È stato recentemente pubblicato “Darwin, Marx e il mondo globalizzato”
di Matteo Mameli e Lorenzo Del Savio (Meltemi, 2018).
Il saggio elabora
idee marxiane e darwiniane per parlare del passato e del futuro della
globalizzazione e dello sviluppo umano. I temi che emergono sono tanti:
disuguaglianze e tecnologie, populismo e mercati, cambiamenti climatici e
biodiversità, migrazioni e reddito di base, guerra e carità, femminismo
e mascolinità tossica, amore e sesso, transumanesimo ed eugenetica.
La
chiave di lettura è però una sola: gli autori mettono al centro della
loro riflessione filosofica la “produzione sociale” e il suo potere di
trasformare tutto, anche la natura umana.
Per gentile concessione
dell’editore, pubblichiamo un estratto dall’introduzione e da uno dei
capitoli conclusivi del libro.
La globalizzazione è fondamentalmente un processo di cambiamento della forma delle interazioni umane. Queste, o perlomeno una parte importante di esse, stanno diventando sempre più complesse e giungono ad avvolgere l’intero globo terrestre. Molte di queste interazioni sono produttive e cooperative. Lo sono nel senso che mettono insieme le abilità e gli sforzi di più individui, generando beni e valori che non sarebbe possibile produrre individualmente e separatamente, perlomeno non con la stessa efficacia. Interazioni di questo tipo sono cioè interazioni di produzione sociale, o produzione cooperativa.
Beni e valori sono le cose che permettono agli umani di realizzare i loro progetti e soddisfare i loro desideri. Alcuni beni e valori sono economici, li si può vendere e comprare; altri no. Quando si parla delle eccedenze e della ricchezza generata dalla produzione sociale, occorre includere tutti gli aspetti dei modi molteplici con cui gli umani cercano di dare senso e direzione alle loro vite. Ossia, oltre ai beni e ai valori economici in senso stretto, bisogna includere l’amore, l’amicizia, l’intimità, la salute, la conoscenza, l’educazione, il divertimento, l’arte, le libertà, le opportunità di esplorare ed esprimere se stessi, e più in generale tutte quelle cose che possono contribuire a realizzare progetti, a soddisfare desideri e al crearne di nuovi.
La socialità umana non è ristretta alla famiglia o ai piccoli gruppi: gli umani sono ipersociali e dunque, a differenza di altri animali, possono avere interazioni produttive e cooperative con chiunque. Con la globalizzazione emergono interazioni produttive e cooperative che coinvolgono grandi numeri di individui. L’era della globalizzazione è l’era in cui le interazioni umane raggiungono una dimensione sistematicamente e robustamente globale. Tuttavia la globalizzazione è solo l’ultima fase di un processo di ipersocializzazione iniziato molto tempo fa. [...] La globalizzazione ha perciò una storia profonda. Un’esplorazione di questa storia può servire a capire alcune caratteristiche importanti della fase attuale per provare a prevederne e indirizzarne gli esiti.
Gli esiti sono infatti incerti. Può il processo di crescita della produzione sociale proseguire? O esistono invece limiti che non permetteranno di andare oltre il livello raggiunto finora o che addirittura faranno regredire o anche collassare questo processo? I limiti in questione possono essere suddivisi in tre categorie. Ci sono quelli che derivano dalla natura umana: cosa occorre fare se qualche aspetto della natura umana ci impedisce di mettere insieme le nostre abilità e i nostri sforzi produttivi nei modi sempre più complessi richiesti dalla scala planetaria raggiunta dalle interazioni umane? Ci sono poi quei limiti che derivano dalla finitezza delle risorse naturali a cui gli umani hanno accesso: cosa occorre fare se mettere insieme le nostre abilità e i nostri sforzi produttivi in modi sempre più efficienti danneggia il pianeta? Ci sono infine quei limiti che derivano dalla distribuzione di beni e valori: cosa occorre fare se le disuguaglianze nella distribuzione di quanto generato da una produzione sociale sempre più intricata scatenano dinamiche che frenano o bloccano la produzione sociale stessa? Non è chiaro se e come questi limiti possano essere superati.
