domenica 25 novembre 2018

Lo spread è fasullo, parola di Bundesbank di Luigi Luccarini.

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Si parlava già di “prassi” qualche anno fa. In realtà è un fenomeno che si ripete ciclicamente, ogni volta che l’afflusso liquidità sul mercato tende a diminuire, in conseguenza di tensioni finanziarie.
E’ accaduto nel 2011/2012, nel 2015, e sta succedendo anche in queste ultime settimane.
Il collocamento delle nuove emissioni di Bund tedeschi si chiude con una quota dei titoli in offerta “tecnicamente scoperta”.
Ad inizio di ottobre un ammontare di  3 mld di Euro di Bund a 10 anni, ha ricevuto solo 2,719 mld euro di offerte.
Pochissimi giorni fa un ammontare di 1,5 mld di Euro di Bund a 20 anni, ha ricevuto solo 1,373 mld euro di offerte.
Sembrerebbe una notizia da prima pagina, o quasi, del tipo: “Flop per i titoli della Germania”, parafrasando i titoli che in questi giorni si leggono a proposito dell’emissione del BTP Italia. In realtà nessuno ne parla.

Probabilmente per la crassa ignoranza che caratterizza la nostra informazione finanziaria. Ed è un peccato, perché queste condizioni di “invenduto” di titoli sovrani tedeschi fanno sorgere prima di tutto una domanda: come mai, allora, i rendimenti del Bund sono costantemente piatti, se non addirittura in diminuzione?
Una domanda fondamentale, visto che quel tasso è il benchmark in base al quale si misura il famoso “spread”, causa di tutti i mali e di tutte le angosce per milioni di italiani.
Ed è qui che interviene quella che prima abbiamo indicato come “prassi”.   Perché in realtà succede ogni volta che è in programma un’asta di Bund.
In cui una parte dell’offerta di titoli risulta scoperta in quanto gli investitori richiedono rendimenti più elevati (e ti credo!).
Il Tesoro del Nuovo Reich però non fa una piega: raccoglie quanto previsto, se poi “X” miliardi restano, per l’appunto, “scoperti”, fa intervenire Bundesbank.
La Buba (così la chiamano quelli che vogliono renderla in qualche modo più simpatica) “congela” la quota di titoli invenduta sul mercato primario (quello dove un paese colloca in prima battuta i suoi titoli di Stato con accesso riservato a fondi e grandi banche internazionali) per destinarla, dopo, al mercato secondario (quello aperto a tutti gli investitori). Una tecnica che consente alla Germania di ridurre il costo che paga sul debito.
Ma è l’uovo di Colombo!
Perché non facciamo anche noi cosi, allora? Semplicemente perché non si può fare così. Le regole europee sono infatti categoriche, al riguardo.
L’articolo 101 del Trattato di Maastrich stabilisce che : «è vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Bce o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali».
Quindi le banche centrali nazionali non possono acquistare titoli invenduti in asta.
Ed è ovvio che sia così, perché altrimenti ciascuna di esse si configurerebbe come “prestatore di ultima istanza”, finendo per monetizzare il debito del singolo Stato. Generando quindi un’offerta di liquidità ed aumento della massa monetaria, che spetta solo a BCE regolamentare in tutta l’Eurozona.
In effetti la Bundesbank fa un’altra cosa, che è un vero e proprio aggiramento di quelle regole.
Non acquista i titoli invenduti sul mercato primario, ma, operando come mandataria dell’Agenzia del debito tedesca (Finanzagentu), li prende in carico e li custodisce in una sorta di conto vendita definito “ammontare messo da parte per operazioni sul mercato secondario”. Diventa quindi un commissionario, incaricato di svolgere operazione a “mercato aperto”.
In questo modo la Germania è in grado di stabilire sempre e comunque il tasso di collocamento dei suoi titoli sul mercato primario. E mantenerlo tale, ad ogni costo.
Perché se a quel prezzo di offerta l’emissione non viene assorbita completamente, il rendimento dovrebbe salire fino al livello a cui il mercato è disposto a comprare tutto.
Invece grazie al meccanismo appena descritto viene posto uno sbarramento in asta: o accetti i “miei” tassi, o non se ne fa niente.
D’altra parte sul mercato secondario (quello in cui vengono trattati i titoli già emessi e dove va a finire l’invenduto) suona tutta un’altra musica.
Perché è più grande, perché vi ci trovi tutti gli operatori ma, soprattutto, perché anche le banche centrali sono autorizzate ad operarvi e così a manovrare le condizioni di liquidità in modo da facilitare il collocamento dei titoli. Anche acquistandoli, come fa Bundesbank.
