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Sempre più spesso le guerre dell’era moderna non si combattono
solamente con i missili “intelligenti”, i droni e l’ausilio del
satellite, ma anche e soprattutto attraverso il controllo e la gestione
della realtà a proprio uso e consumo. La creazione di mostri ed eroi
all’interno dell’immaginario collettivo, attraverso la distorsione e la manipolazione del reale
è infatti di gran lunga l’arma più letale fra quelle usate
dall’Occidente per schiacciare qualsiasi figura ritenuta “scomoda” e
annientare interi stati sovrani con l’ausilio di operazioni militari
sanguinarie che godano dell’appoggio dell’opinione pubblica.
Il metodo in sé è di una semplicità disarmante (ma proprio per questo ancora più letale) e consiste nello screditare il “nemico” attraverso l’attribuzione a esso dei crimini più indicibili, senza che esista alcun fondamento per farlo, ma semplicemente usando il sistema mediatico
e gli organismi internazionali controllati come cassa di risonanza per
influenzare pesantemente la percezione dell’opinione pubblica nella
direzione voluta.
La guerra al “mostro” verrà così avallata e giustificata da tutti,
pur non avendo giustificazione alcuna, e poco importa se poi a distanza
di anni emergerà la verità, perché ormai l’obiettivo voluto sarà stato
raggiunto da tempo e quella verità verrà lasciata giacere nell’oblio
mediatico, senza che la maggior parte dell’opinione pubblica ne venga a
conoscenza o se ne curi e senza che gli organismi internazionali
compiacenti perseguano in qualche maniera i mistificatori.
È accaduto nel 1990 a Saddam Hussein, diventato per
il mondo intero un novello Erode che sterminava i bimbi nelle
incubatrici dell’ospedale di Kuwait City, secondo la testimonianza di
Navirah, profuga quindicenne che dichiarò dinanzi a 700 stazioni
televisive di avere assistito personalmente a tale atrocità. Mentre
solamente anni più tardi, quando la Prima Guerra del Golfo era ormai
terminata da tempo, lasciando sul terreno il suo carico di morte e
disperazione si scoprì che Navirah era in realtà la figlia
dell’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, non aveva mai soggiornato
in Kuwait e l’intera messinscena era stata confezionata ad arte da un’agenzia pubblicitaria statunitense, ingaggiata per costruire il mostro e legittimare il conflitto.
Accadde nuovamente nel 2003, quando la seconda invasione dell’Iraq fu giustificata con il fatto che Saddam Hussein fosse in possesso d’ingenti quantitativi di armi chimiche
pericolosissime, mentre solamente una decina di anni più tardi, quando
da tempo Saddam era stato giustiziato e l’Iraq sprofondato nel medioevo
in cui giace ancora oggi, venne alla luce il fatto che in realtà quelle
armi chimiche non esistevano affatto e rappresentavano solamente un
escamotage finalizzato a giustificare quello che in realtà era ingiustificabile.
Nel 2011 toccò al leader libico Gheddafi,
rappresentato come un mostro responsabile del ferimento di 50mila
civili e dello sterminio di altri 10mila “contestatori”, interrati
all’interno delle fosse comuni. Mentre qualche tempo dopo, quando la Libia
era ormai tornata a essere uno stato tribale e Gheddafi non aveva
potuto sfuggire al proprio assassinio, emerse come in verità quei morti e
feriti non fossero mai esistiti, mentre le fosse comuni in questione
erano in realtà un normale cimitero nel quale erano stati spostati i
resti dei defunti di vecchia data.
Ma lo stato dell’arte nella manipolazione della realtà è stato senza ombra di dubbio raggiunto per quanto riguarda il Presidente Bashar al – Assad e la guerra condotta da gruppi terroristici di varia estrazione che ormai insanguina la Siria da sette anni.
Fin dal primo momento, quando una serie di gruppi terroristici
destinati a confluire sucessivamente “nell’Esercito siriano libero”
iniziano a creare disordini, tentando di sfruttare l’onda lunga della
“primavera araba” che ha destabilizzato larga parte dell’area, i media
occidentali s’impegnano nel dipingere il Presidente Assad come un tiranno sanguinario, non perdendo occasione per etichettare il legittimo governo siriano come un regime, nonostante in realtà Assad sia un leader amato e apprezzato dalla stragrande maggioranza del suo popolo, alla guida di un governo di stampo socialista che gode di un ampio appoggio popolare.
