Una
settimana fa, sabato 17 novembre, al meno 282.000 “gilet jaunes” si
sono mobilitati in tutta la Francia per protestare contro l’aumento del
prezzo della benzina. Occupazioni di incroci e rotonde e blocchi
stradali, “operazioni lumaca” et “operazioni pedaggio gratuito”… sono
stati più di 2 000 i presidi nel paese. Quasi 400 arresti, diverse
centinaia di feriti, un morto, scontri con la polizia.
Da
oltre dieci giorni, nonostante una repressione crescente, il movimento
non si è dato tregua. Sabato scorso erano più di 106 000 in tutto
l’Esagono, secondo il Ministero dell’Interno, di cui 8.000 «saliti» a
Parigi per manifestare il loro scontento. Il divieto della prefettura di
avvicinarsi all’Eliseo non ha impedito ai manifestanti di prendere
l’Avenue des Champs Elysées, dove violenti scontri con la polizia sono
avvenuti tutto il giorno. Alcuni gilets gialli hanno già annunciato la
loro intenzione di tornare a Parigi sabato prossimo…
Chi sono i “gilets gialli” e cosa vogliono?
Mai
movimento sociale francese ha avuto una visibilità mediatica pari a
quella del cosiddetto “movimento dei gilets gialli”. Da dieci giorni,
tutta la stampa francese è indaffarata a capire chi sono questi
improbabili manifestanti che non si erano mai visti prima, di cui una
buona parte dichiara orgogliosamente ai microfoni dei giornalisti che
non aveva mai manifestato in vita sua; un movimento che si proclama
“cittadino” e “apolitico” ed è nato fuori dai quadri politici o
sindacali che solitamente dominano le grandi mobilitazioni del paese.
Il
bilancio unanime è che si tratta di un movimento composito e
proteiforme dai molti volti: donne e uomini, lavoratori dipendenti,
precari, percettori di reddito di disoccupazione, inattivi, pensionati,
professori, padroncini, operai. Qualche sindacalista e qualche
partigiano si confondono nella massa. Sono sia di destra che di
sinistra, o anche no. Il loro punto comune è uno: a malapena riescono ad
arrivare alla fine del mese.
In
poche parole, il popolo. Ma non tutto il popolo. Il popolo che si sta
mobilitando è il popolo della Francia periferica – non quella dei grandi
centri urbani ma quella dei centri minori e delle zone rurali – una
parte del paese che solitamente non si vede e che oggi si solleva e
indossa un gilet giallo fluorescente per essere visibile, uno di quei
giubbotti catarifrangenti che ogni automobilista è obbligato ad avere in
machina.
Si
sono incontrati e organizzati sui social – su facebook sono apparsi da
qualche settimana decina di gruppi di gilets gialli per ogni département
– e a volte hanno fatto qualche assemblea di preparazione prima di
ritrovarsi per strada all’alba del sabato 17, giorno di inizio del
movimento.
I
gilets gialli si sono organizzati per protestare contro l’aumento del
prezzo del carburante. Ed hanno buone ragioni: il prezzo del gasolio è
aumentato del 23% in Francia e la benzina del 14% a causa del balzo del
prezzo del barile di petrolio di quest’anno. Inoltre, il governo ha
annunciato di recente che i prezzi di gasolio e benzina aumenteranno
ulteriormente – rispettivamente di 4 e 7 centesimi a litro in più –
presentando l’aumento come rivolto a finanziare la transizione
energetica in senso ecologico.
Quest’annuncio
ha provocato, poco sorprendentemente, un largo scontento nelle classi
basse e medie, in particolar modo quelle della Francia periferica, sulle
quali le spese di trasporto incidono tanto, perché si tratta di persone
che devono spostarsi ogni giorno per kilometri e kilometri, e sui cui
redditi l’aumento del prezzo del carburante incide necessariamente di
più.
Dal
punto di vista vertenziale i gilets gialli vogliono inanzitutto
l’abrogazione di questa nuova “tassa carbonio”. Ma dietro la rabbia c’è
altro. La benzina è solo “la goccia d’acqua che ha fatto traboccare il
vaso”, come ribadiscono continuamente da dieci giorni i gilets gialli e i
loro sostenitori per giustificare le loro azioni, che hanno creato non
poco scontento.
