl non partecipa al voto. A favore si sono espressi 155 senatori. L'ex tesoriere della Margherita in carcere, domani l'interrogatorio di garanzia. A Palazzo Madama ha detto: "Chiedo scusa, ma dico no a un approccio che soddisfi chi evoca i forconi della piazza". Poi attacca i vertici del partito, senza nominare Rutelli
Il Senato ha votato a favore dell’autorizzazione dell’arresto del senatore Luigi Lusi, ex del Pd ed ex tesoriere della Margherita accusato di aver distratto oltre 20 milioni di euro dai fondi del movimento derivanti dai rimborsi elettorali e per il quale il tribunale di Roma ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il senatore ha varcato l’ingresso del carcere di Rebibbia poco prima delle 20,30. Domani forse l’interrogatorio di garanzia.
IL VOTO PER IL SI’ ALL’ARRESTO
LA REAZIONE DI LUSI DURANTE IL VOTO
Longo e Pera in dissenso dal Pdl. Tra gli interventi contro l’arresto quelli di Piero Longo – avvocato di Berlusconi – e Marcello Pera (che hanno partecipato al voto in disaccordo con la linea del gruppo) e dell’ex assessore pugliese Alberto Tedesco, per il quale Palazzo Madama negò tempo fa l’autorizzazione alla misura cautelare. Pera, in particolare, ha spiegato di sentirsi a disagio poiché al voto ha partecipato anche Francesco Rutelli “chiamato in correità” dallo stesso Lusi nel suo intervento. Peraltro alcuni esponenti del Pdl hanno esposto, durante l’intervento di Gasparri, alcuni cartelli con la scritta: “Rutelli parte civile, no, parte in causa. Prima Lusi e poi li getti”.
I 13 che hanno votato contro appartengono in maggioranza al centrodestra e due al gruppo misto. I senatori del Pdl contrari sono, oltre a Longo e Pera, Diana De Feo, Sergio De Gregorio, Marcello Dell’Utri, Guido Possa. I senatori di Coesione Nazionale sono Valerio Carrara, Mario Ferrara, Salvo Fleres, Elio Palmizio e Riccardo Villari. Ha votato contro anche il repubblicano Antonio Del Pennino. Il senatore che si è astenuto è l’ex leghista Piergiorgio Stiffoni, ora nel misto.
L’intervento di Lusi. Lusi si è seduto nei banchi del gruppo Misto in un seggio davanti a Tedesco. L’ex tesoriere, sotto gli occhi del suo avvocato, ha così preso anche la parola. Un discorso molto lungo interrotto dopo 24 minuti dal presidente Renato Schifani che ha invitato il senatore a velocizzare il suo intervento (poi durato 33 minuti).
LA DIFESA DELL’EX TESORIERE
“Chiedo scusa come gesto simbolico”. “Non intendo sottrarmi al processo” ha dichiarato Lusi e a riprova c’è, ha spiegato, il fatto che lui si sia presentato spontaneamente davanti agli inquirenti. Ha detto di sentirsi un capro espiatorio “usato” per appagare la stagione dell’antipolitica, ma dall’altro lato ha chiesto scusa. Scuse, ha detto, come “gesto simbolico di riparazione” nei confronti della società visto anche il periodo difficile che l’Italia sta vivendo. “Su questo caso c’è stata una campagna di stampa che non ha risparmiato nè chi vi parla, nè altri, soffermandosi su fatti di costume, penalmente irrilevanti. Su questi ultimi, in un momento difficilissimo sento il dovere di scusarmi”.
“I commercialisti sono gli stessi di Pd e Api”. “Io, in quanto tesoriere, indagato di appropriazione indebita fino al 3 maggio – ha detto ancora – al fine di consentire il provvedimento di carcerazione, vengo elevato al rango di capo di un’associazione a delinquere per definire la quale, però, occorre un numero minimo di tre persone, superiore dunque alla coppia di coniugi, e dunque si rende necessario che vengano associati anche i commercialisti utilizzati non solo dalla Margherita, ma anche dal Pd e dall’Api”. “Al punto nel quale siamo giunti – ha proseguito – non v’è chi non possa vedere la forzatura di un provvedimento di custodia cautelare in carcere che assume un immotivato carattere vessatorio anche alla luce dei provvedimenti, adottati dal Tribunale del riesame, di revoca degli arresti domiciliari per i due commercialisti, senza il coinvolgimento dei quali non sarebbe stato materialmente possibile evocare il reato associativo”.
