venerdì 22 giugno 2012

Caso Aldrovandi, la Cassazione rigetta il ricorso dei quattro agenti

La Suprema Corte non rileva profili di illegittimità. Il padre del ragazzo ucciso sette anni fa durante un intervento della polizia: "Ora ho trovato un po' di pace".

 
ilmanifesto.it Cinzia Gubbini
Nessun profilo di illegittimità nelle sentenze di primo e secondo grado, che li hanno condannati a tre anni e mezzo (sei mesi indultati) per l'omicidio di Federico Aldrovandi, il ragazzo di diciotto anni ucciso in strada sette anni fa all'alba, durante l'intervento di due volanti della questura di Ferrara. La Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Carlo Brusco, ha rigettato il ricorso presentato dai quattro poliziotti condannati per eccesso colposo per la morte di Aldrovandi: Monica Segatto, Paolo Forlani, Luca Pollastri e Carlo Pontani.
La sentenza di oggi mette la parola fine a un caso tormentato e tragico, che però rappresenta un precedente importante nei casi di "malapolizia", che troppo spesso non trovano giustizia nelle aule di tribunale. "Abbiamo scritto la storia. Ora basta parlare di autolesionismi, di deliri psicomotori. Questa è una sentenza che cambia la cultura nelle aulee di tribunale". Sono state le parole "a caldo" subito dopo la sentenza della Corte dell'avvocato di parte civile Fabio Anselmo. E' stato lui uno dei protagonisti delle sentenze di merito, e fa bene a ricordare che persino nella sentenza di primo grado veniva riconosciuto al pool di avvocati che ha seguito il caso il grande lavoro svolto. Perché altrimenti, se ci si fosse dovuti affidare alle prime indagini della polizia e della Procura, ci sarebbe stata un'omissione di giustizia.
 
E' stato un "percorso tormentato" quello del caso Aldrovandi, come ricorda anche il comunicato di Amnesty international. Che ancora ieri nella IV sezione penale ha visto qualche "coda". In aula, a chiedere alla Corte di accogliere il ricorso dei quattro poliziotti, c'era un pool di primo ordine, con in prima fila l'avvocato Niccolò Ghedini, famoso per essere uno dei difensori di fiducia dell'ex premier Silvio Berlusconi. Insomma, un avvocato di tutto rispetto, una super star delle aulee giudiziarie. Che ha messo tutto il suo peso, la sua esperienza, e la sua faccia per difendere l'operato dei poliziotti di Ferrara. Tutto sommato un fatto di cronaca locale. Ma l'impegno profuso ad alti livelli perché fosse disinnescata la "mina Aldrovandi" dimostra che non è così.
 
Ghedini e gli altri avvocati della difesa - in tutto sei - sono ritornati nella loro arringa su questioni già sviscerate nei precendenti dibattimenti. Elemento principe della linea difensiva è stato affermare - di nuovo - che nella morte di Federico non è stato tennuto in debito conto l'assunzione di droghe. Di nuovo Federico è stato descritto come un tossico, Ghedini si è appigliato a un passaggio della sentenza di appello in cui Federico viene definito "assuntore abituale", nonostante le moltissime testimonianze che in questi anni hanno raccontato un ragazzo ben diverso. E, aldilà di tutto, nonostante nei campioni biologici di Federico non sia mai stata trovata traccia sufficiente per giustificare la ricostruzione abbastanza incredibile - non ci hanno creduto tre Corti - di ciò che sarebbe successo quella notte.
 
Secondo il primo verbale della polizia - e questo hanno sostenuto gli agenti in tutti i gradi di giudizio, ieri ribadito dai difensori - l'intervento degli agenti è stato di legittima difesa, e anzi di soccorso nei confronti di un ragazzo praticamente impazzito, che ha aggredito con forza quasi sovrumana i quattro poliziotti. Che - secondo la versione ufficiale, messa in dubbio da entrambe le motivazioni delle sentenze di primo grado e d'appello - sono intervenuti solo in seguito alle telefonate arrivate da alcuni abitanti di via Ippodromo (una strada perfierica di Ferrara, teatro dell'omicidio) che sentivano qualcuno urlare in strada.
 
I legali hanno inoltre sostenuto che la difesa è stata "menomata" dalla tardiva iscrizione dei quattro agenti nel registro degli indagati. Cosa vera, in effetti, anche se - come ha osservato il procuratore generale Gabriele Mazzotta - purtroppo questa mancanza va addebitata al lavoro del primo pubblico ministero che si occupò della vicenda, Maria Emanuela Guerra, e all'andamento delle prime fasi delle indagini che sono state più volte descritte come "un tentativo di depistaggio".
 
Secondo i legali il fatto che i poliziotti - non essendo indagati - non abbiano potuto partecipare all'autopsia sul corpo di Federico ha impedito loro di prendere in visione quella parte del cuore del ragazzo in cui è stato riscontrato lo schiacciamento del fascio di Hicks. E' questa la causa della morte di Federico riconosciuta in una perizia che in qualche modo - anche in questo caso - fa storia. Non esiste infatti, finora, una vasta letteratura circa le morti causate da questa particolare forma di compressione della gabbia toracica, che potrebbe essere la spiegazione di diverse morti occorse in casi di interventi di forze dell'ordine. La morte di Federico insegna che non bisognerebbe mai mettere una persona a terra, prona, per diversi minuti dopo una colluttazione. Perché questo potrebbe determinarne la morte. Elementi importanti per chi voglia fare bene il mestiere di poliziotto.
 
Ma ieri in aula si è disquisito molto su chi sia "il poliziotto perfetto". Gli avvocati della difesa hanno chiarito che "il profilo professionale del poliziotto non è nè quello di un medico nè quello di uno psichiatra". chiedendo alla Corte di dire "cosa avrebbero dovuto fare di fronte a un ragazzo completamente impazzito", e ribadendo più volte che "gli agenti sono stati condannatio in due gradi di giudizio senza che nessuno abbia mai spiegato loro dove avrebbero sbagliato".
 
Il procuratore generale nella sua disamina in mattinata aveva dato qualche speranza ai famigliari di Federico, che comprensibilmente temevano un ribaltamento delle sentenze precedenti, e hanno seguito con il fiato sospeso e con molto tormento l'intera udienza, durata diverse ore. Mazzotta ha ricostruito sommariamente quanto avvvenuto, secondo le ricostruzioni giudiziarie, quella notte. Ha rilevato che i punti del ricorso dei quattro agenti lasciava intendere che avrebbero gradito un altro giudizio di merito "ma questo esula dal compito di questo tribunale". E alla fine non ha risparmiato critiche all'operato degli agenti, ricordando che anche qualora qualcuno di loro avesse avuto ruoli meno "attivi" - Ghedini in effetti ha cercato di dire che in ogni caso il ruolo di Monica Segatto è stato secondario per ché "teneva soo le braccia del ragazzo" quando si trovava a terra - in ogni caso compito di un poliziotto è anche moderare i comportamenti degli altri colleghi, quando questi vanno oltre il loro compito. E quella sera Segatto, Pontani, Pollastri e Forlani hanno usato in modo eccessivo la forza. Il procuratore li ha definiti "schegge impazzite" contro un ragazzo "definito come un mostro dalla forza sovrumana" anche se alla fine il suo corpo era pieno di ematomi.

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