Dalle
tanti voci che si sono fatte sentire nei giorni scorsi emerge chiaro il
sentimento di esasperazione, la sensazione di essere l’oggetto di
esclusione e di disprezzo, in particolare da parte di quella classe
politica verso la quale si avverte un rigetto generalizzato. Sono molto
numerosi i gilet gialli che reclamano la destituzione del governo e del
Presidente della Repubblica Emmanuel Macron. Ricordano continuamente che
Macron è stato eletto con un consenso basso (solo il 24% dei francesi
lo hanno votato) e che la sua legittimità è scarsa. Ormai c’è una parola
d’ordine scandita da tutte e tutti, sui Champs Elysées come in
provincia: “Macron, démission!”.
Questo
sentimento di esasperazione è il risultato di anni di politiche fiscali
e sociali che hanno progressivamente strozzato le classi basse e medie.
Appena giunto al governo, Macron ha abolito l’ISF (Tassa patrimoniale
di solidarietà), regalando 4 miliardi di euro ai più ricchi; e ha
potenziato il CICE (Credito d’imposta per la solidarietà e
l’occupazione), il programma di taglio dei contributi dovuti e di sgravi
fiscali che permettono di trasferire 41 miliardi di euro all’anno alle
imprese francesi, incluso le multinazionali.
Poco dopo, con la legge di bilancio 2018, Macron ha instaurato una flat tax che
ha permesso un abbassamento della imposizione sul capitale, regalando
altri 10 miliardi di euro ai più ricchi. Nello stesso tempo, ha
aumentato la CSG (Contributo sociale generalizzato, è una tassa sul
reddito) dei pensionati, mentre le pensioni hanno smesso di essere
indicizzate sull’inflazione; ha soppresso i contratti sussidiati (che
permettevano ad una fascia consistente di persone di lavorare con un
contratto in parte finanziato dagli enti pubblici); ha abbassato
l’entità dei contributi alloggio (APL) di 5 euro al mese per i più
svantaggiati.
Come
se non bastasse, la nuova “tassa carbonio” andrà a pesare molto di più
sui budget delle classi medio-basse che su quello delle classi agiate – 5
volte di più per la precisione. Eppure il governo non prevede alcuna
misura per controbilanciare questa evidente disparità di trattamento –
per esempio dando aiuti alle famiglie più modeste.
L’effetto
di queste politiche, prosecuzione di quelle già attuate dai precedenti
governi Sarkozy e Hollande, è un aumento fenomenale delle
diseguaglianze. Mentre le più grandi fortune di Francia si sono
moltiplicate per 10 negli ultimi 20 anni,1 nello stesso lasso di tempo le classe medie e le classi popolari hanno visto i loro rediti precipitare.
Secondo
un recente studio dell’OFCE e dell’INSEE, il “potere d’acquisto” –
ossia il reddito disponibile – delle famiglie francesi è calato di 440
euro all’anno tra il 2008 e il 2016.2
In questo contesto, sorprende assai poco il sentimento di ingiustizia e
di umiliazione che si va diffondendo. Soprattutto se pensiamo che
durante la sua campagna presidenziale, Macron prometteva di aumentare il
potere d’acquisto dei francesi.
L’immagine
di “presidente dei ricchi” e di presidente arrogante calza ormai a
pennello sull’immagine pubblica di Macron, e la frattura che si è
determinata tra il popolo e l’élite di privilegiati da lui rappresentata
è stata ulteriormente approfondita da una serie di scandali fiscali che
hanno scandito la vita politica francese degli ultimi anni: l’affaire Bettencourt, l’affaire Thévenoud, l’affaire Cahuzac.
Nel
frattempo, l’occupazione tarda a ripartire. Negli anni i vari governi
che si sono susseguiti non mai hanno smesso di affermare che i regali
fiscali alle imprese e ai più ricchi avrebbero stimolato gli
investimenti, rilanciato la crescita e creato nuovi posti di lavoro. La
verità però non mente: stiamo ancora aspettando il milione di impieghi
promessi da Hollande e dal suo allora consigliere Macron grazie alla
creazione del CICE nel 2012.
