Ora anche i produttori e venditori di cannabis light in Italia hanno la loro neonata “Confindustria”: Aical, Associazione italiana cannabis light. “Serve una regolamentazione del settore, noi non vendiamo stupefacenti!“, dice il presidente Riccardo Ricci.
linkiesta.it
Oltre 2mila punti vendita, e un fatturato che supera i 6,5 milioni di euro. Ora anche i produttori e venditori di cannabis light in Italia hanno costituito la loro neonata “Confindustria”: Aical, Associazione italiana cannabis light. Presieduta da Riccardo Ricci, il 30enne forlivese cofondatore di Cbweed, una delle società italiane pionere della marijuana light, nata dopo che la “legge sulla canapa” del 2016 ha approvato la produzione e la commercializzazione di piante con un principio attivo (Thc) che non superi lo 0,2 per cento. Da allora, il mercato della marijuana legale è letteralmente esploso. Con l’arrivo di startup che si sono inventate pure il cannabis delivery a casa, proprio come si fa con le pizze e il sushi. E lo sviluppo di un filone bio, senza pesticidi e concimi chimici. La stima è che il giro d’affari del comparto possa superare i 40 milioni di euro. Non pochi spiccioli, insomma. Che però non godono di molta simpatia tra le istituzioni.
«Aical nasce per garantire a produttori, distributori e commercianti al dettaglio, di poter beneficiare dei medesimi diritti di cui godono gli operatori che lavorano negli altri settori del commercio, attraverso una forte rappresentanza del comparto in tutte le istituzioni pubbliche competenti», spiega Ricci. «Si tratta di un mercato in grande ascesa, sia in Italia sia all’estero». Secondo quanto stimato dalla Coldiretti, gli ettari destinati alla coltivazione sono passati da poco meno di 400 nel 2013 a più di 4mila nel 2018. Anche i piccoli coltivatori sono entrati nel mercato, destinando alla canapa parte dei loro terreni. E intanto sono spuntate da Nord a Sud migliaia di imprese che producono e vendono cannabis light.
La marijuana legale si coltiva in tutta Italia. Le coltivazioni outdoor, all’aperto, sono concentrate nel Centro-Sud, mentre quelle in serra o indoor sono presenti soprattutto nel Centro-Nord. La qualità, spiegano, non cambia. Quello che cambia sono le varietà prodotte, che vengono influenzate dalla tecnica di coltivazione e dal terreno utilizzato.
Oltre 2mila punti vendita, e un fatturato che supera i 6,5 milioni di euro. Ora anche i produttori e venditori di cannabis light in Italia hanno costituito la loro neonata “Confindustria”: Aical, Associazione italiana cannabis light. Presieduta da Riccardo Ricci, il 30enne forlivese cofondatore di Cbweed, una delle società italiane pionere della marijuana light, nata dopo che la “legge sulla canapa” del 2016 ha approvato la produzione e la commercializzazione di piante con un principio attivo (Thc) che non superi lo 0,2 per cento. Da allora, il mercato della marijuana legale è letteralmente esploso. Con l’arrivo di startup che si sono inventate pure il cannabis delivery a casa, proprio come si fa con le pizze e il sushi. E lo sviluppo di un filone bio, senza pesticidi e concimi chimici. La stima è che il giro d’affari del comparto possa superare i 40 milioni di euro. Non pochi spiccioli, insomma. Che però non godono di molta simpatia tra le istituzioni.
«Aical nasce per garantire a produttori, distributori e commercianti al dettaglio, di poter beneficiare dei medesimi diritti di cui godono gli operatori che lavorano negli altri settori del commercio, attraverso una forte rappresentanza del comparto in tutte le istituzioni pubbliche competenti», spiega Ricci. «Si tratta di un mercato in grande ascesa, sia in Italia sia all’estero». Secondo quanto stimato dalla Coldiretti, gli ettari destinati alla coltivazione sono passati da poco meno di 400 nel 2013 a più di 4mila nel 2018. Anche i piccoli coltivatori sono entrati nel mercato, destinando alla canapa parte dei loro terreni. E intanto sono spuntate da Nord a Sud migliaia di imprese che producono e vendono cannabis light.
La marijuana legale si coltiva in tutta Italia. Le coltivazioni outdoor, all’aperto, sono concentrate nel Centro-Sud, mentre quelle in serra o indoor sono presenti soprattutto nel Centro-Nord. La qualità, spiegano, non cambia. Quello che cambia sono le varietà prodotte, che vengono influenzate dalla tecnica di coltivazione e dal terreno utilizzato.
La politica commette l'errore di considerare i prodotti della canapa, a base di Cbd o con basso tenore di Thc, come qualcosa da cui prendere le distanze. In altri Paesi non è così. Noi non vendiamo sostanze stupefacenti, questo deve essere chiaro a tutti!
Quando Cbweed è nata, nel 2016, il mercato italiano era popolato
soprattutto da aziende straniere. Ma «negli ultimi anni, grazie alla
nascita di numerose nuove realtà e di un numero sempre più crescente di agricoltori che hanno deciso di avvicinarsi alla produzione di canapa, la filiera in Italia sta crescendo e la produzione sta tornando a essere prevalentemente italiana», spiega Ricci.
