La Suprema Corte non rileva profili di illegittimità. Il padre del ragazzo ucciso sette anni fa durante un intervento della polizia: "Ora ho trovato un po' di pace".
ilmanifesto.it Cinzia Gubbini
Nessun profilo di illegittimità nelle
sentenze di primo e secondo grado, che li hanno condannati a tre anni e
mezzo (sei mesi indultati) per l'omicidio di Federico Aldrovandi, il
ragazzo di diciotto anni ucciso in strada sette anni fa all'alba,
durante l'intervento di due volanti della questura di Ferrara. La Corte
di Cassazione, presieduta dal giudice Carlo Brusco, ha rigettato il
ricorso presentato dai quattro poliziotti condannati per eccesso colposo
per la morte di Aldrovandi: Monica Segatto, Paolo Forlani, Luca
Pollastri e Carlo Pontani.
La sentenza di oggi mette la parola fine a un
caso tormentato e tragico, che però rappresenta un precedente
importante nei casi di "malapolizia", che troppo spesso non trovano
giustizia nelle aule di tribunale. "Abbiamo scritto la storia. Ora basta
parlare di autolesionismi, di deliri psicomotori. Questa è una sentenza
che cambia la cultura nelle aulee di tribunale". Sono state le parole
"a caldo" subito dopo la sentenza della Corte dell'avvocato di parte
civile Fabio Anselmo. E' stato lui uno dei protagonisti delle sentenze
di merito, e fa bene a ricordare che persino nella sentenza di primo
grado veniva riconosciuto al pool di avvocati che ha seguito il caso il
grande lavoro svolto. Perché altrimenti, se ci si fosse dovuti affidare
alle prime indagini della polizia e della Procura, ci sarebbe stata
un'omissione di giustizia.
E' stato un "percorso tormentato" quello del
caso Aldrovandi, come ricorda anche il comunicato di Amnesty
international. Che ancora ieri nella IV sezione penale ha visto qualche
"coda". In aula, a chiedere alla Corte di accogliere il ricorso dei
quattro poliziotti, c'era un pool di primo ordine, con in prima fila
l'avvocato Niccolò Ghedini, famoso per essere uno dei difensori di
fiducia dell'ex premier Silvio Berlusconi. Insomma, un avvocato di tutto
rispetto, una super star delle aulee giudiziarie. Che ha messo tutto il
suo peso, la sua esperienza, e la sua faccia per difendere l'operato
dei poliziotti di Ferrara. Tutto sommato un fatto di cronaca locale. Ma
l'impegno profuso ad alti livelli perché fosse disinnescata la "mina
Aldrovandi" dimostra che non è così.
Ghedini e gli altri avvocati della difesa -
in tutto sei - sono ritornati nella loro arringa su questioni già
sviscerate nei precendenti dibattimenti. Elemento principe della linea
difensiva è stato affermare - di nuovo - che nella morte di Federico non
è stato tennuto in debito conto l'assunzione di droghe. Di nuovo
Federico è stato descritto come un tossico, Ghedini si è appigliato a un
passaggio della sentenza di appello in cui Federico viene definito
"assuntore abituale", nonostante le moltissime testimonianze che in
questi anni hanno raccontato un ragazzo ben diverso. E, aldilà di tutto,
nonostante nei campioni biologici di Federico non sia mai stata trovata
traccia sufficiente per giustificare la ricostruzione abbastanza
incredibile - non ci hanno creduto tre Corti - di ciò che sarebbe
successo quella notte.
Secondo il primo verbale della polizia - e
questo hanno sostenuto gli agenti in tutti i gradi di giudizio, ieri
ribadito dai difensori - l'intervento degli agenti è stato di legittima
difesa, e anzi di soccorso nei confronti di un ragazzo praticamente
impazzito, che ha aggredito con forza quasi sovrumana i quattro
poliziotti. Che - secondo la versione ufficiale, messa in dubbio da
entrambe le motivazioni delle sentenze di primo grado e d'appello - sono
intervenuti solo in seguito alle telefonate arrivate da alcuni abitanti
di via Ippodromo (una strada perfierica di Ferrara, teatro
dell'omicidio) che sentivano qualcuno urlare in strada.
I legali hanno inoltre sostenuto che la
difesa è stata "menomata" dalla tardiva iscrizione dei quattro agenti
nel registro degli indagati. Cosa vera, in effetti, anche se - come ha
osservato il procuratore generale Gabriele Mazzotta - purtroppo questa
mancanza va addebitata al lavoro del primo pubblico ministero che si
occupò della vicenda, Maria Emanuela Guerra, e all'andamento delle prime
fasi delle indagini che sono state più volte descritte come "un
tentativo di depistaggio".
Secondo i legali il fatto che i poliziotti -
non essendo indagati - non abbiano potuto partecipare all'autopsia sul
corpo di Federico ha impedito loro di prendere in visione quella parte
del cuore del ragazzo in cui è stato riscontrato lo schiacciamento del
fascio di Hicks. E' questa la causa della morte di Federico riconosciuta
in una perizia che in qualche modo - anche in questo caso - fa storia.
Non esiste infatti, finora, una vasta letteratura circa le morti causate
da questa particolare forma di compressione della gabbia toracica, che
potrebbe essere la spiegazione di diverse morti occorse in casi di
interventi di forze dell'ordine. La morte di Federico insegna che non
bisognerebbe mai mettere una persona a terra, prona, per diversi minuti
dopo una colluttazione. Perché questo potrebbe determinarne la morte.
Elementi importanti per chi voglia fare bene il mestiere di poliziotto.
Ma ieri in aula si è disquisito molto su chi
sia "il poliziotto perfetto". Gli avvocati della difesa hanno chiarito
che "il profilo professionale del poliziotto non è nè quello di un
medico nè quello di uno psichiatra". chiedendo alla Corte di dire "cosa
avrebbero dovuto fare di fronte a un ragazzo completamente impazzito", e
ribadendo più volte che "gli agenti sono stati condannatio in due gradi
di giudizio senza che nessuno abbia mai spiegato loro dove avrebbero
sbagliato".
Il procuratore generale nella sua disamina in
mattinata aveva dato qualche speranza ai famigliari di Federico, che
comprensibilmente temevano un ribaltamento delle sentenze precedenti, e
hanno seguito con il fiato sospeso e con molto tormento l'intera
udienza, durata diverse ore. Mazzotta ha ricostruito sommariamente
quanto avvvenuto, secondo le ricostruzioni giudiziarie, quella notte. Ha
rilevato che i punti del ricorso dei quattro agenti lasciava intendere
che avrebbero gradito un altro giudizio di merito "ma questo esula dal
compito di questo tribunale". E alla fine non ha risparmiato critiche
all'operato degli agenti, ricordando che anche qualora qualcuno di loro
avesse avuto ruoli meno "attivi" - Ghedini in effetti ha cercato di dire
che in ogni caso il ruolo di Monica Segatto è stato secondario per ché
"teneva soo le braccia del ragazzo" quando si trovava a terra - in ogni
caso compito di un poliziotto è anche moderare i comportamenti degli
altri colleghi, quando questi vanno oltre il loro compito. E quella sera
Segatto, Pontani, Pollastri e Forlani hanno usato in modo eccessivo la
forza. Il procuratore li ha definiti "schegge impazzite" contro un
ragazzo "definito come un mostro dalla forza sovrumana" anche se alla
fine il suo corpo era pieno di ematomi.
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