Il
movimento non si limita alla Francia esagonale; ha raggiunto i
territori d’oltremare (le “ex”-colonie), in particolare l’isola de La
Réunion che è scossa da dieci giorni. In questo territorio dove il tasso
di disoccupazione è molto alto la povertà è endemica – il 42% delle
persone vive sotto la soglia di povertà – e dove i prezzi aumentano in
continuazione, in particolare quelli della benzina, del gas e
dell’elettricità, il movimento dei gilets gialli ha preso delle
proporzioni impressionanti.
Scontri
con le forze dell’ordine, macchine incendiate e autoriduzioni nei
centri commerciali, introduzione già da martedì scorso di un coprifuoco
imposto dal prefetto dell’isola… il movimento non si limita più alla
questione del prezzo della benzina. E infatti, benché il consiglio
regionale abbia annunciato, già da mercoledì 21 l’ottenimento in deroga
del blocco dei prezzi del carburante per i prossimi tre anni, le
tensioni non si sono affatto placate.
Questo
in primo luogo è dovuto al fatto che i gilets gialli chiedono un
abbassamento, e non solo un congelamento, del prezzo della benzina. Ma
c’è anche un altro elemento: le rivendicazioni del movimento vanno ben
oltre la benzina, riguardano le diseguaglianze, il caro-vita, l’accesso
al lavoro, ed una più generale domanda di rispetto e di poter vivere una
vita degna.
Questi
territori, cosi come quelli della Francia periferica e rurale, hanno
sofferto particolarmente la degradazione dei servizi pubblici
organizzata dai governi da oltre un decennio. Dove ospedali, tribunali, o
stazioni ferrovie chiudono, è proprio il servizio che l’imposta
dovrebbe finanziare che scompare dalla quotidianità delle persone. E’
così che il sentimento del “contratto sociale” si affievolisce fino a
svanire, lasciando il posto alla rabbia.
Da
ieri, lunedi 26 novembre, i gilets gialli si sono dotati di 8
“communicanti nazionali” nominati su facebook e incaricati di avviare un
dialogo con il governo. Pur essendo la loro rappresentatività
contestata all’interno del movimento, questi portavoce hanno chiesto un
incontro con il governo per portare le rivendicazioni dei gilets gialli.
Le due proposte principali formulate ad oggi sono l’abbassamento di
tutte le tasse e la creazione di un’”assemblea di cittadini” per
discutere della transizione ecologica, della presa in considerazione
della voce dei cittadini, dell’aumento del “potere d’acquisto” e della
rivalorizzazione del lavoro.
Tra
i temi che quest’assemblea dovrebbe discutere, c’è il divieto di
utilizzo del glifosfato, la commercializzazione di bio-carburanti, la
soppressione del Senato, l’organizzazione di referendum frequenti al
livello nazionale e locale, l’aumento di sovvenzioni per la creazione di
lavori non-precari a tempo determinato e indeterminato, il rispetto
della parità di genere e dell’eguaglianza di trattamento, un
innalzamento del salario minimo, e un abbassamento dei contributi
sociali per i padroni.
Verso una convergenza delle lotte?
È
dunque tutta la politica del presidente dei ricchi, dell’anti-Robin
Hood che ruba ai poveri per dare ai ricchi, che è chiamata in causa? Non
si contano più i cartelli e gli slogan che invocano le dimissioni di
Macron. Da un lato, dunque, questo movimento potrebbe apparire in
continuità con gli altri movimenti di contestazione che hanno scosso il
paese negli ultimi anni.
In
effetti, la Francia è in fibrillazione da molto prima del 17 novembre, a
causa degli attacchi che i lavoratori hanno subito e continuano a
subire, delle due leggi sul lavoro, della riforma dell’accesso
all’università, della repressione del dissenso operata in nome della
lotta al terrorismo, della soppressione di ospedali, tribunali e servizi
sociali. Nonostante questo, la tanto ricercata “convergenza delle
lotte” sembra oggi più che mai difficile da ottenere.
