SITUAZIONE
Niente è più temuto dal popolo della sinistra quanto il contatto con l'ignoto. Si vuole conoscere chi si vorrebbe rappresentare, riconoscerlo per classificarlo. Tutta la distanza che la sinistra sindacale e dei partiti ha creato attorno a sé è dettata dalla fobia del contatto. I giubbotti gialli insegnano ai rivoluzionari che l'attesa paziente di sorprese, di cose inaspettate o spaventose potrebbero immergere il movimento generale di secessioni future in un delizioso stato di sbornia.
https://lundi.am Anshel K. et Amos L.
Un fatto centrale: i manifestanti usano tante tattiche, mai viste prima in Francia. Le tangenziali di Nantes, Bordeaux, Rennes sono bloccate. Un'operazione “pedaggio gratuito” si svolge nei pressi di Nizza. Nella Mosella, l'A4 è occupata alla fine della mattinata. Verso le 17, a quanto riferisce la stampa locale, la CRS (polizia antisommossa) mentre cerca di caricare, sarebbe stata accolta dalle molotov. I manifestanti non esitano più ad incendiare i binari mentre si ritirano. A Digione, i giubbotti gialli abbandonano la periferia dove la prefettura voleva contenerli e si sparpagliano nel centro della città. Al Bar le Duc, non bloccano del tutto, ma preferiscono forzare gli automobilisti a rallentare, il tempo di fermarsi a parlare e spiegare. A Marsiglia, bloccano il centro della città e impediscono l'accesso all'aeroporto. A Troyes e Quimper, il più intrepido tentativo di prendere la prefettura. A Parigi, VTC in lotta bloccano le banchine di Bercy e l’incrocio della Bastiglia. Contemporaneamente, la tangenziale è bloccata in entrambe le direzioni mentre, presso la Porte de la Chapelle, arriva la CRS: senza che abbia il tempo di scendere dalla camionetta, il corteo motorizzato dei manifestanti va verso la A1 per bloccare nuovamente l'autostrada principale che collega il più grande aeroporto della Francia alla capitale. Nel pomeriggio, una folla di oltre mille persone travolge la polizia per alcune ore sugli Champs Elysees. La protesta sarà bloccata a poche decine di metri dal cancello principale del Palazzo Presidenziale. A diverse migliaia di chilometri di distanza, gli eventi echeggiano, come in Reunion, dove ci sono circa quaranta blocchi. Un sentimento di rivolta è dunque diffuso.
Diremo che la confusione dei giubbotti gialli è l'immagine della confusione del nostro tempo, che dovrebbe come minimo essere sbrogliata.
CIRCOLAZIONE
Nelle società industriali del XX secolo, l'ostilità del movimento operaio contro il mondo capitalista ha preso la forma dello sciopero, una modalità di azione collettiva che mirava a fissare il prezzo della forza lavoro, i salari, le condizioni di lavoro e i guadagni sociali. Questa forma di lotta mette al centro i lavoratori in quanto tali. Il campo del conflitto si svolgeva nel cuore stesso della produzione, nella sua capacità di interromperlo o sabotarlo. Tuttavia, nelle società postindustriali contemporanee, il compromesso fordista non è più valido. E i giubbotti gialli lo esprimono proprio in questo momento. I blocchi, nella loro dimensione di interruzione della circolazione della merce (parallela a quella del consumo), si configurano come lotta per fissare il prezzo delle merci – in questo caso i combustibili. Il blocco non presenta più un soggetto stabile, quello dell’operaio o della classe, ma configura un campo di individui in lotta, uniti solo da un’affezione sfocata della spoliazione, un’aggregazione di rancori diffusi.
In Europa, il ciclo di accumulazione in atto dagli anni '70 è stato caratterizzato da un indebolimento invariabile dei processi di valorizzazione nel cuore stesso della produzione. In altre parole, la fabbrica non è più il luogo primordiale ed essenziale della creazione di valore. Le macchine da sole e la forza lavoro che le assiste, quella degli operai, non sono più centrali come prima nella creazione della ricchezza. Non corriamo troppi rischi se affermiamo che, nel periodo in questione, il capitale, di fronte a rendimenti fortemente ridotti nei settori tradizionalmente produttivi, ha cercato profitti oltre i limiti della fabbrica. Ciò ha sconvolto i modelli di lotta e la centralità che in essi aveva il movimento operaio. Questo non vuol dire che gli operai siano scomparsi - tutt'altro - ma che hanno perso la loro forza determinante nell’interruzione della produzione e, di conseguenza, il loro ruolo ineludibile nella strutturazione politica della società. Da qui il continuo riflusso delle lotte operaie per vent'anni e le successive sconfitte dei movimenti sociali francesi ormai private dei loro soggetti storici.
