Il
decreto-legge 113 del 2018, meglio noto come decreto Salvini, è
diventato uno dei nodi centrali del dibattito politico nell’ultimo mese e
mezzo.
Purtroppo,
molte volte si è avuto prova del fatto che la politica non è attenta
alla tenuta costituzionale delle leggi ma al mantenimento dello status quo,
che siano poltrone, come per i grillini, o che sia la ben più pesante
tenuta della compatibilità europea, come è stato per Mattarella.
-
- L’insussistenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza per l’emanazione di un decreto-legge (ex art. 77 Cost.) – format di produzione normativa che spesso è servito ad aggirare le lungaggini e i rischi di rallentamento che caratterizzano i lavori parlamentari –;
- l’eliminazione del permesso di soggiorno umanitario, senza introdurre istituti che coprano completamente lo spazio lasciato vuoto, che comporta un peggioramento delle condizioni di vita dei titolari dei nuovi permessi speciali, limitando la possibilità di accedere al Servizio Sanitario Nazionale (ledendo il diritto alla salute, art. 32 Cost.) ed, essendo notevolmente più brevi (invece che i vecchi 2 anni, ora saranno di 6 mesi o massimo 1 anno), ostacolando l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale o agli alloggi di edilizia residenziale pubblica1;
- la mancata previsione e specificazione di quali siano i luoghi pertinenti alle autorità di pubblica sicurezza, diversi dai CPR, dove il richiedente asilo possa essere trattenuto in attesa dell’espulsione (in violazione dell’art. 13 Cost. in materia di restrizioni della libertà personale);
- il mancato rispetto della presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2, Cost.) per i richiedenti asilo con processi penali in corso, nei confronti dei quali le Commissioni procederanno subito all’esame della domanda;
- la lesione del diritto di difesa attraverso l’introduzione della possibilità di revoca del gratuito patrocinio in caso di dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
- ancora, le pene elevatissime per il reato di blocco stradale, se in concorso di più persone, soprattutto in una valutazione comparata rispetto ad altri ben più gravi e pericolosi reati (violando l’art. 27 Cost.).
In
ogni caso, prima che si rischi di arrivare a un ricorso di fronte alla
Corte Costituzionale, i tempi sarebbero piuttosto lunghi e le
circostanze sempre segnate da eventualità: basti pensare al fatto che a
luglio la Cassazione ha salvato la costituzionalità della legge
Minniti-Orlando di fronte a un ricorso che toccava tutti i punti più
critici, rigettandolo in quanto le questioni sollevate sono state
definite “irrilevanti e manifestamente infondate”. Bisogna pertanto
abituarsi all’idea che, nel caso in cui diventi legge, con buone
probabilità legge rimarrà.
Decreto Salvini e Decreto Minniti nella distopia europea
Se
Minniti si era almeno preso la briga di fare due decreti separati, pur
conseguenti, Salvini ha deciso di accorpare in un unico decreto la
materia dell’immigrazione e della sicurezza
pubblica-antiterrorismo-antimafia. Si ripropone quindi il fatale binomio immigrazione-(in)sicurezza,
in un clima alimentato ad arte dai massmedia e dal tenore del discorso
pubblico nell’era della comunicazione di Salvini, e che ha portato nei
mesi scorsi a frequenti attacchi fascisti a danno dei migranti. Ciò
avviene nonostante i numeri parlino chiaramente di una diminuzione delle
entrate di migranti dal Mediterraneo3 (in conseguenza soprattutto degli accordi di Minniti con la Libia) e della diminuzione delle domande di protezione accolte4,
oltre che dell’inesistenza di una correlazione reale tra immigrazione e
delinquenza – la sovrarappresentazione della popolazione migrante in
carcere rispetto alla totalità dei detenuti è un fenomeno complesso che
meriterebbe un approfondimento a parte5.
