Domani (oggi) a Roma sfilerà il corteo per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne organizzato dal movimento Non una di meno. Ma lo stato di agitazione non si ferma qui. Prossimo appuntamento nazionale: lo sciopero globale dell’8 marzo.
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micromega Ingrid Colanicchia«Ci volete ancelle, ci avrete ribelli». Con un esplicito riferimento al romanzo Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood - che immagina un futuro distopico in cui il corpo delle donne è asservito agli scopi del regime di turno - si è concluso, il 10 novembre scorso, l’intervento del movimento femminista Non una di meno (Nudm) al sit-in organizzato a Roma (ma contestualmente in moltissime altre città d’Italia) contro il ddl in materia di affido condiviso del senatore leghista neocatecumenale Simone Pillon (che presenta diverse criticità, come la mediazione familiare obbligatoria e l’introduzione del concetto di alienazione parentale).
Una mobilitazione - indetta dalla Rete dei centri antiviolenza DiRe
insieme a Cgil, Uil, Udi, Cam (Centro ascolto maltrattanti), Cismai
(Coordinamento servizi maltrattamenti all’infanzia), Casa Internazionale
delle donne, Arci, BeFree, Non una di meno, Movimento per l’Infanzia,
Telefono Rosa, Terre des hommes e molti altri ancora - che ha visto
protagoniste quelle stesse parole d’ordine che saranno scandite anche
domani al corteo nazionale per la Giornata internazionale contro la
violenza sulle donne che partirà da piazza della Repubblica, Roma, alle
ore 14.
«Da più di due anni – si legge nel testo di convocazione del corteo
– siamo nelle piazze e nelle strade a ribadire che i femminicidi sono
la punta di un iceberg fatto di oppressione: la violenza maschile
comincia nel privato delle case ma pervade ogni ambito della società e
diventa sempre più strumento politico di dominio, producendo solitudine,
disuguaglianze e sfruttamento. Il governo Salvini-Di Maio – prosegue
Nudm – si è fatto portatore di una vera e propria guerra contro donne,
migranti e soggettività lgbt*qia+, attraverso misure e proposte di legge
che insistono su un modello patriarcale e autoritario che vorrebbe
schiacciare e ridurre al silenzio la nostra libertà. Contro le donne si
scaglia il ddl Pillon su affido e mantenimento dei figli per difendere
la famiglia tradizionale e ristabilire ruoli e gerarchie di genere che
negano l’autodeterminazione delle donne. La libertà di decidere sul
nostro corpo e delle nostre vite è sempre più attaccata da campagne
fondamentaliste di criminalizzazione dell’aborto che oggi trovano spazio
in ogni parte del mondo e rappresentanza nel governo. Noi rispondiamo
che la libertà di abortire non si tocca e che il ddl Pillon non si
riforma, si blocca!».
Sono in effetti tempi più bui del solito per i diritti delle donne.
Al di là del ddl Pillon, il fronte più preoccupante è come sempre
quello dell’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, già messo
a dura prova da quel 70 per cento di medici obiettori che si rifiuta di
praticarla. E non basta. Negli ultimi mesi un po’ ovunque nel paese
sono spuntate mozioni comunali sedicenti “pro-life” tese a decretare
varie città italiane “a favore della vita” (e contro l’aborto dunque).
La prima è stata Verona, cui hanno poi fatto seguito Ferrara, Roma,
Milano e, stando a quanto dichiarato dal responsabile giovani della
Lega, Roberto Todeschini, la “lodevole” iniziativa sarà portata in tutti
i comuni governati dal partito di Salvini «con l’obiettivo di
estenderla a livello regionale e nazionale». Posizioni che hanno
peraltro anche importanti referenti nel governo, come per esempio nel
ministro della Famiglia, il cattolico oltranzista Lorenzo Fontana, che
subito dopo l’insediamento del governo ha dichiarato che «la famiglia è
quella naturale» e che «purtroppo nel contratto di governo non c’è la
stretta sull’aborto».
Lo stato di agitazione è appena cominciato.
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