Per l'uso immediato e massiccio del blocco, il movimento dei giubbotti gialli oppone una resistenza all’altezza della ristrutturazione capitalistica degli anni 1980 - quella che ha segnato la morte della classe operaia. In effetti, quella ristrutturazione consisteva nell'iper-razionalizzazione della forza lavoro degli operai per ridurla al minimo, per quanto possibile. Non sorprenderà, quindi, che la geografia del movimento dei giubbotti gialli esprima in parte quella della deindustrializzazione.
L'economia finanziaria contemporanea poggia sull'intensificazione dei processi di circolazione su scala globale. Il rapporto sociale capitalista si sviluppa in infiniti circuiti di approvvigionamento, si sviluppa su uno spazio liscio e senza contrasti – è l'immagine dell'attuale marittimizzazione degli scambi planetari, della proliferazione dei cavi sottomarini. Pertanto, ogni tentativo di riprendere il controllo dello spazio della vita si traduce in un'interruzione della circolazione, un incidente topologico di intensità variabile. Ad esempio, nell'estate del 2018, ad Haiti, un'ondata di violenza si diffonde a causa di un aumento del prezzo della benzina che porta alle dimissioni del Primo Ministro. Nel gennaio 2017, è sempre il prezzo della benzina che scuote il Messico. Bilancio: diversi giorni di manifestazioni, di blocchi dei flussi e di scene di saccheggio su grande scala… Non è sorprendente che le rivoluzioni arabe siano iniziate con l’immolazione di Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante, e cioè, che siano iniziate nella tragica periferia della sfera della circolazione
BLOCCHI
Il 17 novembre ci ricorda ciò che ha significato e può significare impadronirsi di questo spazio. Non basta applicargli categorie politiche prive di significato: è meglio guardare, dal basso, ciò che questa giornata evoca nella sua forma.
L’Inghilterra della fine del XVIII secolo offre, a questo proposito, un confronto interessante. Il movimento degli enclosures (i recinti), finalizzato a espropriare ai contadini le terre comunali, era stato inquadrato dall'Inclosure Act del 1773, mentre Adam Smith stava preparando la pubblicazione di The Wealth of Nations (1776). Le comunità del villaggio erano state profondamente destrutturate. Un salto di scala era in corso: l'unità del villaggio, o contea, doveva essere liquidata a favore dell'unificazione economica della Nazione e del suo inserimento nel mercato mondiale. Tuttavia, le comunità del villaggio non consideravano questo processo ineludibile e avevano una tattica per contrastarlo: la folla. Come spiegato dallo storico britannico E.P. Thompson, la folla non riconosceva le leggi della domanda e dell'offerta, secondo le quali la scarsità si traduceva inevitabilmente in un aumento dei prezzi, e rimaneva attaccata alle tradizioni della contrattazione diretta, che difendeva attraverso la rivolta. Qualsiasi aumento del prezzo del pane, qualsiasi tentativo di imporre misure per la vendita di grano che non corrispondesse agli standard popolari e locali, era causa di rivolte. Nel 1795, quando la carenza di cibo si diffuse in Europa, i pescherecci rimanevano bloccati nei porti perché i mediatori all'ingrosso erano sospettati di trasportare grano all'estero. Il grano, il sostentamento, era bloccato- e così tutti i tipi di flussi che potevano essere associati ad esso: per esempio si intercettavano i carri di grano in aperta campagna, utilizzando i "banditi sociali", si impediva la partenza delle navi. Si bloccava la rete del grano.
Anche il luddismo, un po' più tardi, assumerà le caratteristiche di un atto deliberato di rallentamento del flusso di merci e persone. Ma laddove la questione dell'interruzione - o, per lo meno, del controllo dei flussi - riemerge, è dopo la guerra del 1870. I prussiani avevano dimostrato all'Europa che la loro vittoria poggiava nel controllo senza precedenti della circolazione delle truppe per ferrovia e, di conseguenza, nell’approvvigionamento di carbone. Il sabotaggio nasce da questa constatazione: ne sono stati protagonisti gli uomini del fronte, i comunardi che tagliavano le linee telegrafiche, poi trasferiti nella sfera politica attraverso il sindacalismo basato sull’azione diretta.