Il
decreto Salvini però, se si inserisce chiaramente nel solco tracciato
da quelli di Minniti, riesce ad essere quasi “chirurgico”
nell’individuare precisi nodi strategici per, da un lato, alimentare la
tensione sociale scaricata sui migranti e, dall’altro, colpire
precisamente l’opposizione sociale principale di questo paese.
Già
dopo l’attentato di Macerata avevamo parlato di “nuova strategia della
tensione”, in cui si tenta di costruire una bomba sociale costituita dai
migranti su cui scaricare il peso della crisi a cui le classi dirigenti
continuano a non dare soluzioni6. Si può affermare quindi
che in qualche modo si prosegue nell’intento: se Minniti aveva permesso
una drastica riduzione delle entrate di migranti – bloccandoli
fisicamente nei lager in Libia – e aveva velocizzato le pratiche di
riconoscimento togliendo in toto un grado di giudizio, ora Salvini punta
più sulla predisposizione di meccanismi giuridici che impediscono ai
migranti, una volta entrati, l’inserimento sul territorio.
Le
misure “interne” disposte da Salvini si instaurano quindi su quelle
“esterne” di Minniti, di enorme rilevanza strategica dal punto di vista
geopolitico: aveva di fatto chiuso il punto di sbocco più importante sul
Mar Mediterraneo, mentre la Merkel nel marzo 2016 chiudeva la rotta
balcanica attraverso l’accordo con Erdogan al prezzo di 6 miliardi di
euro. E, in questo modo, aveva avuto una moneta di scambio in ambito
europeo per maggiori flessibilità in termini di bilancio.
Il decreto va poi inserito nel preciso contesto sovranazionale
in cui ci troviamo, nel quale il polo imperialista europeo vira sempre
più a destra, innalzando barriere verso l’esterno e permettendo invece
la libera circolazione di merci e persone soltanto nello spazio interno –
un sogno cosmopolita dell’abbattimento delle frontiere che vale però
soltanto per i cittadini europei, mentre il Regolamento Dublino III
impone alle persone provenienti da paesi terzi o agli apolidi di
fermarsi nel primo stato di approdo per l’esame della domanda di
protezione senza poter liberamente scegliere.
La
globalizzazione, che ha segnato l’era del liberismo economico più
sfrenato, si sta dirigendo sempre più velocemente verso una
frammentazione in blocchi geopolitici in competizione tra loro, in una
guerra economica giocata tra accordi bilaterali e barriere doganali alla
circolazione delle merci (vedi il caso americano). I rappresentanti
delle classi dominanti stanno infatti prendendo atto dell’attuale crisi
sistemica del modo di produzione capitalistico, in cui non è più
ravvisabile una crescita comune di tutti gli attori in gioco, e si
stanno “armando” (non s’intende solo dal punto di vista economico, ma
anche puramente militare) per sopravvivere in un contesto di
frammentazione in blocchi soltanto a spese degli altri.
La propaganda sull’immigrazione alla prova dei fatti
Diversi
sono i modi con cui il Decreto impedisce di fatto una permanenza legale
e regolare a persone fisicamente presenti sul suolo italiano, ad
esempio:
- togliendo la protezione umanitaria (quella che veniva concessa più facilmente7) e impedendo a tutte quelle migliaia di persone che sono già in possesso di un permesso umanitario – come previsto dalla vecchia normativa – di ottenerne il rinnovo;
- velocizzando la valutazione della domanda di protezione per il migrante che ha commesso reati puramente politici – come resistenza e lesioni, o di pura criminalità urbana come furto e rapina, ipotesi delittuose di particolare gravità che destano allarme sociale (cit. decreto) – e imponendone l’espulsione anche in caso di pendenza di ricorso contro la decisione della Commissione;
- rendendo impossibile per i richiedenti iscriversi all’anagrafe, e quindi avere una residenza e accedere a tutti quei servizi che a ciò conseguono (art. 13 del decreto);
- rendendo più difficile effettuare domande di protezione reiterate (dopo che una prima volta si è terminato l’iter di definizione fino alla Cassazione senza l’ottenimento);
- restringendo e razionalizzando il campo della seconda accoglienza nei progetti SPRAR8, così relegando tutti coloro che non hanno già ottenuto la protezione internazionale o che non sono minori nel circuito eccezionale dei CAS, più volte oggetto di scandali legati al business dell’accoglienza9.
