venerdì 9 novembre 2018

Perchè saremo in piazza il 10 e dopo il 10 novembre.

Sabato 10 novembre, a Roma, saremo in piazza in risposta alla chiamata di mobilitazione contro l’ondata repressiva e razzista incarnata dall’attuale governo e dai dispositivi giuridici di cui si sta dotando.

 

La questione dell’accoglienza e della regolarizzazione dei migranti, la violenza razzista, la marginalizzazione sociale: questi, a grandi linee, i contenuti che saranno protagonisti della manifestazione.
In questo quadro generale, a nostro avviso merita una riflessione aggiuntiva la richiesta di «ritiro immediato del Decreto immigrazione e sicurezza». Infatti, il c.d. decreto Salvini, firmato da Mattarella lo scorso 4 ottobre, si inserisce chirurgicamente in una serie di nodi politici affrontati dall’esecutivo con una doppia funzione: da una parte, crea le condizioni per cui sia facilmente riconoscibile un nemico contro cui scagliare le difficoltà causate da una crisi oramai decennale – leggi, gli “ultimi” della situazione, come immigrati, occupanti, senza tetto, e cioè chi vive una condizione di disagio, a cui bisogna aggiungere, nell’ondata repressiva, coloro che ne prendono le difese.
Dall’altra, questa criminalizzazione artificiale del pezzo di società che non risponde ai canoni del cittadino modello, sottolinea l’importanza dell’“uomo forte al comando”, personificazione con cui il leader della Lega è in grado di mettere in secondo piano quella serie di problemi oggettivi con cui il governo si deve confrontare e che, nonostante le promesse elettorali, difficilmente potrà risolvere.
E allora, la lotta contro tutto questo non poteva che vederci presenti. Ma fin qui, i temi. Ora, a nostro avviso l’altra partita si gioca sul come e con chi stare in campo.

Per capire questo, come insegnava un saggio greco, è buona prassi partire dalla definizione: «indivisibili», recita la parola d’ordine del lancio della mobilitazione. Ebbene, a questo punto conviene ribadire un concetto che secondo noi è decisivo per il risultato finale, e cioè che l’unità non è un presupposto calato dal cielo (magari da sbandierare ogni qual volta siamo di fronte a un nemico ben riconoscibile), ma è piuttosto l’obiettivo da perseguire per la costruzione del blocco sociale.
È l’unita della classe, non quella del ceto politico, che deve indirizzare l’azione quotidiana. Se così non fosse, allora quando necessario basterebbe cambiare maschera e proporsi come il “nuovo” che avanza, innocente rispetto alla mattanza commessa dal “vecchio”. Ma la verità è che la sostanza rimarrebbe la stessa, immutati gli interessi (quelli dei padroni) rappresentati: che sia renziano o zingarettiano, che sia a firma Minniti o Salvini, che ci si cammini a fianco o ci si volti dall’altra parte, il marcio che deriva dal tradimento della classe sempre marcio è, e anche se gli rifai il trucco, la puzza rimane. Per anni – soprattutto se si è stati sostenitori dei governi protagonisti del tradimento.
E allora non resta che tornare tra la nostra gente, cercarla tra i quartieri di periferia, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Per questo, sabato sfileremo nello spezzone di Potere al Popolo, convinti che il percorso iniziato oramai un anno fa, vada, tra una salita e l’altra, nella giusta direzione.
Perché se è vero che l’Europa non è attraversata solo dal vento nero della reazione, è altrettanto vero che non è tutto rosso ciò che soffia in direzione contraria.
Nel mezzo, i colori ambigui dell’opportunismo elettorale, del tatticismo miope, del prevalere degli interessi individuali rispetto a quelli collettivi. In altre parole, della compatibilità con il sistema capitalistico.
Da tutti questi pericoli, è strettamente necessario rendersi indipendenti. Solo allora potremo parlare di unità di prospettiva per tutti gli sfruttati.

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