Émile Pouget propone allora la questione del sabotaggio non appena torna dall'esilio nel 1895: il sabotaggio era inseparabile dal mito dello sciopero generale rivoluzionario. Nel 1912, la pubblicazione della sua opera principale, che fa del sabotaggio il principio stesso della lotta: "Una volta che un uomo ha avuto la criminale ingegnosità di ottenere profitti dal lavoro del suo compagno, da quel giorno gli sfruttati hanno, istintivamente, cercato di dare il meno possibile di quanto il padrone richiedeva. In questo modo, con la stessa incoscienza che il signor Jourdain esponeva nella sua prosa, lo sfruttato ha praticato il sabotaggio, dimostrando così, senza saperlo, l'irriducibile antagonismo tra capitale e lavoro".
Derivato dal go'canny scozzese, o dal "trascinare gli zoccoli" (Faire trainer les sabots), il sabotaggio, che inizialmente era un rallentamento del lavoro, si eleva con Pouget all'intera rete di produzione e circolazione dei materiali, si adatta all'emergere della fabbrica tayloriana. Benché i rivoluzionari sindacalisti non fossero mai stati in grado di imporsi nelle grandi federazioni di lavoratori (miniere, ferrovie), tuttavia, fu aperta una breve "era del sabotaggio" tra il 1906 e il 1911: il "Roi de Ombre" Emile Pataud, capo dell'unione dei lavoratori dell’elettricità, fece precipitare Parigi nell'oscurità il 7 marzo. Nell'aprile 1909, uno sciopero dei lavoratori delle poste bloccò la sezione di molte linee telegrafiche. Il 13 ottobre 1909, durante la protesta contro l'assassinio di Francisco Ferrer, i rivoltosi parigini diedero fuoco alle condutture del gas, e nel bel mezzo della notte scoppiarono nel centro della capitale geyser di fuoco. Allo stesso tempo, i ferrovieri furono sospettati di aver tentato di interrompere le ferrovie e la repressione si abbatté sul sindacalismo rivoluzionario dopo l'episodio del "Pont de l’Arche", quando quattro carrozze del rapido di Le Havre caddero in un fosso la notte tra il 29 e il 30 giugno 1911, senza fare vittime. Certo, non si trattava più di movimenti di massa dei contadini, però la dimensione logistica del potere era stata svelata in modo schiacciante, senza precedenti.
RAPPRESENTAZIONE
Il 17 novembre è dunque qualcosa che ha a che fare con il concetto di spazio. Ci dice qualcosa sul modo di abitare lo spazio dei giubbotti gialli: questo modo di vivere le "città invisibili", che unisce le periferie, il periferico-urbano e il rurale nella loro comune dipendenza dall'auto. E ci dice dell’altro sul modo di progettarsi nello spazio - un modo di opporsi al pensiero “a zone” dello Stato, il pensiero reticolare dell'esperienza del mondo.
I giubbotti gialli non formano un collettivo politico omogeneo e stabile. Al contrario, l'effetto di massa del movimento è così frammentato che difficilmente si può capire all’interno delle categorie positiviste della sociologia politica. Da qui l'incomprensione in molte frange di sinistra e dei suoi estremi. Quindi una certa freddezza. Da qui alcune calunnie e l’accusa di poujadismo.
Tuttavia, ciò che è formidabile in questo momento iniziale non è la chiarezza del movimento che sta prendendo forma, ma il fatto che sfugge ancora e non si fa catturare politicamente. Ciò gli conferisce un carattere imprevedibile perché sfugge per il momento ancora al repertorio dell'azione della politica classica – sia di sinistra che di destra. Senza una direzione sindacale e senza grandi manifestazioni con affermazioni chiare e definite, l'ostilità antigovernativa dei giubbotti gialli non si esprime nelle forme classiche del movimento sociale alla francese. C'è una certa dose di stupore collettivo, una certa apertura al panico - e il panico è ciò che mette paura ai politici. Questa grande paura è in parte dovuta a un fenomeno di massiccia proletarizzazione, ma anche al sentimento diffuso che le crisi contemporanee minacciano le nostre attuali modalità di esistenza. L'embrione di ostilità generalizzata verso un aumento dei prezzi è stato costruito certamente da un'individualità generica, ma “più si lotta per la propria vita più diventa chiaro che si lotta contro gli altri che ci ostacolano da tutte le parti", Elias Canetti ce lo ricordava nel secolo precedente con Massa e potere.