Durante tutti gli anni del conflitto, nel corso del quale all’ESL si succederanno i gruppi islamisti, da Al Nusra fino all’Isis, spesso finanziati dall’Occidente, dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar e autori di massacri e violenze indicibili nei confronti della popolazione siriana,
l’unico mostro dipinto a uso e consumo dell’immaginario collettivo
occidentale continuerà a rimanere il Presidente Assad. Rappresentato
(senza che esista alcuna prova oggettiva a dimostrarlo) come il
colpevole di tutta una serie di crimini dei quali molto spesso sono
responsabili proprio i terroristi che l’esercito siriano sotto il
comando di Assad combatte strenuamente.
Il campionario è vasto e comprende tutte le accuse mistificatorie già viste in precedenza, dallo sterminio dei civili alle fosse comuni, ma è proprio sull’uso di armi chimiche che la macchina del fango manipolatrice si concentra maggiormente.
Il
primo tentativo avviene nell’agosto 2013, quando l’Osservatorio siriano
per i Diritti Umani di stanza a Londra e vicino a fonti locali legate
ai “ribelli”, denuncia 350 vittime nella zona di Jobar a causa di un
presunto attacco con armi chimiche compiuto dall’esercito di Assad.
Notizia ripresa immediatamente (senza che esista alcuna prova tangibile
dell’accaduto) da tutti i media internazionali e cavalcata dall’allora
Presidente statunitense Barack Obama che si mostra pronto a usarla come
pretesto per un intervento armato degli Stati Uniti volto a spodestare
Assad, intervento che non vedrà mai la luce solamente perché il
Presidente russo Vladimir Putin si schiera fermamente in sua difesa. La
sucessiva inchiesta portata avanti dall’Onu dimostra
come forse a Jobar siano state realmente usate armi chimiche, senza però
essere in grado di dimostrare se i colpevoli del gesto siano stati i
terroristi o l’esercito siriano.
Il secondo è dell’aprile 2017, quando una settantina di persone
trovano la morte durante un presunto attacco chimico nella cittadina di
Khan Shaykhun. Come già in precedenza, tanto la macchina mediatica
quanto i leader occidentali attribuiscono l’attacco in questione
all’esercito di Assad, senza che sia stata portata a termine alcuna
analisi internazionale sull’accaduto. Gli USA colgono l’occasione per
effettuare un attacco missilistico contro una base militare siriana, ma
la questione si chiude in tempi brevi senza che se ne parli più e 10
mesi più tardi lo stesso ministro della Difesa americano James Matis è
costretto ad ammettere come non esista alcuna prova dell’uso di armi chimiche da parte di Assad a Khan Shaykhun.
L’ultimo è dello scorso aprile 2018, quando la grancassa mediatica e
alcuni leader occidentali accusano Assad di avere compiuto un attacco
aereo con armi chimiche a Douma, causando 100 morti e 1000 feriti.
Emmanuel Macron, Donald Trump e Theresa May organizzano meno di una
settimana dopo un attacco missilistico congiunto, finalizzato secondo le loro parole a punire “l’animale Assad” delle cui responsabilità possiedono prove granitiche.
Nel mese di luglio l’Onu porta a termine l’inchiesta ufficiale
sull’accaduto, arrivando a concludere come Assad non abbia usato nessuna
arma chimica a Douma, dove oltretutto le vittime sono state 40 e non
100 come millantato dalla propaganda mediatica. Naturalmente, come
sempre accade in questi casi, i risultati dell’inchiesta vengono
sottaciuti dai media che invece avevano dato il massimo risalto alle
accuse prive di fondamento lanciate qualche mese prima.
Per la prima volta però, grazie all’appoggio della Russia di Putin e
al commovente sostegno del popolo siriano, la creazione del mostro che
non c’è non ha dato i risultati sperati e nonostante 7 anni di attacchi
terroristici e guerra mediatica, la posizione di Assad come leader della
Siria è oggi più salda che mai, mentre progressivamente l’intero Paese
sta tornando sotto il suo controllo, a dimostrazione del fatto che anche
la manipolazione dell’immaginario collettivo può fallire quando viene sottovalutato l’avversario che si ha di fronte
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