Sabato 10 novembre, a Roma, saremo in piazza in risposta alla chiamata di mobilitazione contro l’ondata repressiva e razzista incarnata dall’attuale governo e dai dispositivi giuridici di cui si sta dotando.
La questione
dell’accoglienza e della regolarizzazione dei migranti, la violenza
razzista, la marginalizzazione sociale: questi, a grandi linee, i
contenuti che saranno protagonisti della manifestazione.
In questo quadro
generale, a nostro avviso merita una riflessione aggiuntiva la richiesta
di «ritiro immediato del Decreto immigrazione e sicurezza». Infatti, il
c.d. decreto Salvini, firmato da Mattarella lo scorso 4 ottobre, si
inserisce chirurgicamente in una serie di nodi politici affrontati
dall’esecutivo con una doppia funzione: da una parte, crea le condizioni
per cui sia facilmente riconoscibile un nemico contro cui scagliare le
difficoltà causate da una crisi oramai decennale – leggi, gli “ultimi”
della situazione, come immigrati, occupanti, senza tetto, e cioè chi
vive una condizione di disagio, a cui bisogna aggiungere, nell’ondata
repressiva, coloro che ne prendono le difese.
Dall’altra, questa
criminalizzazione artificiale del pezzo di società che non risponde ai
canoni del cittadino modello, sottolinea l’importanza dell’“uomo forte
al comando”, personificazione con cui il leader della Lega è in grado di
mettere in secondo piano quella serie di problemi oggettivi con cui il
governo si deve confrontare e che, nonostante le promesse elettorali,
difficilmente potrà risolvere.
E allora, la lotta
contro tutto questo non poteva che vederci presenti. Ma fin qui, i temi.
Ora, a nostro avviso l’altra partita si gioca sul come e con chi stare
in campo.
Per capire questo, come
insegnava un saggio greco, è buona prassi partire dalla definizione:
«indivisibili», recita la parola d’ordine del lancio della
mobilitazione. Ebbene, a questo punto conviene ribadire un concetto che
secondo noi è decisivo per il risultato finale, e cioè che l’unità non è
un presupposto calato dal cielo (magari da sbandierare ogni qual volta
siamo di fronte a un nemico ben riconoscibile), ma è piuttosto
l’obiettivo da perseguire per la costruzione del blocco sociale.
È l’unita della classe,
non quella del ceto politico, che deve indirizzare l’azione quotidiana.
Se così non fosse, allora quando necessario basterebbe cambiare maschera
e proporsi come il “nuovo” che avanza, innocente rispetto alla mattanza
commessa dal “vecchio”. Ma la verità è che la sostanza rimarrebbe la
stessa, immutati gli interessi (quelli dei padroni) rappresentati: che
sia renziano o zingarettiano, che sia a firma Minniti o Salvini, che ci
si cammini a fianco o ci si volti dall’altra parte, il marcio che deriva
dal tradimento della classe sempre marcio è, e anche se gli rifai il
trucco, la puzza rimane. Per anni – soprattutto se si è stati
sostenitori dei governi protagonisti del tradimento.
E allora non resta che tornare tra la nostra gente, cercarla tra i quartieri di periferia, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Per questo, sabato sfileremo nello spezzone di Potere al Popolo, convinti che il percorso iniziato oramai un anno fa, vada, tra una salita e l’altra, nella giusta direzione.
Perché se è vero che l’Europa non è attraversata solo dal vento nero della reazione, è altrettanto vero che non è tutto rosso ciò che soffia in direzione contraria.
E allora non resta che tornare tra la nostra gente, cercarla tra i quartieri di periferia, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Per questo, sabato sfileremo nello spezzone di Potere al Popolo, convinti che il percorso iniziato oramai un anno fa, vada, tra una salita e l’altra, nella giusta direzione.
Perché se è vero che l’Europa non è attraversata solo dal vento nero della reazione, è altrettanto vero che non è tutto rosso ciò che soffia in direzione contraria.
Nel mezzo, i colori
ambigui dell’opportunismo elettorale, del tatticismo miope, del
prevalere degli interessi individuali rispetto a quelli collettivi. In
altre parole, della compatibilità con il sistema capitalistico.
Da tutti questi pericoli, è strettamente necessario rendersi indipendenti. Solo allora potremo parlare di unità di prospettiva per tutti gli sfruttati.
Da tutti questi pericoli, è strettamente necessario rendersi indipendenti. Solo allora potremo parlare di unità di prospettiva per tutti gli sfruttati.
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