GIALLO E VERDE
L'uso simbolico del giubbotto giallo è chiaro: ciò che è stato inizialmente imposto come dispositivo di sicurezza si trasforma in una non classificazione sociale. L'orribile abbigliamento giallo che dovrebbe normalmente essere indossato al momento di una fermata forzata nella corsia d’emergenza delle strade (questo fino all'arrivo del soccorso, il carro attrezzi o la polizia) diventa veicolo simbolico di un’aggregazione di rabbia popolare. Questo dispositivo della società a rischio controllato viene riutilizzato come elemento di disturbo, rivelandone tutte le sue bugie. Fuori dalle loro auto, i giubbotti gialli si riconoscono nell'emergenza causata dall'improvviso degrado dei loro mezzi di sostentamento. Quello che è successo questo fine settimana è un'inversione: i giubbotti gialli sono fuori, ma potrebbero non essere in attesa del carroattrezzi di una compagnia che dovrebbe venire in loro aiuto. Perché se la macchina è rotta, è anche a causa della strada.
'Si lavora per mettere il diesel in macchina, per andare a lavorare, per mettere il diesel in macchina. Capisci? ", Dice un contestatore anonimo. Un marxista vedrebbe in queste parole una definizione del dominio astratto: il fatto che si debba lavorare per lavorare. Noi ci vediamo la metafora di una civiltà agonizzante che tradisce uno dei limiti strutturali del nascente movimento dei giubbotti gialli. È che il mondo attuale si mantiene attraverso l’intensificazione permanente e chiude l'orizzonte stesso del suo potenziale superamento. Imprigiona quindi qualsiasi proposta di radicale biforcazione.
Certo, l'ipotesi dei giubbotti gialli rimane per il momento prigioniera del mondo che l'ha prodotta, ma non è il suo fine in sé. Molte menti pignoli hanno già criticato la natura inquinante delle loro richieste. Tutte le contro-insurrezione si basano su tattiche che mirano a dividere i segmenti della popolazione che potrebbero unirsi agli insorti. La “macronie” l’ha capito bene, visto che stiamo assistendo in questi giorni – man mano che cresce l’inquietudine del potere - all'inflazione di un meta-discorso che vorrebbe opporre i giubbotti gialli della periferia all’ecologista urbano.
Noi diciamo al contrario, che l’uno non va senza l'altro. La rabbia del giubbotto giallo gli sfugge e questa deve contaminare lo spirito riparatore dell'ecologista. In cambio, la dimensione riparatrice dell'ecologista deve toccare il carattere distruttivo degli artefici dei blocchi vestiti con i giubbotti gialli. Entrambi devono condividere l'esperienza comune che il potere che li stritola è incarnato da infrastrutture che dovranno combattere insieme.
Uno storico del costume, Michel Pastoureau, ha mostrato che nel Medioevo il giallo e il verde, quando uniti, illustrano un campo simbolico del disordine. Ci ha detto che nel XIV secolo, se il bianco conserva tutto il suo prestigio semantico ed estetico, il giallo significa l'altro radicale, 'il giallo non è quasi più il colore del sole, delle ricchezze e dell'amore divino, [...] diventa il colore della bile, della menzogna, del tradimento e dell'eresia, [...] è anche il colore di lacchè, prostitute, ebrei e criminali". Per quanto riguarda il verde, il senso è più sottile, "è il tipico colore ambivalente", "il colore del diavolo e dell'Islam, il colore della gelosia e talvolta della rovina, il verde è anche il colore della gioventù e della speranza, quella dell'innalzamento dell'amore e della noncuranza, quella della libertà [...] che trasmette un'idea di rottura, anche di pazzia. Esattamente come oggi con il giubbotto giallo e l'ecologista verde, "il giallo evoca la trasgressione della norma; il verde, il disturbo dell'ordine stabilito, e quando sono giustapposti, i due colori producono un intenso simbolo di disordine. Nel suo carattere variegato e squartato, la ridondanza di questo bicromia equivale quasi a una struttura cromatica a spirale, che dà l'impressione di un rumore violento e crescente, di un blocco a venire. Così, nell'immaginario carnevalesco, i due colori collegati sono associati al furfante o al giullare, o alla figura del truffatore, l'essere che prende in giro i potenti e la cui risata distrugge e ripara al tempo stesso.