In
questo modo si condannano centinaia di migliaia di persone
all’irregolarità, che la destra italiana – ma anche il Partito
Democratico, che nelle recenti proteste in senato si è appropriato del
discorso leghista, nello stesso modo in cui un anno fa aveva pubblicato
su Facebook un post in cui si riportava un “Aiutiamoli a casa loro” di
bossiana memoria – definisce con enfasi “clandestinità”, con tutto ciò
che comporta in termini di precarietà di vita, di sfruttamento del
lavoro e di ricattabilità nelle lotte per il miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro. Una ricattabilità che rischia di
ripercuotersi direttamente sullo sviluppo della lotta di classe, una
classe in cui la componente migrante è sempre più significativa, sia
numericamente sia per la capacità di esprimere alti livelli di
rivendicazione e conflitto. E che rischia di cedere il passo – e con sé a
traino il resto della classe – sotto il ricatto della concessione di
uno status giuridico.
Il
decreto impedisce, inoltre, di avere un percorso minimo e continuativo
di inserimento sul territorio anche rendendo impossibile la conversione
dei nuovi PdS speciali in PdS per motivi di lavoro – pur essendo
possibile svolgere attività lavorativa nel periodo di durata del
permesso – “parcheggiando” letteralmente un numero indefinito di persone
in un limbo. Alla gravissima abolizione del PdS umanitario, introdotto
nell’ordinamento giuridico italiano come una sorta di forma integrativa
della protezione internazionale prevista dalla normativa europea e di
salvaguardia del sistema d’asilo, si accompagna questa disposizione
affatto irrilevante, se si pensa a come potrà influire nella
determinazione della funzione che i nuovi arrivi rivestiranno
all’interno del mercato del lavoro italiano.
A
riprova della tendenza alla marginalizzazione dei migranti nella
società è poi la notizia di questi giorni sulla ridefinizione di nuove
linee guida per il sistema di accoglienza, che Salvini punta a far
diventare al più presto un decreto da inviare alle prefetture: si
taglieranno “i servizi di integrazione e inserimento nel territorio”
(nelle parole della direttrice del Dipartimento immigrazione e libertà
civili del Ministero, Gerarda Pantalone) per i richiedenti asilo,
destinandoli soltanto a coloro che sono già titolari di protezione. Si
parla di servizi essenziali, quali l’insegnamento dell’italiano,
l’assistenza psicologica e l’orientamento sul territorio. E
contemporaneamente diminuiranno i famosi 35 euro al giorno,
troppo spesso sbandierati dalla propaganda leghista come fonte di
reddito per i migranti e che invece finiscono nelle mani delle
cooperative e non certo della persona.
Sul
fronte dei rimpatri, come lo stesso Minniti ha detto (sic!), servono
accordi con i paesi di provenienza e attività diplomatica, non basta
quindi destinare più risorse al Fondo Rimpatri. Il meccanismo del
rimpatrio non ha sostanzialmente mai funzionato, in quanto ha riguardato
solo piccolissimi numeri10. Un alto numero di migranti che
non ha titolo legale per rimanere in Italia e che non ha accesso alle
strutture più complete dell’accoglienza, così come ai canali e servizi
territoriali, crea proprio quel bacino di “clandestinità” – secondo la
definizione più consona alla destra reazionaria e xenofoba, che ora
piace molto anche al centrosinistra – e marginalità su cui continuare a
giocare con la retorica della delinquenza e dell’insicurezza percepita,
fino al prossimo Traini o chi per lui (al blocco sociale poco importa
che si sia “pentito” e che sia stato condannato con un processo lampo a
12 anni con l’aggravante dell’odio razziale).