La segnalazione di questa “prassi” tedesca arrivò qualche anno fa dall’Economist, che poi però si accontentò della spiegazione in base alla quale Bundesbank agisce in qualità di “banca custode e non di prestatore di ultima istanza” e che quindi non c’era nulla, tecnicamente, di anormale in questa prassi.
“I titoli trattenuti risultano in sostanza congelati presso la banca centrale tedesca, senza che questa corrisponda al governo alcuna somma di denaro in cambio, ossia senza che quei titoli risultino effettivamente sottoscritti”, chiosava il Sole 24 Ore in quegli stessi giorni.
Era il 26 novembre 2011, riuscite ad indovinare cosa stava succedendo in quei giorni in Italia? Troppo facile, vabbé.
Una nuova segnalazione della “prassi” arriva dal giornalista Carlo Clericetti, nel 2015, in occasione di un altro giro di valzer dello spread.
Clericetti raccoglie e ripropone  le osservazioni pubblicate da un giovane economista sulla rivista Economia e Politica, secondo cui a seguito della “ pratica – operata negli anni dalla Germania – di destinare una quota rilevante delle emissione ad operazioni sul mercato secondario, risulta evidente che, quando consideriamo il mercato dei titoli pubblici tedeschi, la distinzione tra mercato primario e mercato secondario si fa quantomeno labile: tramite la quota di titoli di nuova emissione regolarmente trattenuta dall’Agenzia del debito, infatti, la Germania è in grado di collocare i propri titoli del debito pubblico direttamente sul mercato secondario. … Il tasso di interesse che si determina sul mercato primario può essere spinto al rialzo da una carenza di domanda di titoli che non ha ragione di esistere sul mercato secondario, laddove l’azione della banca centrale implica una domanda potenzialmente infinita per i titoli pubblici: sul mercato primario, dove non operano le banche centrali, può sussistere una situazione di eccesso di offerta di titoli che conduce ad un rialzo nei tassi di interesse, come quello osservato in Grecia nei primi mesi del 2010, ed in Italia a partire dall’Agosto 2011, mentre sul mercato secondario l’intervento della banca centrale ha il potere di creare tutta la domanda necessaria a spingere al ribasso il rendimento dei titoli pubblici. Pertanto, il semplice fatto che il collocamento dei bund di nuova emissione avvenga, in parte, direttamente sul mercato secondario ha un impatto significativo sul tasso di interesse dei titoli pubblici tedeschi, garantendo alla Germania un minor costo dell’indebitamento pubblico, a prescindere dalla possibilità (pure presente) che i titoli di nuova emissione collocati sul mercato secondario vengano sottoscritti direttamente dalla Bundesbank. La particolare struttura istituzionale del processo di emissione dei titoli pubblici tedeschi sopprime di fatto la distinzione tra mercato primario e mercato secondario, aprendo lo spazio per il finanziamento del debito pubblico tramite la banca centrale – spazio negato agli altri paesi membri dell’Eurozona.”
Non è un éscamotage, insomma.
E’ un modo attraverso il quale la Germania si assicura il predominio finanziario su tutta l’area e impone se stessa come riferimento obbligato (benchmark, appunto) dello stato di salute delle altre economie, ormai convenzionalmente misurato in termini di spread con il rendimento del suo Bund decennale.
Ed è ormai da tempo diventato uno strumento di creazione di liquidità del tutto indipendente dalle decisioni di politica monetaria di BCE. Anzi, accompagnandosi a quest’ultima, ha consentito al Nuovo Reich tedesco di risparmiare in termini di spesa per interessi, la ragguardevole cifra di 240 miliardi in 10 anni.
L’orientamento dell’economi generale dell’Eurozona che ne consegue sembra così chiaro, che neppure vale la pena spiegarlo.
Però come sempre un grafico può servire per farsi un’idea più chiara di quanto è accaduto/sta accadendo/accadrà ancora.
Quello che vedete misura il rapporto tra il valore del Bund e quello della moneta comune misurato attraverso l’Euro Currency Index.
La forbice inizia ad aprirsi nel 2011 e diventa sempre più ampia. In modo del tutto innaturale, come può avvenire soltanto in un mercato “manipolato”.
Però la “procedura di infrazione” alle “regole” europee viene adottata nei confronti dell’Italia…
Luigi Luccarini

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