L'Espresso è entrato nei cortei di Parigi. Scoprendo un movimento in cui c'è dentro di tutto, dagli anarchici ai fascisti. E tuttavia esprime un diffuso sentimento popolare contro il mercato del lavoro, la precarietà e le scelte politiche di Macron a favore dei ricchi.
L'Espresso Anna Bonalume
Ho assistito alla manifestazione dei «gilet gialli» sabato a Parigi, la seconda in una settimana. Il movimento è nato da un video di sfogo postato sui social network da un’anonima cittadina, Jacline Mouraud, fisarmonicista proveniente da un paese dell’ovest della Francia. Se si vuole comprendere meglio il successo di questo sorprendente movimento è essenziale percorrere le strade accanto ai manifestanti, interrogarli sui motivi del loro disagio, ascoltare, osservare come interagiscono con la polizia.
L'ultima volta che ho partecipato a un evento di tale portata in Francia è stato nel 2016, all'epoca della “Nuit Debout”. Oggi la differenza è la composizione assai varia dei partecipanti e delle rivendicazioni.
Durante la Nuit Debout c’era una predominanza di studenti più o meno benestanti, per la maggioranza in grado di dedicare del tempo all'organizzazione di attività creative e ludiche nel presidio scelto a piazza della Repubblica. Molte associazioni con sede a Parigi avevano aderito. Il movimento, durato una primavera, era riuscito a superare i confini francesi, senza un’organizzazione verticale. Molti politici, militanti e intellettuali, tuttavia, si erano avvicinati al movimento. Il lancio del movimento è stato possibile grazie al giornalista François Ruffin, oggi deputato della France Insoumise, partito di Jean-Luc Mélenchon.Ruffin è una figura emblematica simbolo della rivincita dei lavoratori contro i padroni grazie al suo documentario "Merci Patron !". Nel film, premiato con un César per il migliore documentario, denunciava il trattamento degli operai da parte di Bernard Arnault, uno tra i più importanti imprenditori dell’industria del lusso, proprietario del gruppo LVMH.
La rivendicazione di Nuit Debout era chiara e aveva trovato la sua guida in Ruffin: i manifestanti si opponevano alla riforma del codice del lavoro intrapresa dal ministro del lavoro dell’epoca, Myriam El Khomri, durante il governo Hollande. Questa riforma è stata più volta associata al Jobs Act italiano, e ha previsto tra le altre cose, una facilità di deroga per il tetto delle 35 ore settimanali previste dal codice del lavoro, regole più flessibili per il licenziamento in caso di difficoltà economiche dell’azienda.
La nuova ondata dei “gilet gialli” segna un cambiamento nelle modalità di protesta.
Bisogna ricordare che in occasione dell’evento di sabato, e a seguito degli scontri violenti avvenuti negli ultimi giorni in tutta la Francia, che hanno comportato decine di feriti e un morto, il ministro dell’interno Christophe Castaner aveva vietato la manifestazione sugli Champs Elysées. Aveva reso disponibile il Campo di Marte, spazio ai piedi della Tour Eiffel, libero da commerci e da sedi istituzionali. L’effetto dell’annuncio è stato immediato: i manifestanti si sono diretti fin dal mattino verso gli Champs Elysées.
Ho avuto l'opportunità di raccogliere i commenti, le riflessioni di persone che indossavano i gilet gialli in segno di protesta, preoccupati che la stampa estera potesse dare voce alla protesta.
La prima cosa che si può osservare del movimento è il colore giallo fosforescente del gilet, unico simbolo materiale che identifica i manifestanti, simbolo della loro identità: questo colore non corrisponde in effetti a nessun partito politico, è neutrale ed diventato il "colore del popolo". Un popolo che, con un oggetto utilizzato in caso d’incidente stradale, cerca di segnalare la propria presenza e il proprio scontento al governo.
Questo popolo giallo, mosso dalla collera, non ha un capo: ho chiesto a più riprese se ci fosse un portavoce, ma tutti affermano con convinzione di non averne uno, e aggiungono «per fortuna».
Si tratta di un movimento nato e portato avanti dai cittadini. Tutti gli aderenti al movimento con cui ho parlato desiderano sottolineare due cose: la prima è che non esiste un'organizzazione centralizzata e nemmeno una mediazione, un corpo intermedio come un sindacato o un partito politico che incarni il movimento; e poi che la loro rivendicazione principale non è solo quella legata all’aumento del prezzo del carburante. I francesi si sono mobilitati, a partire dall’aumento del prezzo della benzina, per protestare contro una più generale stanchezza, un «ras-le-bol», termine comunemente usato in Francia per determinare uno sfinimento generale rispetto all’andamento dell’economia e del mercato del lavoro.
Tra i manifestanti ho osservato tantissime donne, questo è il dettaglio che mi ha colpito forse di più, e uomini disoccupati o con contratti precari, piccoli imprenditori, studenti, pensionati, attivisti.
Una signora in pensione proveniente da un paese vicino a Nantes, nella Francia dell’ovest, mi ha confessato che qualunque cosa succeda, qualunque sia il futuro del movimento, la sua formazione e vitalità in tutta la Francia sta producendo effetti positivi, le persone si avvicinano per discutere i problemi politici e sociali del Paese. Per Pauline, 66 anni, questo movimento cambierà il volto della Francia, perché sta rivitalizzando la democrazia.