Siamo
ben consci però del fatto che non esiste un filo rosso che
inevitabilmente collega immigrazione, soprattutto irregolare, e
delinquenza: ciò è il frutto di una distorta equazione funzionale
soltanto al mantenimento del consenso da parte della destra in generale e
in particolare della Lega al potere.
Al
contrario, è anche nostro compito rilevare e denunciare che spesso è
proprio la difficoltà di regolarizzazione che, insieme al generale
approccio repressivo rispetto all’immigrazione – che porta per esempio a
una maggiore incidenza delle persone migranti nei controlli di polizia
–, crea una “irregolarità istituzionalizzata” a cui nessuna scelta
politica ha mai inteso dare soluzioni in termini di stabilità di vita.
Anzi, con il dl Salvini si dà proprio avvio a un nuovo processo di
iper-irregolarizzazione dei migranti, attorno a cui si continuerà a
costruire il paradigma di nemico pubblico e capro espiatorio11.
La
pratica dei rimpatri, quindi, non può essere la soluzione, ma è
soltanto uno spauracchio ineffettivo e intrinsecamente razzista che non
tiene conto delle motivazioni e delle condizioni di guerra, fame, crisi
economica che hanno spinto le persone a muoversi dal paese d’origine.
Un
ultimo punto che forse merita di essere sottolineato riguarda il
riferimento che nella Relazione Illustrativa al decreto si fa più volte
al potenziamento del contrasto al ricorso strumentale della domanda di protezione e dei controlli sull’acquisizione della cittadinanza iure matrimonii.
È significativo fare un accenno al caso Riace e all’arresto del sindaco Mimmo Lucano
per i reati di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”,
inserito nel Testo Unico sull’immigrazione del 1998 dalla legge
Bossi-Fini, e di “affidamento fraudolento diretto del servizio di
raccolta dei rifiuti”, insieme alla sua compagna Tesfahum Lemlem. Viene
infatti contestata la pratica dei cd. “matrimoni di comodo” tra
cittadini italiani e richiedenti asilo, che viene praticata da tempo per
allentare le maglie della burocrazia – spesso puramente discrezionale,
come attuata dagli uffici delle Questure e dalle Commissioni
territoriali – in materia di immigrazione. Sebbene sia vero che le
indagini
erano
iniziate già durante il mandato di Minniti circa un anno fa,
nell’ottobre del 2017, si rileva come siano “sopravvissute” al
decadimento soltanto due accuse, la prima delle quali in particolare –
quella di favoreggiamento – ha permesso l’avvio di un processo di
criminalizzazione di un modello di accoglienza che non soggiace alla
dinamica di deresponsabilizzazione, infantilizzazione e segregazione che
riveste l’intera normativa in materia di immigrazione e del sistema di
accoglienza. Questo episodio è stato un’effettiva materializzazione di
quello che questo decreto vuole significare.
Il paradigma della sicurezza fra pratiche di lotta ed esclusione sociale
Dicevamo inizialmente che il decreto Salvini mira inoltre a colpire con precisione gli agenti delle principali forme di lotta e resistenza sociale del paese.
Nello stesso testo è contenuta una parte (il Titolo II) interamente
dedicata alla “sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo
e alla criminalità mafiosa”.
Dal
punto di vista della repressione nuda e cruda, infatti, si interviene
più accuratamente sulla parte di avanguardia dell’opposizione sociale
costituita dagli occupanti di case e dal settore esplosivo della
logistica, caratterizzato da una presenza di manodopera migrante non di
certo irrilevante (circa il 20%, concentrata soprattutto al nord) e da
una fortissima esplosività conflittuale12. Si raddoppiano così le pene per il reato di invasione (prevedendo pure le intercettazioni nei confronti di promotori o organizzatori,
mirando così a individuare i “vertici” delle organizzazioni sindacali,
politiche o dei movimenti) e si introduce il reato di blocco stradale,
prima punito solo in via amministrativa, facendo risorgere una norma
depenalizzata nel 1999. Il pugno duro sugli sgomberi è in ogni caso da
legare al discorso fatto prima sulla bomba sociale che i migranti
potrebbe costituire, i quali, esclusi dal circuito ufficiale
dell’accoglienza, troverebbero solo nelle occupazioni un tetto sopra la
testa.