I
gilets gialli sono guardati con una buona dose di perplessità, sospetto
e diffidenza e non parliamo della condiscendenza e del disprezzo che
hanno dominato il discorso mediatico, bensì di una parte consistente dei
commenti provenienti dal variegato mondo della sinistra. Bisogna
infatti notare che la critica ai gilets gialli è stata inluenzata da un
evidente disprezzo di classe. Non si contano i commenti e le battute su
questi “beaufs”, questi “imbecilli” della “France d’en bas”.3
Un certo sentimento di derisione ha attraversato anche i social vicini
alla sinistra autonoma “di movimento” , prima della dimostrazione di
forza del 17 novembre.
Certo,
a volte le perplessità hanno avuto anche ragioni legittime. In primo
luogo, i difensori della natura e della lotta ecologista sono a dir poco
sconcertati dal clamore che sta avendo un movimento che chiede
fondamentalmente di poter bruciare più carburante a minor prezzo e che
sembra fottersene delle sedicenti intenzioni del governo di usare parte
di questa “tassa carbonio” per finanziare la transizione ecologica.
Questo è uno dei principali motivi per cui i sindacati e le forze di
sinistra inizialmente non avevano appoggiato il movimento.
Di
fronte all’ampiezza della mobilizzazione, però, molti hanno
riconsiderato il loro posizionamento; tutte le forze politiche
dell’opposizione (ad esclusione dei verdi) hanno allora mostrato un
discreto sostegno al movimento, stando però attente a non essere
accusate di operare un opportunistico “recupero” politico. Mélenchon,
Ruffin e altre personalità della France Insoumise, nonché molti dei suoi militanti di base, hanno preso parte alle mobilitazzioni a fianco dei gilets jaunes.
Il
sindacato moderato FO Transports ha chiamato per primo martedì a
raggiungere il movimento. Anche Philippe Martinez, il segretario
generale del principale sindacato francese, la GGT, inizialmente
scettico, ha finalmente espresso un prudente sostegno e chiamato ad una
manifestazione unitaria il 1 dicembre. Anche dalla sinistra di
movimento, sono arrivate le adesioni. Il comitato “La Vérité pour Adama” ad esempio – che lotta per ottenere giustizia e verità sulla morte del giovane Adama Traoré, ucciso due anni fa in un commissariato del quartiere popolare di Beaumont-sur-Oise nella banlieue parigina – ha annunciato che scenderà in piazza con i gilets sabato prossimo.
Malgrado
queste adesioni tardive, molti a sinistra continuano a dubitare e a
vedere di cattivo occhio questa mobilitazione. La caratterizzazione
“apolitica” del movimento, e il fatto che molti gillets gialli
dichiarino di non essere mai scesi in piazza prima, attrae al movimento
le accuse di “egoismo” o di avere una natura “piccolo-borghese”. Gli
stessi diffensori della “convergenza delle lotte” stentano a sostenere
le rivendicazioni di persone che non si sono mobilitate l’anno scorso
contro la tripla offensiva del governo contro lavoratori delle ferrovie,
studenti e migranti. Soprattutto, ci sono sospetti di infiltrazione e
pilotaggio dell’estrema destra – in particolare dal Rassemblement
National (RN, ex-FN, Front National), il partito fascista di Marine Le
Pen che era arrivato al secondo turno dell’elezione presidenziale l’anno
scorso.
D’altronde,
si sono effettivamente verificati incidenti razzisti e islamofobi sin
dal primo giorno di mobilitazione – incidenti che, contrariamente al
solito, sono stati ampiamente mediatizzati.4
Venerdì Martinez allertava i suoi affiliati: in alcuni dei blocchi dei
gilets gialli, potrebbero esserci “elementi d’estrema destra che
confondono rivendicazioni e immigrazione”.5
Di
fronte a questi sospetti, molti nell’area movimentista hanno chiamato
alla prudenza, ad aspettare e vedere cosa succederà e quale direzione
prenderà il movimento. È indubbiamente vero che si può incontrare di
tutto sui blocchi: “apolitici” soprattutto, ma anche fascisti del RN,
sostenitori della destra conservatrice dura di Laurent Wauquiez (Les
Républicains), nazionalisti, oppure socialisti, insoumis, comunisti, sindacalisti, anarchisti, ecc.