- Anshel K. e Amos L.-
Niente è più temuto dal popolo della sinistra quanto il contatto con l'ignoto. Si vuole conoscere chi si vorrebbe rappresentare, riconoscerlo per classificarlo. Tutta la distanza che la sinistra sindacale e dei partiti ha creato attorno a sé è dettata dalla fobia del contatto. I giubbotti gialli insegnano ai rivoluzionari che l'attesa paziente di sorprese, di cose inaspettate o spaventose potrebbero immergere il movimento generale di secessioni future in un delizioso stato di sbornia.
https://lundi.am Anshel K. et Amos L.
Un fatto centrale: i manifestanti usano tante tattiche, mai viste prima in Francia. Le tangenziali di Nantes, Bordeaux, Rennes sono bloccate. Un'operazione “pedaggio gratuito” si svolge nei pressi di Nizza. Nella Mosella, l'A4 è occupata alla fine della mattinata. Verso le 17, a quanto riferisce la stampa locale, la CRS (polizia antisommossa) mentre cerca di caricare, sarebbe stata accolta dalle molotov. I manifestanti non esitano più ad incendiare i binari mentre si ritirano. A Digione, i giubbotti gialli abbandonano la periferia dove la prefettura voleva contenerli e si sparpagliano nel centro della città. Al Bar le Duc, non bloccano del tutto, ma preferiscono forzare gli automobilisti a rallentare, il tempo di fermarsi a parlare e spiegare. A Marsiglia, bloccano il centro della città e impediscono l'accesso all'aeroporto. A Troyes e Quimper, il più intrepido tentativo di prendere la prefettura. A Parigi, VTC in lotta bloccano le banchine di Bercy e l’incrocio della Bastiglia. Contemporaneamente, la tangenziale è bloccata in entrambe le direzioni mentre, presso la Porte de la Chapelle, arriva la CRS: senza che abbia il tempo di scendere dalla camionetta, il corteo motorizzato dei manifestanti va verso la A1 per bloccare nuovamente l'autostrada principale che collega il più grande aeroporto della Francia alla capitale. Nel pomeriggio, una folla di oltre mille persone travolge la polizia per alcune ore sugli Champs Elysees. La protesta sarà bloccata a poche decine di metri dal cancello principale del Palazzo Presidenziale. A diverse migliaia di chilometri di distanza, gli eventi echeggiano, come in Reunion, dove ci sono circa quaranta blocchi. Un sentimento di rivolta è dunque diffuso.
Diremo che la confusione dei giubbotti gialli è l'immagine della confusione del nostro tempo, che dovrebbe come minimo essere sbrogliata.
CIRCOLAZIONE
Nelle società industriali del XX secolo, l'ostilità del movimento operaio contro il mondo capitalista ha preso la forma dello sciopero, una modalità di azione collettiva che mirava a fissare il prezzo della forza lavoro, i salari, le condizioni di lavoro e i guadagni sociali. Questa forma di lotta mette al centro i lavoratori in quanto tali. Il campo del conflitto si svolgeva nel cuore stesso della produzione, nella sua capacità di interromperlo o sabotarlo. Tuttavia, nelle società postindustriali contemporanee, il compromesso fordista non è più valido. E i giubbotti gialli lo esprimono proprio in questo momento. I blocchi, nella loro dimensione di interruzione della circolazione della merce (parallela a quella del consumo), si configurano come lotta per fissare il prezzo delle merci – in questo caso i combustibili. Il blocco non presenta più un soggetto stabile, quello dell’operaio o della classe, ma configura un campo di individui in lotta, uniti solo da un’affezione sfocata della spoliazione, un’aggregazione di rancori diffusi.
In Europa, il ciclo di accumulazione in atto dagli anni '70 è stato caratterizzato da un indebolimento invariabile dei processi di valorizzazione nel cuore stesso della produzione. In altre parole, la fabbrica non è più il luogo primordiale ed essenziale della creazione di valore. Le macchine da sole e la forza lavoro che le assiste, quella degli operai, non sono più centrali come prima nella creazione della ricchezza. Non corriamo troppi rischi se affermiamo che, nel periodo in questione, il capitale, di fronte a rendimenti fortemente ridotti nei settori tradizionalmente produttivi, ha cercato profitti oltre i limiti della fabbrica. Ciò ha sconvolto i modelli di lotta e la centralità che in essi aveva il movimento operaio. Questo non vuol dire che gli operai siano scomparsi - tutt'altro - ma che hanno perso la loro forza determinante nell’interruzione della produzione e, di conseguenza, il loro ruolo ineludibile nella strutturazione politica della società. Da qui il continuo riflusso delle lotte operaie per vent'anni e le successive sconfitte dei movimenti sociali francesi ormai private dei loro soggetti storici.
