umanitanova.org Robertino
Nello stesso giorno in cui nel paese nordamericano venivano aperti centinaia di negozi assediati da lunghissime code di fumatori felici di poter finalmente praticare il loro hobby preferito alla luce del sole, il quotidiano francese Le Monde usciva con un lungo articolo che apriva chiedendosi “Il divieto della cannabis, che vede tutti d’accordo nel mondo da un secolo, sta per andare in fumo?”.
Secondo le stime riportate nell’articolo, mettendo nel conto anche gli abitanti dei 10 stati Usa che hanno legalizzato la cannabis, ormai nel mondo ci sono circa 110 milioni di persone che vivono in luoghi dove la vendita e la produzione di cannabis sono legali. A cui peraltro, diciamo noi, andrebbero aggiunti anche 17 di milioni di cittadini dei Paesi Bassi dove la cannabis formalmente è fuorilegge, ma dove da oltre mezzo secolo, prima in alcuni club musicali poi a partire dagli anni ’70 nei diffusissimi coffee-shop, è possibile comprare e vendere ganja e hashish senza incorrere o quasi nei rigori della legge. Poi quasi quattro milioni di georgiani: all’inizio di agosto la Corte Costituzionale ha abolito quasi tutte le norme contro la marijuana che da sostanza proibita è diventata “elemento di sviluppo personale da non reprimere con la forza”, grazie alla mobilitazione dei gruppi antiproibizionisti che quest’estate hanno dato vita al Movimento del Rumore Bianco nato come reazione ad alcuni duri interventi della polizia a feste e concerti e che per protesta ha trasformato le strade della capitale Tbilisi in un ininterrotto rave e festival musicale, fronteggiando anche i reparti antisommossa grazie alla solidarietà degli abitanti.
Anche in Sudafrica, in cui negli ultimi anni si è diffuso un forte movimento antiproibizionista, la Corte Costituzionale ha preso una decisione analoga e stanno già nascendo numerosi cannabis club. C’è poi la Spagna dove l’esperienza di “legalizzazione dal basso” dei Cannabis Social Club non smette di estendersi nonostante i vari stop and go imposti dalla magistratura. Nel Nepal con la fine della monarchia sono praticamente terminati anche gli interventi della polizia contro la marijuana (che, peraltro, da quelle parti cresce spontanea) che si può comprare liberamente nei “reggae bar” diffusissimi a Katmandu e nelle altre città. L’elenco è incompleto, anche perché non smette di allargarsi l’atlante mondiale dei movimenti antiproibizionisti, che dall’Africa all’Europa all’Asia (ci sono collettivi antiproibizionisti clandestini persino in Cina!) continuano a nascere perché vengono dalla rabbia contro le violenze e gli abusi della polizia permessi e giustificati dalle leggi antidroga che sono leggi contro le persone e le loro culture e le loro scelte
Difficile
dire se veramente sia arrivato il momento della fine della War On Drugs
che in tutto per decine e forse centinaia di milioni di persone in
tutto il Pianeta ha significato morte, galera, mafie e gangs,
licenziamenti, terapie coatte, internamenti forzati, persino
bombardamenti dall’alto con la diossina (non solo in Sudamerica o nel
Triangolo d’Oro, ma persino nel nord della California negli anni ’80 ai
tempi di Reagan). Il Canada, certo, è uno dei paesi del G7 ed una
potenza economica mondiale ed è possibile che abbia un peso su quello
che potrebbe succedere in altri paesi il fatto che il premier Trudeau
abbia deciso di mantenere almeno una delle promesse fatte in campagna
elettorale (a differenza, ad esempio, del francese Macron che prometteva
la depenalizzazione e che alla fine s’è inventato una multa da 300 euro
non trattabili che a discrezione del giudice e dello sbirro potrà
sostituire o “affiancare” la condanna penale fino ad un anno di prigione
che rimane in vigore. O dei meschini 5 Stelle nostrani, gli ex paladini
della legalizzazione che, pur di stare al governo, hanno dato a Salvini
anche la direzione del Dipartimento Antidroga nell’improponibile
persona del nazi-catto-leghista Ministro Fontana).
