contropiano
Trovo che il dibattito aperto da Francesco Piobbichi sul tema delle sostanze sia urgente anche se forse tardivo.
Sono
ormai anni che pochi romantici, con scarsi risultati, cercano di
sollevare il velo di imbarazzata complicità che nel movimento si è
scelto di mantenere per coprire abitudini e stili di vita che, pur
rientrando nella sfera della libertà di coscienza, non possono non avere
ricadute anche su di un piano specificamente politico.
E’
bene chiarirsi subito. Qui non si vuole aprire una questione etica,
tantomeno invocare politiche repressive ma molto più onestamente svelare
la grave incoerenza tra quello che diciamo di essere e quello che siamo
diventati. Perché a partire dalla cocaina, vista sia dal punto di vista
del mercato che del consumo, è possibile capire l’involuzione politica e
umana che, da una quindicina di anni a questa parte, tanti nostri spazi
hanno subito.
Che
Roma sia la prima città in Italia per consumo di cocaina e una tra le
prime in Europa è cosa nota, ce lo dice il Dipartimento nazionale
antidroga e ce lo abbiamo più concretamente ogni giorno davanti agli
occhi.
A
Roma si stima vengano consumate 8,7 dosi al giorno ogni 1000 abitanti a
fronte dei 6,5 della media nazionale. Statistica che senza troppa
fantasia possiamo considerare arrotondata per difetto e che ha portato
Roberto Saviano a definire Roma, la Capitale della cocaina, una
“narcocittà”.
Ma
torniamo a noi. E’ sempre bello mangiare in una delle tante cucine
autogestite o trattorie popolari che sono nate all’interno dei nostri
spazi. L’attenzione per la qualità, la ricerca del biologico e in
generale la filiera corta sono elementi che raccontano una giusta
attenzione e sensibilità per il mondo che abbiamo attorno.
Se
vogliamo bere qualcosa sicuramente non troveremo la Coca-cola che
uccide e sevizia i sindacalisti in Sudamerica. Giusto, giustissimo,
sacrosanto. Trovo bizzarro però che questa sensibilità e attenzione non
la si mantenga invece quando ci si trova di fronte alla cocaina. Forse
perchè la filiera corta in questo caso non esiste, nessun cocalero
boliviano scenderà dalle Ande per portarci la foglia di coca a casa. A
bussarci sarà presumibilmente qualche povero cristo, pronto ad infamare e
ad essere infamato alla prima occasione.
Le
più recenti operazioni antidroga della capitale al di là dei nomi
mitologici come Tempio, Babylonia e Luna Nera del 2014 o folkloristici
come Hampa e Romanzo criminale del 2018, ci dicono tante cose ma
soprattutto che rispetto al passato le principali organizzazioni
criminali non gestiscono più direttamente il mercato delle sostanze ma
si affidano a consorterie autoctone che trattano alla pari con queste.
Una
divisione del lavoro funzionale ed efficiente, non potrebbe essere
altrimenti, che vede calabresi e napoletani unici registi ma impegnati
nella logistica solo fino ai confini del Grande raccordo anulare. Da qui
in poi ci pensano quelli che conoscono bene il territorio e gli
equilibri criminali che vi convivono.
Quali
sono queste consorterie e soprattutto da chi sono formate? Non occorre
andare in Procura o infilarsi nei tribunali, tanti nomi si possono
trovare semplicemente sfogliando i quotidiani, altri li si conosce per
triste fama. Quello che manca spesso nel nostro ambiente è l’interesse a
farlo. Del resto quando importanti quantità di sostanze vengono
ritrovate dentro uno spazio sociale, le reazioni non sono mai di
condanna e di presa di distanza ma si cerca di minimizzare come se si
cercasse di realizzare un mercato alternativo, più buono, più compagno.
Non è così.
Il
mercato delle sostanze è saldamente nelle mani del nostro nemico. I
proventi di tale mercato finiscono in tante tasche. Le briciole in
quelle del percolato della società che troviamo per strada, fatto di
ceffi e disperatoni, picchiatori, fascisti, papponi di varia natura, le
somme più grandi in quelle di chi fa “economia” investendo
sull’intrattenimento, aprendo bar, pub, discoteche, gestendo e
organizzando serate e concerti.
Il
grosso in quelle di chi non vedremo e conosceremo mai. Comunque mai
nelle nostre. E per fortuna. Perché quando qualcuno del nostro mondo si
arricchisce o semplicemente campa così, fa del male a tutti. E a questa
gente in altri tempi non avremmo lasciato nemmeno il primo grado di
giudizio. Parliamone.
*Magazzini Popolari, Roma
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venerdì 23 novembre 2018
A chi è in mano lo spaccio di cocaina? Minimizzare ci fa un danno. Parliamone
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