Ma
proprio per questo motivo l’atteggiamento attendista – “aspettiamo di
vedere come andrà a finire” – rischia di consegnare il movimento alle
tendenze reazionarie. Il malcontento delle classi medie e popolari che
vedevano il loro “potere d’acquisto” diminuire e il loro crescente
rigetto dei ceti politici sono stati il terreno sul quale in Italia si e
costruita l’ascesa del Movimento 5 Stelle e della Lega, proprio perché non esisteva a sinistra una forza capace di rappresentare un’alternativa allo status quo.
Anche
le critiche moraliste che tendono ad accusare i gilets gialli di
materialismo e di egoismo, a vederle da vicino, vanno forse rimesse in
discussione. Non era l’aumento del prezzo del pane il motivo principale
che ha spinto le donne parigine a marciare infuriate su Versailles
nell’ottobre del 1789 e a riportare il re e la sua famiglia a Parigi,
dove potevano essere tenuti d’occhio dal popolo? La storia delle lotte
sociali è cosparsa di movimenti sorti dall’esasperazione dovuta alle
condizioni materiali delle classi popolari, movimenti che possono far
nascere una maggiore consapevolezza, far emergere rivendicazioni più
ampie, e che possono convergere con altre lotte. Oppure no.
In
ogni caso, queste situazioni – pur complesse e multiformi – sono
espressioni di un disagio reale. E starci dentro può essere una scelta
giusta, anche se non semplice, al fine di provare ad intercettare questo
disagio, fonirgli le giuste parole d’ordine, e ad evitare che siano
recuperate, per esempio dall’estrema destra. I gilets gialli potrebbero
in questo modo confluire in un movimento coeso che porti rivendicazioni
non solo fiscali, ma anche ecologiche importanti: per esempio quella di
restaurare l’ISF e di riprendere i 40 miliardi regalati alle imprese con
il CICE per investirle nella transizione ecologica, di nazionalizzare
la SNCF e di ri-sviluppare le ferrovie francesi, di migliorare i
trasporti pubblicie renderli gratuiti, di tassare di più i voli interni e le compagnie aeree, ecc.
È
anche vero che per ora la smisurata visibilità che i media hanno dato
ai gilets gialli ha eclissato altri movimenti importanti che in questi
giorni sono scesi in piazza in Francia. L’esempio più eclatante è quello
delle manifestazioni organizzate sabato 24 in tutta la Francia per la
giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Da
mesi, collettivi e associazioni femministe vare si sono attivate per
organizzare una “marea” contro le violenze sessiste e sessuali. Ad un
anno dell’onda #MeToo, che in Francia ha avuto una risonanza importante,
il progetto di “Nous Toutes” era di far nascere un movimento unitario e
di massa, in un paese dove il movimento femminista è marcato da anni da
tensioni e forti divisioni. E l’operazione è riuscita: sabato erano più
di 50 000 le persone che sono scese in piazza in tutta la Francia, di
cui 30.000 a Parigi. Poco rispetto alla manifestazione di Roma, ma tanto
per la Francia, dove l’anno scorso in piazza eravamo poco più di 2000.
Quello
che conta notare, è che le persone scese in piazza contro il sessismo
erano molte di più degli 8000 gilets gialli che hanno marciato sugli
Champs Elysées, e che nei giorni successivi sono stati la prima notizia
su tutti i media.6
Si
possono fare molti altri esempi di lotte di massa che si sono
susseguite nelle ultime settimane in Francia, e che tuttavia non hanno
ottenuto la stessa risonanza mediatica di quella dei gilets gialli: gli
insegnanti hanno manifestato il 12 novembre per difendere la scuola di
fronte alla soppressione di molti posti; dalla Dordogne a Rouen, i
postini hanno scioperato contro lo smantellamento del servizio postale
pubblico; il 20 novembre infermieri ed infermiere si sono mobilitati per
il finanziamento degli ospedali. Movimenti per la difesa del servizio
pubblico – dall’accesso alla sanità alla formazione professionale,
passando dall’assicurazione sanitaria, la giustizia “di prossimità”, il
soccorso alla persona, i servizi ai disoccupati o l’educazione – e per
l’aumento dei salari ed il miglioramento delle condizioni di lavoro.7
Pochi gironi fa, il governo ha annunciato un aumento delle spese di
iscrizione all’università per gli studenti stranieri “extracomunitari”.