“Non è credibile che il tesoriere abbia agito da solo”. Poi l’attacco più deciso nel merito: “Non è mai stato dato che dei dirigenti di partito inondino le tv con dichiarazioni per cui non avrebbero mai saputo alcunchè sull’attività gestionale del proprio partito – ha continuato il senatore – Non è credibile che il tesoriere da solo abbia preso ogni decisione di spesa per 314 milioni, usando tra l’altro per 90 volte il bonifico che è il più tracciabile dei pagamenti, questo non solo non è credibile ma non è materialmente possibile”.
“Carcere inutile vessazione”. Il carcere è una “forzatura dall’inutile carattere vessatorio”. Il senatore ha ribadito che la gestione dei soldi avveniva “per comune assenso”, in base ad un “patto fiduciario, oggi negato”. I “milioni di euro potevo gestirli io da solo? Non solo non è credibile ma neanche materialmente realizzabile: il tesoriere autonomamente avrebbe deciso di finanziare Centro futuro sostenibile, ma è possibile?”. E ancora, denuncia: “I massimi vertici della Margherita non hanno voluto accettare quanto io volevo restituire”. “Resta singolare – ha proseguito – che io venga accusato di reticenza se non parlo, o di calunnia se parlo. Qualcuno potrebbe pensare che mi si voglia chiudere la bocca”.
Il non voto del Pdl. Quanto alla scelta del Pdl di non votare la spiegazione è di non “dare alcuna sponda alla sinistra, non ci devono essere strumentalizzazioni su questo voto”. Una scelta che certamente ha evidenziato la difficoltà di trovare una posizione unitaria da assumere in aula: il gruppo era sostanzialmente spaccato. La decisione è frutto di una sofferta mediazione che ha evitato una rottura del gruppo che avrebbe portato al rischio di dimissioni del vicecapogruppo del PdL Gaetano Quagliariello avrebbe minacciato le dimissioni per la fronda interna che era favorevole al voto segreto. Circostanza poi smentita “categoricamente” dal diretto interessato. “Ma quando mai? – ha spiegato Quagliariello – Non me lo sono neanche sognato. Nel corso della riunione io e Gasparri abbiamo posto il problema di non divenire strumento di manovre altrui con la scelta del voto segreto”.
Follini: “Spariti 1033 anni di stipendi di un operaio Fiat”. All’inizio della discussione al Senato era intervenuto il presidente della Giunta delle autorizzazioni, Marco Follini, che aveva letto la relazione con parere favorevole. “Ventidue milioni di euro – ha detto Follini – per un operaio della Fiat di Pomigliano d’Arco sono l’equivalente di 1033 anni di stipendio, 11 mesi e 7 giorni. Per un insegnante di scuola elementare con una anzianità di 5 anni sono l’equivalente di 1238 anni di stipendio, 9 mesi e 21 giorni”. “Occorre che noi recuperiamo il principio della distinzione – ha insistito Follini – Distinzione è la differenza che corre tra l’’abuso del denaro per arricchimento privato e l’uso legittimo del denaro per attività politica. E soprattutto distinzione è la differenza tra gli intollerabili arricchimenti privati e personali e l’onestà e la passione civile con cui tantissime persone, anche in questa Aula, svolgono la loro attività politica. Mettere insieme tutto alla rinfusa fare di ogni erba un fascio significa scendere precipitosamente i gradini che conducono dalla civiltà politica alla barbarie civile”.
Bonino: “Il Senato non è un tribunale, votiamo su cosa più semplice”. Molta approvazione ha avuto l’intervento di Emma Bonino che ha fatto sfuggire dalla bocca un commento del presidente Schifani: “Brava”. “Faccio questo intervento con una certa pena, perché ho pena a vedere trasformarsi quest’aula in un’aula di tribunale. Non è questo il nostro ruolo. Dobbiamo votare su una cosa più semplice” ha osservato la senatrice radicale. La Bonino tra l’altro si è rivolta anche allo stesso Lusi criticandolo per il fatto di aver mostrato “eccessivo disprezzo” nei confronti del senatori qualora votassero in modo palese “come se questo ostacolasse la nostra libertà di coscienza: ma noi siamo parlamentari, abbiamo una responsabilita’”.
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