Per l'uso immediato e massiccio del blocco, il movimento dei giubbotti gialli oppone una resistenza all’altezza della ristrutturazione capitalistica degli anni 1980 - quella che ha segnato la morte della classe operaia. In effetti, quella ristrutturazione consisteva nell'iper-razionalizzazione della forza lavoro degli operai per ridurla al minimo, per quanto possibile. Non sorprenderà, quindi, che la geografia del movimento dei giubbotti gialli esprima in parte quella della deindustrializzazione.
L'economia finanziaria contemporanea poggia sull'intensificazione dei processi di circolazione su scala globale. Il rapporto sociale capitalista si sviluppa in infiniti circuiti di approvvigionamento, si sviluppa su uno spazio liscio e senza contrasti – è l'immagine dell'attuale marittimizzazione degli scambi planetari, della proliferazione dei cavi sottomarini. Pertanto, ogni tentativo di riprendere il controllo dello spazio della vita si traduce in un'interruzione della circolazione, un incidente topologico di intensità variabile. Ad esempio, nell'estate del 2018, ad Haiti, un'ondata di violenza si diffonde a causa di un aumento del prezzo della benzina che porta alle dimissioni del Primo Ministro. Nel gennaio 2017, è sempre il prezzo della benzina che scuote il Messico. Bilancio: diversi giorni di manifestazioni, di blocchi dei flussi e di scene di saccheggio su grande scala… Non è sorprendente che le rivoluzioni arabe siano iniziate con l’immolazione di Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante, e cioè, che siano iniziate nella tragica periferia della sfera della circolazione
BLOCCHI
Il 17 novembre ci ricorda ciò che ha significato e può significare impadronirsi di questo spazio. Non basta applicargli categorie politiche prive di significato: è meglio guardare, dal basso, ciò che questa giornata evoca nella sua forma.
L’Inghilterra della fine del XVIII secolo offre, a questo proposito, un confronto interessante. Il movimento degli enclosures (i recinti), finalizzato a espropriare ai contadini le terre comunali, era stato inquadrato dall'Inclosure Act del 1773, mentre Adam Smith stava preparando la pubblicazione di The Wealth of Nations (1776). Le comunità del villaggio erano state profondamente destrutturate. Un salto di scala era in corso: l'unità del villaggio, o contea, doveva essere liquidata a favore dell'unificazione economica della Nazione e del suo inserimento nel mercato mondiale. Tuttavia, le comunità del villaggio non consideravano questo processo ineludibile e avevano una tattica per contrastarlo: la folla. Come spiegato dallo storico britannico E.P. Thompson, la folla non riconosceva le leggi della domanda e dell'offerta, secondo le quali la scarsità si traduceva inevitabilmente in un aumento dei prezzi, e rimaneva attaccata alle tradizioni della contrattazione diretta, che difendeva attraverso la rivolta. Qualsiasi aumento del prezzo del pane, qualsiasi tentativo di imporre misure per la vendita di grano che non corrispondesse agli standard popolari e locali, era causa di rivolte. Nel 1795, quando la carenza di cibo si diffuse in Europa, i pescherecci rimanevano bloccati nei porti perché i mediatori all'ingrosso erano sospettati di trasportare grano all'estero. Il grano, il sostentamento, era bloccato- e così tutti i tipi di flussi che potevano essere associati ad esso: per esempio si intercettavano i carri di grano in aperta campagna, utilizzando i "banditi sociali", si impediva la partenza delle navi. Si bloccava la rete del grano.
Anche il luddismo, un po' più tardi, assumerà le caratteristiche di un atto deliberato di rallentamento del flusso di merci e persone. Ma laddove la questione dell'interruzione - o, per lo meno, del controllo dei flussi - riemerge, è dopo la guerra del 1870. I prussiani avevano dimostrato all'Europa che la loro vittoria poggiava nel controllo senza precedenti della circolazione delle truppe per ferrovia e, di conseguenza, nell’approvvigionamento di carbone. Il sabotaggio nasce da questa constatazione: ne sono stati protagonisti gli uomini del fronte, i comunardi che tagliavano le linee telegrafiche, poi trasferiti nella sfera politica attraverso il sindacalismo basato sull’azione diretta.