Affrontiamo questi temi combinando strumenti di matrice darwiniana e strumenti di matrice marxiana. Darwin ci fornisce la chiave d’accesso a una serie di ipotesi a proposito dell’evoluzione della natura e della socialità umana. Marx ci dà invece modo di elaborare alcuni temi concernenti la produzione sociale e il suo impatto trasformativo. Questo libro è il tentativo di mostrare l’utilità di un approccio che metta insieme pensiero biologico e pensiero politico.
***
Nel 1883 è Engels a pronunciare il discorso al funerale di Marx, al cimitero londinese di Highgate, davanti ai pochissimi convenuti. In quell’occasione, Engels menziona anche Darwin, morto l’anno prima:
Come Darwin scoprì la legge dello sviluppo della natura organica, così Marx scoprì la legge dello sviluppo della storia umana: il semplice fatto, fino ad allora nascosto da una rigogliosa ideologia, che l’umanità deve prima di tutto mangiare, bere, avere un rifugio e vestiti, prima di poter dedicarsi a politica, scienza, arte, religione, eccetera; e che dunque la produzione dei mezzi vitali materiali immediati, e quindi il grado di sviluppo ottenuto da un dato popolo o in una certa epoca, formano il fondamento sul quale si sono evolute le istituzioni statali, le concezioni legali, l’arte, e persino le idee sulla religione, del popolo in questione, le quali devono perciò essere spiegate alla luce di quelli, e non viceversa, come fino a quel momento si era fatto.
Secondo Engels, Marx ha scoperto il fondamento materiale, biologico, della storia umana e questa scoperta viene prima dell’altra scoperta di Marx, quella della “legge speciale che governa l’attuale modo di produzione capitalistico”. Quello di Marx è un materialismo che non si limita a contemplare il mondo ma prova a cambiarlo nella direzione di una produzione sociale sempre più creativa e sempre più universalmente benefica:
La scienza fu per Marx una forza storicamente in movimento, una forza rivoluzionaria.
Le riflessioni offerte in queste pagine propongono una biologizzazione della teoria e della pratica politica. [...] Ogni progetto di trasformazione politica è un progetto di trasformazione biologica. Bisogna lasciarsi alle spalle le ipocrisie che pervadono i dibattiti sui rapporti tra ricerca scientifica e prassi politica.
La teoria di matrice darwiniana mette al centro l’importanza della natura umana e, allo stesso tempo, la sua storia e trasformazione. Come ha osservato Timpanaro elaborando le indicazioni di Engels, all’interno di una prospettiva darwiniana la temporalità della natura e quella della storia umana si compenetrano. Da questo segue l’inevitabile rilevanza per qualsiasi azione trasformativa della conoscenza dei fatti naturali, in primo luogo di quelli che riguardano le caratteristiche della nostra specie. Gli sviluppi più recenti sul fronte degli studi dell’evoluzione si concentrano sulle limitazioni e le potenzialità della socialità umana e sul ruolo della cultura cumulativa. Ulteriori sviluppi si possono ottenere integrando la ricerca biologica con un’attenzione di matrice marxiana per la produzione sociale, per i suoi molteplici effetti, e per il ruolo dei conflitti politici.
Sono in molti quelli che oggi parlano delle dinamiche che riguardano la produzione, la trasformazione e la distruzione della vita biologica umana (e il suo controllo, la sua difesa, il suo sfruttamento, la sua manipolazione, la sua coltivazione, il suo imprigionamento, la sua liberazione, la sua resistenza...). Molti dei dibattiti a proposito della biopolitica e di temi collegati a questo termine sono di estrema e urgente importanza. In questi dibattiti, purtroppo, non si presta in genere la dovuta attenzione alla dimensione propriamente e materialmente biologica della vita. Bisogna forse ritrovare e rinnovare l’impulso engelsiano.
(26 novembre 2018)
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