La potenza del movimento femminista continua a farsi sentire da tutti gli angoli del mondo. In Italia il 24 novembre, Non una di meno in piazza contro la violenza patriarcale e razzista.
Il prossimo sabato la marea
femminista tornerà in piazza. Un corteo moltitudinario invaderà di nuovo
le strade della capitale, in occasione della giornata internazionale
contro la violenza sulle donne. Una data risemantizzata dal movimento Non Una Di Meno,
un grido globale che dall’Argentina alla Polonia, dalla Spagna
all’Irlanda, da Verona a New York, da ormai quasi tre anni rappresenta
le voci di coloro che non ci sono più, di tutte quelle donne, migranti e
soggettività lgbt*qia+ su cui si abbattono provvedimenti violenti,
razzisti e patriarcali in tutti gli angoli del mondo. In Italia il
movimento Non Una Di Meno ha dichiarato lo stato di agitazione permanente contro il governo Salvini Di Maio e le sue politiche contro le donne.
L’autodeterminazione e la libertà di scelta delle donne sono sotto attacco, dentro e fuori le mura domestiche, nelle strade, nelle scuole, sulle frontiere come in mare. La potenza del movimento femminista è stata proprio nell’analisi della violenza contro le donne come fenomeno strutturale, come violenza ramificata nei vari aspetti della nostra vita, una violenza che batte il ritmo di una donna ammazzata ogni giorno e mezzo, e se non veniamo ammazzate siamo torturate, stuprate, controllate e sfruttate.
A questa guerra dichiarata rispondiamo riprendendoci tutto il tempo e lo spazio che ci servono, contro ogni strumentalizzazione razzista e sessista sui nostri corpi, rivendicando un reddito di autodeterminazione che ci renda libere di scegliere chi amare, come e se lavorare, come migrare e come restare. La marea si fa di tutte quelle soggettività differenti che il governo vorrebbe cancellare e oscurare perché fuori dalla norma, perché scomode e paurose.
Se il governo giallo verde si rende complice dei naufragi, delle torture e del mancato soccorso delle persone che ogni giorno provano ad attraversare le acque del mediterraneo, noi siamo antirazziste e ricostruiamo ogni giorno quei legami di solidarietà che le politiche istituzionali tentano di spezzare con la storiella dell’invasione, della sostituzione etnica e della difesa della patria, e della famiglia tradizionale bianca. Il tanto decantato cambiamento starebbe, come sempre, nello smantellamento del welfare e in politiche del lavoro di tipo workfarista che colpiscono per prime le donne e tutti quei soggetti già perdenti in partenza. Se nei luoghi di lavoro siamo molestate e continuamente sotto ricatto, nelle case siamo poste sempre di più in un ruolo di sudditanza e giogo ulteriore.
Ne è un perfetto esempio il disegno di legge Pillon, riguardo l’affido e il mantenimento dei figli, un provvedimento che vorrebbe riportare le donne ad una condizione passiva, subordinata e di cura, in cui vengano ristabilite precise gerarchie di genere che ci vorrebbe sempre sotto, mute e povere.
Come se non bastasse, negli ultimi mesi le associazioni italiane e cattoliche dei ProLife hanno presentato diverse mozioni comunali al solo fine di limitare il controllo delle donne sui propri corpi, svuotando dunque dall’interno la legge 194 sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza.
Senza parlare della squallida e retrograda proposta che prevedrebbe il premio di un pezzo di terra in cambio di un terzo figlio per la patria. Chiariamolo subito, i nostri uteri e le nostre mani non sono facile concime per lo Stato. Se l’attacco governativo all’autodeterminazione delle donne è totale, la risposta di Non Una Di Meno sarà un maremoto, capace di deviare la propria rotta da facili strumentalizzazioni, agite da ogni parte politica, che vorrebbero arginare, calmare e moderare il movimento femminista, magari con una sciarpa arancione e un sorriso ProTav stampato in faccia. Dai piccoli centri alle grandi città italiane la marea, già scesa in piazza lo scorso 10 novembre, si ritroverà in corteo nazionale il 24 e in assemblea plenaria il 25 novembre.
L’agitazione permanente guarda già allo sciopero femminista dell’8 marzo. Un giorno senza di noi, un giorno fuori da tutte quelle mansioni gratuite che vedono la messa a valore di ogni nostro sorriso, di ogni nostra cura, di ogni parola non detta perché sempre sotto ricatto, a lavoro come nelle relazioni romantiche, una giornata in cui non cercheremo di salvare il principe azzurro problematico di turno, una giornata in cui non porteremo il caffè al capo e non ci terremo tutto dentro quando ci fischiano per strada. Un sabotaggio di tutte quelle aspettative che dovremmo soddisfare, una rottura di tutti quei criteri con cui siamo valutate, giudicate e sedate. Ventiquattro ore senza lavoro produttivo e riproduttivo, un giorno per alludere e quindi costruire quell’autonomia e libertà di scelta possibili solo se pretendiamo un reddito di autodeterminazione e un salario minimo europeo, intanto. Un giorno di blocco e di riappropriazione di tempo per noi e per i nostri desideri. Un giorno che deve fare male, perché il fuoco cammina con noi e stiamo imparando a usarlo, tutte insieme sempre. Siamo molto agitate perché ci vogliamo vive.