Émile Pouget propone allora la questione del sabotaggio non appena torna dall'esilio nel 1895: il sabotaggio era inseparabile dal mito dello sciopero generale rivoluzionario. Nel 1912, la pubblicazione della sua opera principale, che fa del sabotaggio il principio stesso della lotta: "Una volta che un uomo ha avuto la criminale ingegnosità di ottenere profitti dal lavoro del suo compagno, da quel giorno gli sfruttati hanno, istintivamente, cercato di dare il meno possibile di quanto il padrone richiedeva. In questo modo, con la stessa incoscienza che il signor Jourdain esponeva nella sua prosa, lo sfruttato ha praticato il sabotaggio, dimostrando così, senza saperlo, l'irriducibile antagonismo tra capitale e lavoro".
Derivato dal go'canny scozzese, o dal "trascinare gli zoccoli" (Faire trainer les sabots), il sabotaggio, che inizialmente era un rallentamento del lavoro, si eleva con Pouget all'intera rete di produzione e circolazione dei materiali, si adatta all'emergere della fabbrica tayloriana. Benché i rivoluzionari sindacalisti non fossero mai stati in grado di imporsi nelle grandi federazioni di lavoratori (miniere, ferrovie), tuttavia, fu aperta una breve "era del sabotaggio" tra il 1906 e il 1911: il "Roi de Ombre" Emile Pataud, capo dell'unione dei lavoratori dell’elettricità, fece precipitare Parigi nell'oscurità il 7 marzo. Nell'aprile 1909, uno sciopero dei lavoratori delle poste bloccò la sezione di molte linee telegrafiche. Il 13 ottobre 1909, durante la protesta contro l'assassinio di Francisco Ferrer, i rivoltosi parigini diedero fuoco alle condutture del gas, e nel bel mezzo della notte scoppiarono nel centro della capitale geyser di fuoco. Allo stesso tempo, i ferrovieri furono sospettati di aver tentato di interrompere le ferrovie e la repressione si abbatté sul sindacalismo rivoluzionario dopo l'episodio del "Pont de l’Arche", quando quattro carrozze del rapido di Le Havre caddero in un fosso la notte tra il 29 e il 30 giugno 1911, senza fare vittime. Certo, non si trattava più di movimenti di massa dei contadini, però la dimensione logistica del potere era stata svelata in modo schiacciante, senza precedenti.
RAPPRESENTAZIONE
Il 17 novembre è dunque qualcosa che ha a che fare con il concetto di spazio. Ci dice qualcosa sul modo di abitare lo spazio dei giubbotti gialli: questo modo di vivere le "città invisibili", che unisce le periferie, il periferico-urbano e il rurale nella loro comune dipendenza dall'auto. E ci dice dell’altro sul modo di progettarsi nello spazio - un modo di opporsi al pensiero “a zone” dello Stato, il pensiero reticolare dell'esperienza del mondo.
I giubbotti gialli non formano un collettivo politico omogeneo e stabile. Al contrario, l'effetto di massa del movimento è così frammentato che difficilmente si può capire all’interno delle categorie positiviste della sociologia politica. Da qui l'incomprensione in molte frange di sinistra e dei suoi estremi. Quindi una certa freddezza. Da qui alcune calunnie e l’accusa di poujadismo.
Tuttavia, ciò che è formidabile in questo momento iniziale non è la chiarezza del movimento che sta prendendo forma, ma il fatto che sfugge ancora e non si fa catturare politicamente. Ciò gli conferisce un carattere imprevedibile perché sfugge per il momento ancora al repertorio dell'azione della politica classica – sia di sinistra che di destra. Senza una direzione sindacale e senza grandi manifestazioni con affermazioni chiare e definite, l'ostilità antigovernativa dei giubbotti gialli non si esprime nelle forme classiche del movimento sociale alla francese. C'è una certa dose di stupore collettivo, una certa apertura al panico - e il panico è ciò che mette paura ai politici. Questa grande paura è in parte dovuta a un fenomeno di massiccia proletarizzazione, ma anche al sentimento diffuso che le crisi contemporanee minacciano le nostre attuali modalità di esistenza. L'embrione di ostilità generalizzata verso un aumento dei prezzi è stato costruito certamente da un'individualità generica, ma “più si lotta per la propria vita più diventa chiaro che si lotta contro gli altri che ci ostacolano da tutte le parti", Elias Canetti ce lo ricordava nel secolo precedente con Massa e potere.