L’azione
puramente repressiva è accompagnata da quella invece più preventiva,
vale a dire con un ricorso più ampio alle misure di prevenzione
personale, cioè il Daspo. È esteso adesso anche a fiere, mercati e
pubblici spettacoli nonché ai presìdi medici, elemento che assume
un senso se si considerano i tagli alla sanità e il sovraffollamento
del pronto soccorso e delle guardie mediche come unica maniera per
curarsi che non sia aspettare mesi per una visita o pagare un privato.
Trovano
spazio infine alcune norme in materia di antiterrorismo di matrice
jihadista che puntano al blocco migrante – per esempio si permette la revoca della cittadinanza per reati di eversione e con finalità di terrorismo – ma che poi sappiamo servire in primis
contro chi pratica lotta politica e sindacale, come il potenziamento
dei sistemi informatici e della circolazione delle informazioni tra i
corpi di polizia nazionali.
Il Decreto nel processo di stabilizzazione del governo del (non) cambiamento
Il
contesto – e i tempi – in cui si inserisce il decreto, poi, mirano a
completare il quadro. Il decreto è stato infatti presentato a ridosso
della pubblicazione della nota di aggiornamento del DEF e, messi
entrambi a sistema, sembrano essere stati partoriti strumentalmente per
far contenti tutti i target di riferimento di questo governo, in
maniera, come si diceva, quasi chirurgica. La tenuta del consenso
attestato il 4 marzo e in continua crescita (almeno per quanto riguarda
la Lega) assume infatti in questa fase un ruolo cruciale in termini di
stabilizzazione del governo, legittimazione delle due forze politiche
che lo compongono e definitivo superamento del PD e delle altre forze
politiche precedentemente a capo dell’amministrazione statale. Proviamo a
tagliare con l’accetta, giusto per dare il senso.
Alla
borghesia di riferimento leghista – incarnata nel prototipo
dell’imprenditore del nord in crisi – ci pensano cancellazione degli
aumenti dell’IVA, flat tax, condono fiscale, tagli dell’imposta sugli
utili per le imprese che reinvestono i profitti e assumono lavoratori
aggiuntivi, liberalizzazioni e rilancio dei settori chiave del
manifatturiero avanzato, infrastrutture e costruzioni. Alla classe media
impiegatizia, legalitaria e filo grillina ci si pensa tramite il
superamento della
legge
Fornero, l’empowerment delle pubbliche amministrazioni e il rilancio
degli investimenti pubblici (non si sa bene come), il reddito e la
pensione di cittadinanza, lo stanziamento di risorse per i risparmiatori
danneggiati dalle crisi bancarie e, ovviamente, il decreto sicurezza.
Alle mafie – e alla classe imprenditoriale di destra che ci gira intorno
– è stato invece dedicato in particolare il programma di manutenzione
delle infrastrutture stradali e le liberalizzazioni, oltre che le
politiche fiscali. Al popolo dei social network dei sostenitori di
Salvini, inutile dirselo, è intitolato il decreto immigrazione. Infine,
il tutto è stato riportato nei limiti delle norme europee – perché
nonostante le (strumentali) reazioni scomposte di UE e mercati
finanziari, l’aumento al 2,4% del rapporto deficit/PIL è ben al di sotto
delle soglie imposte –, un po’ per la natura stessa del governo, un po’
per tenere il confronto con l’opposizione e non creare allarmismi o
vacillamenti in chi ancora non sa come pensarla sull’UE.
