martedì 20 novembre 2018

Schiavitù & Lavoro grigio. Latina-Lazio-Italia. Il prezzo occulto del cibo a basso costo.

Su un altro foglio c’è una tabella: accanto alla data, un elenco di cifre moltiplicate per due o tre centesimi di euro. “Sono i mazzetti. Il padrone mi paga a seconda di quanti ne faccio”. Parla di ravanelli, la cui raccolta è regolata da un prezzario preciso: due centesimi per ogni mazzo da dieci, tre se sono quindici. 




Siamo nell’Agro Pontino, in provincia di Latina.
Il nostro interlocutore – chiamiamolo Singh – è uno dei circa diecimila braccianti indiani che lavorano nei campi di quest’area resa fertilissima dalla bonifica di mussoliniana memoria.
Oggi, la zona tra Sabaudia, Terracina, Fondi e Sezze è uno dei distretti agricoli più produttivi del centro Italia: distese di coltivazioni in serra e in campo aperto, che finiscono sulle tavole italiane e anche all’estero, soprattutto nell’Europa del nord. Molti degli ortaggi che troviamo in bella mostra nei supermercati – le zucchine, le melanzane, i pomodori, oltre che frutti prelibati come i kiwi e le angurie – provengono da qui. E li raccolgono i lavoratori stranieri, soprattutto indiani, ma anche romeni, marocchini e tunisini.
Gli immigrati sono ormai un elemento imprescindibile dell’Agro Pontino, così come di tutto il comparto agricolo italiano: secondo uno studio del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), dal 1989 a oggi il numero di cittadini italiani impiegati in agricoltura è diminuito di due terzi, mentre quello degli stranieri è aumentato di quindici volte.
I prodotti che raccolgono sui campi finiscono nei mercati rionali, nei piccoli fruttivendoli di quartiere e sempre di più nei punti vendita della grande distribuzione organizzata (gdo). Costano poco, a volte pochissimo. Un mazzetto di ravanelli non arriva a un euro. Lo stesso vale per le zucchine o per l’anguria, pagata pochi centesimi al chilo.
Ma quello che paghiamo quando compriamo un prodotto non tiene conto di una serie di costi nascosti: perché gran parte del comparto si regge su lavoro grigio non denunciato e su sussidi di disoccupazione illeciti pagati dallo stato, cioè da tutti noi; e perché i braccianti stranieri che lavorano in Italia spesso figurano solo parzialmente negli elenchi dei lavoratori Inps, sostituiti da finti braccianti italiani che non hanno mai messo le mani nella terra eppure beneficiano di sussidi, assegni familiari e pensioni agricole.
Un vero e proprio sistema
Torniamo a Singh. A fine giornata i mazzetti di ravanelli sono contati e lui è pagato in base alla quantità raccolta. Eppure, sulla sua busta paga mensile non compariranno i mazzetti. Figurerà invece un numero di giornate lavorate. Singh è regolarmente assunto e non compare in nessuna statistica di lavoratori irregolari in agricoltura. Se un ispettore del lavoro irrompesse nell’azienda dove lavora non avrebbe nulla da ridire: ha un contratto, ha fatto la visita medica e indossa anche gli indumenti necessari per la raccolta.
Ma alla fine del mese percepisce molto meno di quello che gli spetterebbe di diritto: “Funziona così, non c’è molto da discutere”, dice.

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