GIALLO E VERDE
L'uso simbolico del giubbotto giallo è chiaro: ciò che è stato inizialmente imposto come dispositivo di sicurezza si trasforma in una non classificazione sociale. L'orribile abbigliamento giallo che dovrebbe normalmente essere indossato al momento di una fermata forzata nella corsia d’emergenza delle strade (questo fino all'arrivo del soccorso, il carro attrezzi o la polizia) diventa veicolo simbolico di un’aggregazione di rabbia popolare. Questo dispositivo della società a rischio controllato viene riutilizzato come elemento di disturbo, rivelandone tutte le sue bugie. Fuori dalle loro auto, i giubbotti gialli si riconoscono nell'emergenza causata dall'improvviso degrado dei loro mezzi di sostentamento. Quello che è successo questo fine settimana è un'inversione: i giubbotti gialli sono fuori, ma potrebbero non essere in attesa del carroattrezzi di una compagnia che dovrebbe venire in loro aiuto. Perché se la macchina è rotta, è anche a causa della strada.
'Si lavora per mettere il diesel in macchina, per andare a lavorare, per mettere il diesel in macchina. Capisci? ", Dice un contestatore anonimo. Un marxista vedrebbe in queste parole una definizione del dominio astratto: il fatto che si debba lavorare per lavorare. Noi ci vediamo la metafora di una civiltà agonizzante che tradisce uno dei limiti strutturali del nascente movimento dei giubbotti gialli. È che il mondo attuale si mantiene attraverso l’intensificazione permanente e chiude l'orizzonte stesso del suo potenziale superamento. Imprigiona quindi qualsiasi proposta di radicale biforcazione.
Certo, l'ipotesi dei giubbotti gialli rimane per il momento prigioniera del mondo che l'ha prodotta, ma non è il suo fine in sé. Molte menti pignoli hanno già criticato la natura inquinante delle loro richieste. Tutte le contro-insurrezione si basano su tattiche che mirano a dividere i segmenti della popolazione che potrebbero unirsi agli insorti. La “macronie” l’ha capito bene, visto che stiamo assistendo in questi giorni – man mano che cresce l’inquietudine del potere - all'inflazione di un meta-discorso che vorrebbe opporre i giubbotti gialli della periferia all’ecologista urbano.
Noi diciamo al contrario, che l’uno non va senza l'altro. La rabbia del giubbotto giallo gli sfugge e questa deve contaminare lo spirito riparatore dell'ecologista. In cambio, la dimensione riparatrice dell'ecologista deve toccare il carattere distruttivo degli artefici dei blocchi vestiti con i giubbotti gialli. Entrambi devono condividere l'esperienza comune che il potere che li stritola è incarnato da infrastrutture che dovranno combattere insieme.
Uno storico del costume, Michel Pastoureau, ha mostrato che nel Medioevo il giallo e il verde, quando uniti, illustrano un campo simbolico del disordine. Ci ha detto che nel XIV secolo, se il bianco conserva tutto il suo prestigio semantico ed estetico, il giallo significa l'altro radicale, 'il giallo non è quasi più il colore del sole, delle ricchezze e dell'amore divino, [...] diventa il colore della bile, della menzogna, del tradimento e dell'eresia, [...] è anche il colore di lacchè, prostitute, ebrei e criminali". Per quanto riguarda il verde, il senso è più sottile, "è il tipico colore ambivalente", "il colore del diavolo e dell'Islam, il colore della gelosia e talvolta della rovina, il verde è anche il colore della gioventù e della speranza, quella dell'innalzamento dell'amore e della noncuranza, quella della libertà [...] che trasmette un'idea di rottura, anche di pazzia. Esattamente come oggi con il giubbotto giallo e l'ecologista verde, "il giallo evoca la trasgressione della norma; il verde, il disturbo dell'ordine stabilito, e quando sono giustapposti, i due colori producono un intenso simbolo di disordine. Nel suo carattere variegato e squartato, la ridondanza di questo bicromia equivale quasi a una struttura cromatica a spirale, che dà l'impressione di un rumore violento e crescente, di un blocco a venire. Così, nell'immaginario carnevalesco, i due colori collegati sono associati al furfante o al giullare, o alla figura del truffatore, l'essere che prende in giro i potenti e la cui risata distrugge e ripara al tempo stesso.
- Anshel K. e Amos L.-
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