Il vizio della speranza è un film inatteso, anche se coerente con quanto realizzato sinora da Edoardo De Angelis.
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micromega Giona A. Nazzaro
Inatteso per la sua
nudità e brutale franchezza, portato da uno sguardo a tratti persino
feroce ma sempre dentro la materia delle cose e le ragioni dei corpi.
Capace di trascendere il dato reale, pur restandovi ancorato con
passione e determinazione, lo reinventa trasfigurandolo con una fiducia
nelle possibilità del cinema davvero sconcertante. Certo, qualche volta
questa fiducia, che è anche il segno di una capacità non comune di
gestire il dispositivo di riproduzione, sfugge di mano a De Angelis,
come (per esempio) evidenziano alcuni passi di Indivisibili che si inoltrano in territori molto incerti.
Oscillando fra il registro del noir e del melodramma, saldamente
dentro le ragioni di un cinema post-Piscicelli, De Angelis si presenta
come un cineasta poco collocabile. Sedotto dal realismo di matrice
documentaria che ha riscritto il cinema italiano più interessante degli
ultimi anni, De Angelis non si accontenta di accogliere il realismo in
quanto tale ma lo rielabora attraverso un piacere del racconto davvero
inusuale, situandosi così al crocevia fra cosiddetto cinema d'autore e i
generi. Perez, in questo senso, era una dimostrazione
evidente; un noir al cui centro pulsava l'attrazione fatale e irrisolta
di un'economia criminale tesa fra centri urbani, periferie e degrado
rurale.
Il vizio della speranza, lasciandosi alle spalle le
incertezze che a tratti affioravano nel precedente film, si cala
completamente nel territorio del Delta di Castel Volturno, ex avamposto
balneare della borghesia partenopea e casertana abbandonato in seguito
al terremoto e finito progressivamente nelle mani della criminalità
organizzata. Un territorio abbandonato dallo Stato dove un'umanità ai
limiti sopravvive di nulla e si fatica per ritrovare le regole di una
vita comune nel segno della dignità e del lavoro.
De Angelis coglie questo territorio alla fine del mondo con una
potenza schiettamente melodrammatica. Il piano sequenza che introduce il
personaggio interpretato da Pina Turco (davvero superba) è una
dichiarazione di poetica. I colori pieni e lividi di una sera che sta
per cedere il passo alla notte, fra il freddo, l'umidità e le vampate di
calore che provengono da fuochi accesi sulla banchina. Uno scenario
quasi ultraterreno nel quale De Angelis entra direttamente attraverso un
movimento di macchina potente e netto. E pur restando ancorato al dato
reale, il paesaggio inconfondibile del Delta, De Angelis dichiara che
siamo anche in un territorio di cinema, dove il realismo assurge a segno
barocco di un mondo giunto alla fine, tentando però ancora di scorgere
il “cielo sopra la palude”.
Il calvario di Maria (De Angelis non teme certo né la metafora, né
l'allegoria...), che decide di portare avanti una gravidanza da lei
negata ad altre donne è, “scandalosamente”, il segno di un mondo che non
vuole morire, ancora. Una questione di “fede”, cui De Angelis presta il
suo gesto cinematografico, a tratti turgido, a tratti lirico, che si
scioglie in un'impressionante epifania finale.
Il vizio della speranza affonda le mani in una materia
incandescente e lo fa con una folle fiducia nel potere del melodramma.
Il Delta diventa uno Stige attraversato da anime disperate, che sperano
ancora di potere iniziare a vivere lungo i suoi argini. Edoardo De
Angelis compone con Il vizio della speranza il suo film più potente e riuscito; nel quale le componenti noir di Perez e quelle melò di Indivisibili si fondono dando vita a un autentico luogo di cinema.
Caratterizzato da uno sguardo in grado di cogliere bagliori di
disturbante bellezza negli abissi della disperazione più nera, De
Angelis firma una cupa ballata popolare nella quale i corpi trovano
sempre una relazione con lo spazio circostante e gli asfittici interni
grazie a inquadrature calibrate con straordinaria attenzione. E in
questo sguardo, in grado di cogliere ciò che tiene ancora uniti i corpi
alla terra, che il vizio della speranza si fa tentazione di una fede
“scandalosa”.
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