mercoledì 28 novembre 2018

Movimenti, violenza e lotta armata nell’Italia degli anni Settanta: quando gli studi gettano ponti e non alzano muri – di Alberto Pantaloni

http://effimera.org





Alberto Pantaloni recensisce Prima Linea. L’altra lotta armata (1974-1981), volume I di Andrea Tanturli, DeriveApprodi, 2018, pp. 512.
****

Sull’esperienza dell’organizzazione armata Prima Linea finora si era scritto poco e male. Se escludiamo i volumi pionieristici di Emilio Mentasti, che comunque analizzavano le vicende seminali rappresentate dall’esperienza di Senza Tregua (Senza Tregua. Storia dei comitati comunisti per il potere operaio (1975-1976), Colibrì, 2011; La guardia rossa racconta. Storia del Comitato operaio della Magneti Marelli, Edizioni Colibrì, 2006) e quello, per molti aspetti frettoloso e superficiale di Giuliano Boraso che però ebbe il merito di essere il primo sull’argomento (Mucchio Selvaggio. Ascesa apoteosi caduta dell’organizzazione Prima Linea, Castelvecchi, 2006), la letteratura e la storiografia si erano sostanzialmente limitate a inserire Prima Linea dentro l’enorme calderone del cosiddetto «partito armato». Termine, quest’ultimo, quanto mai infelice ed assolutamente inappropriato, come ha avuto già modo di chiarire Andrea Colombo dalle colonne de “il manifesto”[1]. Più in generale, sta emergendo in questi ultimi anni la necessità di diradare i fumi che occludono la giusta visuale di un periodo centrale e fondamentale della nostra storia contemporanea come quello del decennio 1968-1980, sottraendolo agli opportunismi e alle grida forsennate della politica ufficiale, senza al tempo stesso scadere in agiografie e giustificazionismi. Un periodo nel quale il rapporto fra movimenti sociali, violenza e lotta armata sono stati di enorme complessità.
Ecco che quindi l’importanza del bel lavoro di Andrea Tanturli sta proprio in ciò che l’autore dichiara nell’introduzione: «gettare ponti, invece che alzare muri, fra fenomeni distinti ma intrecciati». Per poterlo fare c’era bisogno di profondità e di rigorosità e su questo Tanturli non ci delude: la quantità e la qualità delle fonti consultate (dai documenti autoprodotti presenti negli archivi alle carte di polizia, dagli articoli dei giornali, siano essi quotidiani o riviste di movimento, agli atti processuali e alle dichiarazioni degli imputati) permette un continuo riscontro della fondatezza o della verosimiglianza delle ipotesi interpretative. Attraverso quindi un percorso lungo e tortuoso (tanto tortuoso quanto può esserlo una tesi di dottorato), l’autore ricostruisce prodromi, cause, fattori scatenanti e contesti di un’esperienza come quella di Prima Linea che poco, anzi nulla ha a che vedere con l’altro grande filone dell’armatismo di sinistra in Italia, quello delle Brigate Rosse. Una lotta armata «altra», come viene specificato nel titolo, per concezione, per obiettivi, per qualità e tipologia di rapporto coi movimenti sociali e le loro articolazioni. Ma c’è di più: attraverso la ricostruzione del lungo e controverso processo costitutivo di Prima Linea (che durò all’incirca tre anni), Tanturli contribuisce anche a chiarire meglio altri due aspetti collegati fra loro, cronologicamente e politicamente: da una parte le conseguenze della dissoluzione dei gruppi della Sinistra rivoluzionaria (segnatamente Potere Operaio e Lotta Continua, ma non solo), dall’altra l’ascesa della frastagliata e complessa galassia dell’autonomia operaia (rigorosamente con la “a” minuscola), la sua estrema eterogeneità pur all’interno di orizzonti teorici e obiettivi politici comuni se non omogenei, con buona pace dei promotori e dei propagandisti del «teorema 7 aprile», di cui fra qualche mese ricorrerà fra l’altro il quarantennale. Se da una parte, quindi, l’autore ricolloca legittimamente l’esperienza di PL dentro il crogiuolo delle teorie e dei comportamenti politici autonomi, allo stesso tempo evidenzia le profonde contraddizioni interne nel periodo di gestazione dell’organizzazione e quelle con le altre anime dell’autonomia, in primis con l’area di “Rosso”.