Chiaramente,
all’infuori delle misure volte a favorire la classe imprenditoriale, le
misure spacciate come “people-oriented” sono risultate fin dall’inizio
assolutamente blande (quando non peggiorative), basti pensare primo su
tutti al reddito di cittadinanza e alla replicazione del modello tedesco
dell’Hartz IV, che ha intrappolato centinaia di migliaia di persone in
una condizione di semi-povertà e sfruttamento del lavoro. Tuttavia, in
questa fase, che questi provvedimenti annunciati fossero immaginati come
reali cambiamenti o come semplice fumo negli occhi, l’importante era
far contenti tutti. A ciascuno il suo direbbe Pirandello, purché quel
ciascuno sia ritenuto “compatibile”, aggiungiamo noi.
Il
DEF e il decreto Salvini, infatti, oltre a favorire le classi
medio-alte (già compatibili), sembrerebbero mirare a recuperare il
recuperabile delle classi subalterne (con diritto di voto) e a
riportarlo entro la soglia della compatibilità. Reddito e pensione di
cittadinanza, superamento della legge Fornero, risorse per i
risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie sembrano, infatti,
improntate a favorire i settori popolari, così come le fasce che hanno
subìto maggiormente la crisi, in quanto ancora reintegrabili nel modello
di cittadino tratteggiato da questo governo. Sono quelli che hanno
lavorato e contribuito alle casse statali, o quelli in grado di farlo,
in sintesi. Sono espulsi fuori e contestualmente criminalizzati, al
contrario, gli incompatibili, che per sfortuna di questo governo non
sono pochi e che diventeranno sempre di più e sempre più visibili.
Stiamo parlando di quella povertà così povera da potersi permettere solo
di vivere in un’occupazione, o costretta all’illegalità; dei migranti e
dei richiedenti asilo, cui il decreto preclude qualsiasi velleità di
inserimento sul territorio; e, ovviamente, di chi fa uso della lotta
politica e sindacale per il miglioramento delle condizioni di vita di
questi incompatibili.
La
realtà, tuttavia, risulta estremamente diversa rispetto ai propositi
voluti dalla narrazione dominante. Perché più passa il tempo e più anche
le azioni mirate ai settori popolari (reddito di cittadinanza,
superamento della legge Fornero, ecc.) mostrano la loro completa
inconsistenza e inapplicabilità. Un esempio su tutti è quello del
reddito di cittadinanza che – come la quota 100 – ancora non si sa se e
in che forma entrerà nella legge di bilancio e che da sostegno al
reddito delle famiglie e dei disoccupati finirà per favorire più che
altro i privati: sembra infatti che i servizi per l’impiego riceveranno
tre volte il reddito erogato per ogni disoccupato per la sola presa in
carica della sua pratica (protocollo brevettato dal PD per il contratto
di ricollocazione, ironia della sorte) e considerando che la riforma dei
centri per l’impiego pubblici prenderà molto tempo, finirà per favorire
nell’immediato per lo più le agenzie per l’impiego private. Il che,
andando a monetizzare, significa ridurre le risorse a disposizione per i
destinatari e quindi restringere ancora di più le possibilità di
accesso al sostegno al reddito, già vincolate dai requisiti di
ammissione e dagli obblighi da parte dei disoccupati di formazione e
accettazione di qualsiasi tipo di lavoro proposto.
Nella
pratica, pertanto, oltre agli “incompatibili” identificati
scientificamente dal decreto Salvini, nel bacino degli esclusi dalle
politiche di governo continueranno de facto a rimanere i settori
popolari e le fasce maggiormente colpite dalla crisi, non interessati da
alcun sostanziale miglioramento delle proprie condizioni. D’altronde, i
vincoli di bilancio imposti dall’UE non permettono, pur volendo, alcuna
significativa modifica in tal senso, e il governo del (non) cambiamento
ha fatto presto a capirlo.