Anche questa misura porterà a nuove proteste e mobilitazioni.
Più
che una convergenza delle lotte, è una moltiplicazione delle lotte
quella che sembra essere in corso oggi in Francia. Lotte con pratiche
differenti – gli studenti delle grandi città non posseggono né macchine
né gilets gialli – ma che esprimono tutte lo stesso scontento, la stessa
rabbia verso le politiche dell’attuale governo come dei precedenti.
Perché tanta visibilità? La strategia di Macron: caricaturare per meglio regnare
Vedremo
nelle prossime settimane se la Francia periferica riuscirà ad unirsi
con la Francia dei grandi centri urbani, degli studenti e dei lavoratori
sindacalizzati. Per ora, il governo sembra intenzionato a non cambiare
rotta. Domenica 25 la ministra dei trasporti, Elisabeth Borne, ha
ribadito che il governo non tornerà indietro sulla “tassa carbonio”.
Ieri, martedì 27, Macron ha fatto una serie di annunci sulla transizione
ecologica, senza fare concessioni ai gilets gialli. Intanto, lo stato
reprime e sgombera i blocchi, centinaia di persone sono state fermate
dalle forze dell’ordine e alcune già condannate a pene di carcere, e il
governo ha duramente condannato gli scontri avvenuti sugli Champs
Elysées.
Sabato
sera un tweet di Macron confermava il suo sostegno alle forze
dell’ordine e dichiarava: «Vergogna a coloro che hanno provato ad
intimidire i deputati. Non c’è posto per la violenza nella Repubblica».
Come al solito, i principali media hanno ampiamente servito la strategia
del governo, focalizzando l’attenzione sulle violenze per screditare il
movimento.
Ma
c’è dell’altro, di più sottile e più machiavellico – e sicuramente più
pericoloso – nella strategia di Macron. Nel tentativo del governo (e dei
media) di dipingere il movimento dei gilets gialli come una devianza
popolare pilotata dall’estrema destra, c’è una manovra per ridare
consenso al partito del Presidente, la maggioranza de La République en
Marche, e preparare così il terreno per le elezioni europee.
Questa
manovra è cominciata già da alcuni mesi, ed è da riconnettere anche
alle perquisizioni subite dai maggiori esponenti della France Insoumise,
la principale forza d’opposizione a sinistra. A settembre, dopo una
primavera di mobilitazioni, ma soprattutto dopo l’”affaire Benalla”
seguito alle rivelazioni dei video in cui si vede la guardia del corpo
del Presidente picchiare manifestanti travestito da poliziotto, Macron è
letteralmente precipitato nei sondaggi. Il leader della France
Insoumise Jean-Luc Mélenchon, invece, raggiungeva il picco dei suoi
consensi, diventando così la principale e più coerente forza di
opposizione a Macron.
A
ottobre, il governo stava attraversando un’ulteriore crisi con le
dimissioni del Ministro dell’Ambiente, il verde Nicolas Hulot – che
denunciava l’influenza delle lobby sulla politica – e del Ministro
dell’Interno Gérard Collomb. E’ in questo contesto che sono giunti una
serie di attacchi contro la France Insoumise. Lo stesso giorno in cui
Macron annunciava il rimpasto ministeriale, un clamoroso raid di polizia
colpiva simultaneamente una quindicina di sedi del movimento e di
domicili dei suoi quadri. Un’operazione di un’ampiezza inedita nella
storia politica francese, soprattutto se pensiamo che è avvenuta solo
nel quadro di un’indagine preliminare riguardante le spese elettorali di
FI.