A questo stato di paura opponiamo il nostro stato di agitazione permanente.
Questa è una versione rivisitata di un articolo apparso precedentemente sul sito transform-italia
Foto di Vittorio Giannitelli
L’autodeterminazione e la libertà di scelta delle donne sono sotto attacco, dentro e fuori le mura domestiche, nelle strade, nelle scuole, sulle frontiere come in mare. La potenza del movimento femminista è stata proprio nell’analisi della violenza contro le donne come fenomeno strutturale, come violenza ramificata nei vari aspetti della nostra vita, una violenza che batte il ritmo di una donna ammazzata ogni giorno e mezzo, e se non veniamo ammazzate siamo torturate, stuprate, controllate e sfruttate.
A questa guerra dichiarata rispondiamo riprendendoci tutto il tempo e lo spazio che ci servono, contro ogni strumentalizzazione razzista e sessista sui nostri corpi, rivendicando un reddito di autodeterminazione che ci renda libere di scegliere chi amare, come e se lavorare, come migrare e come restare. La marea si fa di tutte quelle soggettività differenti che il governo vorrebbe cancellare e oscurare perché fuori dalla norma, perché scomode e paurose.
Se il governo giallo verde si rende complice dei naufragi, delle torture e del mancato soccorso delle persone che ogni giorno provano ad attraversare le acque del mediterraneo, noi siamo antirazziste e ricostruiamo ogni giorno quei legami di solidarietà che le politiche istituzionali tentano di spezzare con la storiella dell’invasione, della sostituzione etnica e della difesa della patria, e della famiglia tradizionale bianca. Il tanto decantato cambiamento starebbe, come sempre, nello smantellamento del welfare e in politiche del lavoro di tipo workfarista che colpiscono per prime le donne e tutti quei soggetti già perdenti in partenza. Se nei luoghi di lavoro siamo molestate e continuamente sotto ricatto, nelle case siamo poste sempre di più in un ruolo di sudditanza e giogo ulteriore.
Ne è un perfetto esempio il disegno di legge Pillon, riguardo l’affido e il mantenimento dei figli, un provvedimento che vorrebbe riportare le donne ad una condizione passiva, subordinata e di cura, in cui vengano ristabilite precise gerarchie di genere che ci vorrebbe sempre sotto, mute e povere.
Come se non bastasse, negli ultimi mesi le associazioni italiane e cattoliche dei ProLife hanno presentato diverse mozioni comunali al solo fine di limitare il controllo delle donne sui propri corpi, svuotando dunque dall’interno la legge 194 sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza.
Senza parlare della squallida e retrograda proposta che prevedrebbe il premio di un pezzo di terra in cambio di un terzo figlio per la patria. Chiariamolo subito, i nostri uteri e le nostre mani non sono facile concime per lo Stato. Se l’attacco governativo all’autodeterminazione delle donne è totale, la risposta di Non Una Di Meno sarà un maremoto, capace di deviare la propria rotta da facili strumentalizzazioni, agite da ogni parte politica, che vorrebbero arginare, calmare e moderare il movimento femminista, magari con una sciarpa arancione e un sorriso ProTav stampato in faccia. Dai piccoli centri alle grandi città italiane la marea, già scesa in piazza lo scorso 10 novembre, si ritroverà in corteo nazionale il 24 e in assemblea plenaria il 25 novembre.
L’agitazione permanente guarda già allo sciopero femminista dell’8 marzo. Un giorno senza di noi, un giorno fuori da tutte quelle mansioni gratuite che vedono la messa a valore di ogni nostro sorriso, di ogni nostra cura, di ogni parola non detta perché sempre sotto ricatto, a lavoro come nelle relazioni romantiche, una giornata in cui non cercheremo di salvare il principe azzurro problematico di turno, una giornata in cui non porteremo il caffè al capo e non ci terremo tutto dentro quando ci fischiano per strada. Un sabotaggio di tutte quelle aspettative che dovremmo soddisfare, una rottura di tutti quei criteri con cui siamo valutate, giudicate e sedate. Ventiquattro ore senza lavoro produttivo e riproduttivo, un giorno per alludere e quindi costruire quell’autonomia e libertà di scelta possibili solo se pretendiamo un reddito di autodeterminazione e un salario minimo europeo, intanto. Un giorno di blocco e di riappropriazione di tempo per noi e per i nostri desideri. Un giorno che deve fare male, perché il fuoco cammina con noi e stiamo imparando a usarlo, tutte insieme sempre. Siamo molto agitate perché ci vogliamo vive.
A questo stato di paura opponiamo il nostro stato di agitazione permanente.
Questa è una versione rivisitata di un articolo apparso precedentemente sul sito transform-italia
Foto di Vittorio Giannitelli
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