1 Garantiti dal Testo Unico sull’Immigrazione soltanto ai titolari di permesso di soggiorno di 2 anni (art. 40, co. 6).2. Cfr: contropiano.org/altro/2018/10/05/il-decreto-insicurezza-contro-migranti-e-attivisti-0108241.
3. Secondo i dati Unhcr, tra l’1 gennaio e il 30 settembre 2018 sono sbarcate in Italia 20.571 persone, corrispondenti all’80% in meno rispetto ai primi nove mesi del 2017, in cui il numero di migranti sbarcati sulle coste italiane è stato pari a 119.247 persone. Cfr.: data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean/location/5205.
4. In Italia nel 2017 sono state complessivamente riconosciute 35.130 domande di protezione internazionale (cfr.: www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01076617.pdf, pag. 11) su un totale di 128.850 domande presentate(cfr.: ec.europa.eu/eurostat/tgm/refreshTableAction.dotab=table&plugin=1&pcode=tps00191&language=en). Non si ha ancora l’elaborazione annuale dei dati per l’anno corrente, ma si può constatare un calo effettivo di domande accolte nel 2018 rispetto al primo trimestre dell’anno precedente: 19mila ca. a fronte dei 38mila a. (cfr.: www.vita.it/it/article/2018/05/02/richieste-di-asilo-dimezzate-tra-gennaio-e-marzo-2018/146701/).
5. Su un totale di 55.187 presenze in carcere il 5 novembre 2018, 19.553 sono cittadini non italiani (cfr.: dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_DETENUTI#). La sovrarappresentazione rispetto alla presenza di cittadini non italiani fuori del sistema penale, peraltro fortemente disomogenea sul territorio, è dovuta a fattori quali l’utilizzo molto più frequente della custodia cautelare o le minori opportunità di usufruire di misure alternative alla detenzione (cfr.: www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/01-carcere-e-stranieri/ e www.antigone.it/quattordicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/stranieri/).
6. Cfr.: noirestiamo.org/2018/02/08/la-nuova-strategia-della-tensione-sabato-10-febbraio-tutti-macerata-2/.
7. Nel 2017, su 35.130 domande accolte, il 18% riguardavano l’asilo politico (6.275), il 25% la protezione sussidiaria(8.835) e il 57% la protezione umanitaria (20.015) (cfr.: www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01076617.pdf, pag. 11).
8. Si badi che l’ANCI ha calcolato che questa manovra peserà sulle casse locali, da quelle dei comuni a quelle dei servizi sociali e sanitari, circa 280 mln di euro.
9. Cfr.: contropiano.org/news/2018/09/01/prefetti-e-coop-insieme-per-il-business-dei-migranti-0107144.
10. Più
precisamente, nel 2017 i rifugiati rimpatriati sono stati soltanto
1.515 (cfr.: www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01076617.pdf, pag.
11). I problemi principali che impediscono il ricorso più massiccio a
tale meccanismo sono i costi da un lato e dall’altro gli accordi
diplomatici con i paesi di provenienza. È necessaria in primo luogo
l’approvazione dello stato stesso e in ogni caso non è possibile
effettuarlo in base al principio generale inderogabile di diritto
internazionale di non refoulement, che consiste nella valutazione
del pericolo e del rischio di violazione di diritti umani che il
richiedente potrebbe correre nel paese d’origine.
11. Cfr.: studiquestionecriminale.wordpress.com/2018/10/12/il-dl-salvini-tra-nuovi-internamenti-e-irregolarizzazioni-di-massa-vecchi-ingranaggi-di-controllo-che-ritornano-di-omid-firouzi-tabar-universita-di-padova/.
12. Cfr.: www.osservatoriorepressione.info/decreto-salvini-piedi-uniti-sulla-logistica)/.
12. Cfr.: www.osservatoriorepressione.info/decreto-salvini-piedi-uniti-sulla-logistica)/.
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