La maggioranza degli intervistati ha citato, tra i motivi della rabbia, il declino del potere d'acquisto, le misure fiscali che avvantaggiano i ricchi, e in particolare l'eliminazione dal 1° gennaio 2018 della tassa di solidarietà sul patrimonio (ISF), misura che ha scandalizzato molti francesi.
Significa che a partire da quest’anno nel calcolo della tassazione dei patrimoni superiori a 1,3 milioni di euro si dovrà considerare solo il patrimonio immobiliare, ed escludere, tra gli altri, i redditi finanziari, gli yacht, le auto di lusso, i jet privati, i cavalli da corsa.
Un’altra misura che simbolicamente ha prodotto scontento, e che alcuni studenti gilet gialli hanno citato, è la diminuzione di 5 euro degli aiuti statali per l’alloggio degli studenti e l’aumento delle tasse d’iscrizione all’università per gli studenti extraeuropei.
Tra i gilet gialli c’è una rabbia generale diretta contro il presidente Macron, chiamato il «presidente dei ricchi», e il suo governo.
Nel corteo ho potuto verificare personalmente la presenza di gruppi dell’estrema destra che spesso intonavano cori della marsigliese, avevano segni distintivi, come spille con la bandiera francese, abbigliati in tenuta antisommossa, si muovevano spesso in gruppi.
Mi sono diretta alla Rotonda degli Champs Elysées, tra il Louvre e l’Arco di Trionfo, dove lo scontro con la polizia è stato particolarmente violento. Ho assistito a roghi e ad un incendio che veniva appiccato ad un’auto che mi hanno detto appartenere alla polizia. Ho osservato il lancio di oggetti, pietre, bastoni, e c’è stato un utilizzo importante di gas lacrimogeni da parte della polizia.
Ho potuto verificare in prima persona la presenza dei famosi "casseurs", i disturbatori, che vengono per distruggere, in prima linea: spostavano barricate, lanciavano pietre e stimolavano lo scontro con la polizia. Più ritirati pensionati, studenti, precari, militanti che partecipavano al corteo pacificamente, con i quali ho potuto discutere delle ragioni del malcontento.
La diversità degli aderenti è impressionante, ci sono famiglie numerose che non hanno mai manifestato in vita loro, militanti convinti, anarchici, passanti incuriositi. La maggioranza delle persone interrogate viene dalla provincia parigina e dal Nord e dal Sud della Francia, pochi parigini di città.
Luc, un giovane insegnante di 31 anni residente nella regione di Parigi, militante di "Lotta operaia", partito di estrema sinistra guidato da Nathalie Arthaud (candidata alle presidenziali che ha ottenuto lo 0,65% al primo turno) ha paragonato il movimento a quello degli Indignados spagnoli e ha affermato: «I francesi non sopportano più il calo del potere d’acquisto che non permette più loro di arrivare a fine mese. Io non sono eccessivamente colpito da questa diminuzione, ma credo sia necessario oggi essere in piazza con chi è in difficoltà».
Nicolas Oudoul, membro del consiglio regionale della Borgogna e presidente nello stesso consiglio del movimento di Marine Le Pen Rassemblement national, ex Front National, era presente insieme ad altri militanti dell’estrema destra. Ha dichiarato: «Il nostro partito si è sempre pronunciato contro il racket fiscale, l’accanimento fiscale, l’aumento delle tasse sul carburante, la diminuzione delle pensioni. Questo movimento è la conseguenza delle politiche intraprese anni. Abbiamo a che fare con un potere troppo ermetico rispetto alle sofferenze dei francesi, che sono martirizzati. Il ministro dell’interno afferma che il movimento è strumentalizzato dall’estrema destra, ma non c’è un’organizzazione centrale, è un movimento spontaneo, popolare, nato da un "ras-le-bol", il popolo non riesce più a pagare le fatture, a riempire il carrello della spesa, a fare il pieno e allora l’unica soluzione è scendere in piazza e urlare la propria rabbia».
Una signora di 42 anni, autista di ambulanze disoccupata da sei mesi, afferma che si sta diffondendo un vero e proprio odio contro Macron: «Siamo diventati una mano d’opera sfruttabile senza limiti, i nostri contratti sono sempre più brevi e a tempo determinato, ci gettano, ci riprendono, serviamo solo a far funzionare le grandi imprese quando hanno bisogno di noi».
Una madre di famiglia della regione di Nantes, casalinga con tre figli di cui due autistici, afferma: «Ho dovuto combattere in tribunale per ricevere degli aiuti per i miei figli, mio marito guadagna 1.300 euro e paghiamo 650 euro di affitto, facciamo molta fatica ». La signora ex autista di ambulanze mi chiede: «Perché in Italia, non fate manifestazioni?».
Con questo interrogativo sono costretta a lasciare il corteo, gli scontri si intensificano, il corteo deve retrocedere.
Parigi brucia, e le manifestazioni di rabbia non sembrano volersi dissolvere.
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