Macron
ha aperto così la sua campagna per le elezioni europee di maggio 2019,
che mira a presentare il suo partito come la sola forza “progressista”
contro i “nazionalismi”, appaiando il Rassemblement National e la France
Insoumise nello stesso cestino “populista”. Nel 2017, Macron è stato
eletto principalmente grazie al voto contro Le Pen – come era già
avvenuto nel 2002 quando Jacques Chirac vince l’elezione contro
Jean-Marie Le Pen (il padre di Marine), con l’importante differenza che,
mentre Chirac aveva vinto con 82% dei voti, Macron ha vinto solo con il
66%…
La
strategia di Macron consiste nel voler riproporre per le europee lo
stesso scenario. Per questo motivo tende ad auto-rappresentarsi come
“l’anti-Salvini” e l’”anti-Orban”. Eppure, la politica migratoria di
Macron, quella messa in campo con la legge Asilo e Immigrazione
dell’anno scorso, è perfettamente in linea con quella di Salvini o di
Trump: ad esempio se si guarda alla detenzione di bambini ed al
prolungamento delle detenzioni amministrative.8
Di
fatto, la falsa alternativa che si va costruendo al livello europeo tra
Macron e Orban è identica alla falsa alternativa italiana esistente tra
Renzi e Salvini-Di Maio. Il populismo identitario e xenofobo che
fiorisce in tutta Europa, lungi dall’essere una reazione o
un’alternativa alle politiche neoliberiste, ne è un’estensione.9
Come l’ha sottolineato di recente il docente Quinn Slobodian, gli
esponenti dell’Alternative fur Deutschland tedesca, cosi come quelli
dell’estrema destra austriaca hanno legami stretti con la famosa Mont
Pellerin Society, tempio intellettuale mondiale del neoliberismo.10
La
flat tax voluta dal governo Salvini-Di Maio è un altro esempio della
connivenza che la nuova destra identitaria intrattiene con le idee del
blocco neoliberista (di centro-sinistra e centro-destra). Le due
famiglie politiche alla fine dei conti si riconoscono, sia in materia di
politiche economiche che di politiche migratorie, sugli stessi
obiettivi: lasciar circolare i capitali e sbarrare la strada agli esseri
umani. L’Europa voluta da Salvini e Orban è la declinazione e
l’estensione identitaria dell’Europa neoliberista, non il suo contrario.
E’
dunque un’Europa azzuro-bruno che si sta profilando all’orizzonte. I
due blocchi, malgrado le loro complicità, competeranno nelle urne. Negli
ultimi sondaggi, il partito di Le Pen è in testa delle intenzioni di
voto per le Europee, davanti al partito di Macron, alla destra di Les
Républicains e alla France Insoumise.11
Da
qualche giorno, i principali media stanno agitando lo spettro degli
estremismi, quando ribadiscono che il Rassemblement National, ormai
presentata come la principale forza d’opposizione del paese, agisce
sotterraneamente per organizzare una sterzata violenta dei gilets
gialli. Per evitare di cadere nella trappola di Macron, attiviamoci al
fianco dei gilets jaunes sabato prossimo sull’Avenue degli Champs
Elysées.
1 https://www.challenges.fr/classement/le-patrimoine-des-10-plus-grandes-fortunes-francaises-a-explose-en-20-ans_483310
3 https://www.arretsurimages.net/chroniques/le-matinaute/gilets-jaunes-et-passoires-thermiques
4
https://www.huffingtonpost.fr/2018/11/19/la-justice-saisie-apres-une-video-montrant-des-gilets-jaunes-tenir-des-insultes-racistes_a_23593211/
5 https://www.ouest-france.fr/societe/gilets-jaunes/martinez-parmi-les-gilets-jaunes-des-elements-d-extreme-droite-6087576
6
https://www.huffingtonpost.fr/2018/11/24/la-marche-noustoutes-a-paris-a-rassemble-bien-plus-de-monde-que-la-manif-des-gilets-jaunes_a_23599340/?utm_hp_ref=fr-homepage
7 https://www.bastamag.net/Ces-combats-pour-plus-de-justice-sociale-et-sans-gilets-jaunes-dont-les-chaines
8 https://www.jacobinmag.com/2018/11/daniele-obono-france-insoumise-macron-salvini-antiracism
9 Come lo spiega il philosopho Michel Feher: https://aoc.media/opinion/2018/08/28/alerte-orange-leurope-bleue-brune-de-guerre-commerciale-planche-de-salut/
10 http://www.publicseminar.org/2018/02/neoliberalisms-populist-bastards/
11 https://www.lci.fr/politique/europeennes-le-rassemblement-national-en-tete-des-intentions-de-vote-en-marche-recule-2104838.html
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