Ecco perché è diventato necessario “unire le forze” con un’associazione di categoria, proprio come gli altri distretti produttivi italiani. «Abbiamo ritenuto strategico e importante unire le nostre forze per poter raccontare la verità su un settore che conosciamo molto bene», spiega Ricci. «Ma siamo anche consapevoli che sia necessario apportare delle modifiche e delle migliorie a livello normativo. Da un lato per sostenere un settore e una filiera in assoluta espansione e dall’altro lato per tutelare al massimo i consumatori. Serve una piena regolamentazione del settore, per sfruttare le potenzialità di un mercato che in altri Paesi sta generando fatturati molto interessanti. Per questo proveremo quanto prima a proporre un confronto costruttivo alle istituzioni di riferimento».
Istituzioni che al momento si tengono alla larga da un mercato in parte stigmatizzato. «La politica commette l'errore di considerare i prodotti della canapa, a base di Cbd o con basso tenore di Thc, come qualcosa da cui prendere le distanze. In altri Paesi non è così, anche perché dalla canapa si possono ricavare molteplici prodotti, cosmetici, abbigliamento, bevande, ecc. Noi non vendiamo sostanze stupefacenti, questo deve essere chiaro a tutti! Il nostro obiettivo è quello di far conoscere le enormi potenzialità di questo settore e realizzare una filiera in grado di portare nuova occupazione».
Ecco perché è diventato necessario “unire le forze” con un’associazione di categoria, proprio come gli altri distretti produttivi italiani. «Abbiamo ritenuto strategico e importante unire le nostre forze per poter raccontare la verità su un settore che conosciamo molto bene», spiega Ricci. «Ma siamo anche consapevoli che sia necessario apportare delle modifiche e delle migliorie a livello normativo. Da un lato per sostenere un settore e una filiera in assoluta espansione e dall’altro lato per tutelare al massimo i consumatori. Serve una piena regolamentazione del settore, per sfruttare le potenzialità di un mercato che in altri Paesi sta generando fatturati molto interessanti. Per questo proveremo quanto prima a proporre un confronto costruttivo alle istituzioni di riferimento».
Istituzioni che al momento si tengono alla larga da un mercato in parte stigmatizzato. «La politica commette l'errore di considerare i prodotti della canapa, a base di Cbd o con basso tenore di Thc, come qualcosa da cui prendere le distanze. In altri Paesi non è così, anche perché dalla canapa si possono ricavare molteplici prodotti, cosmetici, abbigliamento, bevande, ecc. Noi non vendiamo sostanze stupefacenti, questo deve essere chiaro a tutti! Il nostro obiettivo è quello di far conoscere le enormi potenzialità di questo settore e realizzare una filiera in grado di portare nuova occupazione».
È paradossale consentire la vendita della cannabis contenente Thc in misura superiore alla soglia dello 0,5%, quella prodotta dall'Esercito che può avere effetti psicotropi, e puntare invece il dito contro le infiorescenze presenti nei nostri negozi!
Il percorso presenta qualche ostacolo, e il rischio è che imprese e
investimenti finiscano letteralmente “in fumo”. Lo scorso aprile, il Consiglio superiore di sanità si è espresso sostenendo che la pericolosità della cannabis light “non può essere esclusa” e
raccomandando che venissero prese le misure adatte per bloccarne la
vendita. Aprendo la strada a pareri allarmistici sui cosiddetti
“spinelli leggeri”. «Da qui ad arrivare a condannare il settore che
rappresento», commenta Ricci, «mi sembra una leggerezza di non poco
conto. Poi è paradossale consentire la vendita della cannabis contenente
Thc in misura superiore alla soglia dello 0,5%, quella prodotta
dall'Esercito che può avere effetti psicotropi, e puntare invece il dito
contro le infiorescenze presenti nei nostri negozi!».
Aical chiede una regolamentazione piena del settore. Secondo l’associazione, le norme contenute nella legge 242 del 2016 non sono sufficienti. «Disciplinano solo parte del fenomeno, in sostanza la coltivazione della canapa a fini industriali, senza invece tenere conto della diversa realtà del mercato che richiede fortemente un prodotto di consumo», dice Ricci. «Ovviamente, il tutto deve avvenire prevedendo adeguate tutele e restrizioni che, da un lato, consentano alla filiera industriale sana di crescere; dall'altro, tutelino adeguatamente i consumatori e il mercato in generale».
Aical chiede una regolamentazione piena del settore. Secondo l’associazione, le norme contenute nella legge 242 del 2016 non sono sufficienti. «Disciplinano solo parte del fenomeno, in sostanza la coltivazione della canapa a fini industriali, senza invece tenere conto della diversa realtà del mercato che richiede fortemente un prodotto di consumo», dice Ricci. «Ovviamente, il tutto deve avvenire prevedendo adeguate tutele e restrizioni che, da un lato, consentano alla filiera industriale sana di crescere; dall'altro, tutelino adeguatamente i consumatori e il mercato in generale».
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