Questo primo volume, che affronta l’arco cronologico che va dal 1974 al 1979, si struttura in cinque capitoli. Il primo ricostruisce la genesi politico-organizzativa di PL, prendendo le mosse dalla crisi e dalle conseguenti scissioni che colpirono Lotta Continua e Potere Operaio, il primo tentativo di fissare i nodi dell’elaborazione progettuale attraverso il numero unico della rivista “Linea di condotta” fino alla fase di collaborazione (politica e proto-militare) fra i settori fuoriusciti da LC e PO nel quadrilatero Torino-Milano-Firenze-Roma a partire dal 1975 intorno al giornale “Senza Tregua”. Il secondo capitolo approfondisce la crisi del progetto politico di Senza Tregua e la decisione di una parte dei suoi aderenti di forzare il “salto di qualità” di fronte al lento rinculare delle lotte operaie (di cui in quel momento non sembra però esserci consapevolezza) e alla chiusura alla possibilità di una “apertura” del quadro politico istituzionale successivamente alle elezioni del 20 giugno 1976. Il terzo capitolo affronta l’inevitabile (e indiscutibile) rapporto col movimento del’77, che non solo rappresenta il miglior radical milieu, come ha scritto Luca Falciola, che PL poteva trovare per sviluppare la sua azione, ma dove spesso i suoi militanti svolgono un ruolo pubblico e di non secondo piano. Proprio il declino di questo movimento, che causò l’ingresso di diversi suoi attivisti all’interno di Prima Linea (ma anche delle BR, soprattutto a Roma), unito ai primi colpi subiti dalla repressione dello Stato, determinò quella ulteriore svolta militarista che divenne irreversibile all’indomani del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Questo fenomeno costituisce il cuore del quarto capitolo del libro, nel quale si definiscono sia la morfologia dell’organizzazione, i suoi tentativi di unificazione con altri spezzoni “fratelli” della lotta armata di sinistra (come le FCC) e le profonde divergenze ideologiche, politiche e programmatiche (oltre a una certa disistima reciproca) con le Brigate Rosse. La critica di PL all’operazione Moro avrebbe però lasciato presto il campo a una pratica sempre più affine, come avrebbero dimostrato gli omicidi Alessandrini e Ghiglieno, e a una sempre più rigida clandestinità, in un anno (1979) che nel quinto capitolo del libro l’autore ritiene nodale non solo della parabola dell’organizzazione, prima della crisi e del suo sfaldamento nel biennio 1980-’81 (che sarà oggetto del secondo volume), ma anche e soprattutto del complesso rapporto fra lotta armata, crisi dei movimenti e ristrutturazione della società italiana.
Ecco, proprio la costante attenzione a non perdere di vista questo rapporto rappresenta a mio avviso, insieme al mastodontico lavoro di ricerca e di consultazione delle fonti e al colmare un vuoto storiografico sul tema, un altro elemento fortemente qualificante dell’opera in termini interpretativi. Uscire dalla vulgata stereotipata che affronta la lotta armata e il terrorismo di sinistra in Italia come fenomeni psico-patologici o come frutto di etero-direzioni e strategie complottistiche di chissà quali poteri occulti, rappresenta oggi la strada maestra per restituire alla collettività e al Paese la comprensione di un periodo della nostra storia recente che certo non può non definirsi eccezionale (nel senso etimologico del termine) sia dal punto della quantità delle persone che hanno abbracciato la lotta armata, sia da quello dell’intensità del conflitto con lo Stato e i suoi apparati. Senza necessariamente arrivare a scomodare la categoria di guerra civile, ma allo stesso tempo facendoci i conti in termini analitici e critici.

Note


[1]https://ilmanifesto.it/le-radici-politiche-di-una-parabola-buia-e-controversa/.

Nessun commento:

Posta un commento