sabato 24 novembre 2018

Cinema: “Il vizio della speranza” di Edoardo De Angelis.

Il vizio della speranza è un film inatteso, anche se coerente con quanto realizzato sinora da Edoardo De Angelis.




micromega Giona A. Nazzaro

Inatteso per la sua nudità e brutale franchezza, portato da uno sguardo a tratti persino feroce ma sempre dentro la materia delle cose e le ragioni dei corpi. Capace di trascendere il dato reale, pur restandovi ancorato con passione e determinazione, lo reinventa trasfigurandolo con una fiducia nelle possibilità del cinema davvero sconcertante. Certo, qualche volta questa fiducia, che è anche il segno di una capacità non comune di gestire il dispositivo di riproduzione, sfugge di mano a De Angelis, come (per esempio) evidenziano alcuni passi di Indivisibili che si inoltrano in territori molto incerti.

Oscillando fra il registro del noir e del melodramma, saldamente dentro le ragioni di un cinema post-Piscicelli, De Angelis si presenta come un cineasta poco collocabile. Sedotto dal realismo di matrice documentaria che ha riscritto il cinema italiano più interessante degli ultimi anni, De Angelis non si accontenta di accogliere il realismo in quanto tale ma lo rielabora attraverso un piacere del racconto davvero inusuale, situandosi così al crocevia fra cosiddetto cinema d'autore e i generi. Perez, in questo senso, era una dimostrazione evidente; un noir al cui centro pulsava l'attrazione fatale e irrisolta di un'economia criminale tesa fra centri urbani, periferie e degrado rurale.

Il vizio della speranza, lasciandosi alle spalle le incertezze che a tratti affioravano nel precedente film, si cala completamente nel territorio del Delta di Castel Volturno, ex avamposto balneare della borghesia partenopea e casertana abbandonato in seguito al terremoto e finito progressivamente nelle mani della criminalità organizzata. Un territorio abbandonato dallo Stato dove un'umanità ai limiti sopravvive di nulla e si fatica per ritrovare le regole di una vita comune nel segno della dignità e del lavoro.

De Angelis coglie questo territorio alla fine del mondo con una potenza schiettamente melodrammatica. Il piano sequenza che introduce il personaggio interpretato da Pina Turco (davvero superba) è una dichiarazione di poetica. I colori pieni e lividi di una sera che sta per cedere il passo alla notte, fra il freddo, l'umidità e le vampate di calore che provengono da fuochi accesi sulla banchina. Uno scenario quasi ultraterreno nel quale De Angelis entra direttamente attraverso un movimento di macchina potente e netto. E pur restando ancorato al dato reale, il paesaggio inconfondibile del Delta, De Angelis dichiara che siamo anche in un territorio di cinema, dove il realismo assurge a segno barocco di un mondo giunto alla fine, tentando però ancora di scorgere il “cielo sopra la palude”.

Il calvario di Maria (De Angelis non teme certo né la metafora, né l'allegoria...), che decide di portare avanti una gravidanza da lei negata ad altre donne è, “scandalosamente”, il segno di un mondo che non vuole morire, ancora. Una questione di “fede”, cui De Angelis presta il suo gesto cinematografico, a tratti turgido, a tratti lirico, che si scioglie in un'impressionante epifania finale.

Il vizio della speranza affonda le mani in una materia incandescente e lo fa con una folle fiducia nel potere del melodramma. Il Delta diventa uno Stige attraversato da anime disperate, che sperano ancora di potere iniziare a vivere lungo i suoi argini. Edoardo De Angelis compone con Il vizio della speranza il suo film più potente e riuscito; nel quale le componenti noir di Perez e quelle melò di Indivisibili si fondono dando vita a un autentico luogo di cinema.

Caratterizzato da uno sguardo in grado di cogliere bagliori di disturbante bellezza negli abissi della disperazione più nera, De Angelis firma una cupa ballata popolare nella quale i corpi trovano sempre una relazione con lo spazio circostante e gli asfittici interni grazie a inquadrature calibrate con straordinaria attenzione. E in questo sguardo, in grado di cogliere ciò che tiene ancora uniti i corpi alla terra, che il vizio della speranza si fa tentazione di una fede “scandalosa”.

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