Il
modello canadese di legalizzazione è improntato su quello degli stati
Usa (ed in particolare del Colorado) e prevede un sistema di licenze per
i produttori e per negozi specializzati che possono vendere soltanto
cannabis o attrezzi per il consumo o la coltivazione. A differenza che
negli Usa, in Canada “il consumo è permesso in qualsiasi posto in cui si
possono fumare sigarette, eccetto per i veicoli a motore” (come ha
detto la polizia di Toronto in uno di una serie di tweet che comprende
anche quelli di non chiamare più la polizia per “un adulto che fuma un
joint”, per “le piante coltivate dal tuo vicino” o ” per “odore d’erba
proveniente dalle case intorno”).
In
realtà, però, in Canada esiste una vera e propria selva di divieti di
fumo di tabacco e il fumo è vietato non solo all’interno ma pure nelle
immediate vicinanze (9 metri) dagli ingressi di bar e ristoranti,
negozi, edifici pubblici, uffici e persino in alcuni parchi. Inoltre,
possono richiedere il divieto di fumo sulle proprie proprietà
istituzioni, proprietari di immobili, scuole, gestori di edifici
pubblici e privati. Anche alcune Provincie hanno adottato diversi
provvedimenti restrittivi soprattutto per limitare in consumo in
pubblico e all’aperto. Le città di Edmonton e Calgary, nella provincia
di Alberta, sono state le prime a designare aree specifiche per fumare
cannabis nei parchi durante concerti, eventi o festival, ma questi
regolamenti sembra che non potrebbero essere messo in atto perché il
governo provinciale ha promulgato il divieto di fumo in pubblico in
tutta l’Alberta.
Di
fatto, come succede negli stati Usa che hanno legalizzato, il consumo
di cannabis viene rilegato all’interno degli spazi privati ed è vietato
anche all’interno degli stessi negozi che la vendono. Anche in Canada la
legalizzazione avanza con una serie di restrizioni molto
proibizioniste, come avviene dappertutto dove c’è stata qualche forma di
legalizzazione, con le uniche eccezioni del Nepal e dell’Olanda dove
nei Reggae Bar e nei coffee-shop ci si può andare non solo per comprare
l’erba, ma anche per fumare, bere, sentire musica e stare in compagnia
(e dove, però, non c’è stata alcuna forma di legalizzazione).
Come
detto prima, in ogni caso è prematuro iniziare a dichiarare la fine
della War On Drugs. Le cose potrebbero cambiare rapidamente, soprattutto
negli Stati Uniti. La posizione dell’Amministrazione Trump – al cui
interno ci sono esponenti ultraproibizionisti come il ministro della
Giustizia Jeff Sessions e il potente vicepresidente Mike Pence – s’è
rafforzata con la nomina alla corte suprema del reazionario giudice
Brett Kavanagh (che offrirà una sicura sponda legale alle azioni che la
Casa Bianca vorrà, ad esempio, intraprendere contro gli Stati che hanno
legalizzato la cannabis) e si rafforzerà ulteriormente con il più che
probabile trionfo dei trumpisti alle vicine elezioni “di midterm”. Se è
vero che, come dicono molti analisti, dopo la vittoria alle elezioni di
Midterm l’Amministrazione Trump passerà alla fase due, in cui alla
guerra contro il nemico esterno (gli immigrati) si passerà alla guerra
contro il nemico interno (gli americani dissidenti), uno dei terreni in
cui si giocherà la battaglia sarà proprio il ritorno di fiamma del
proibizionismo oltre che la limitazione o l’annullamento del diritto di
aborto.
Intanto,
proprio mercoledì 17 ottobre, nello stesso giorno in cui partiva la
legalizzazione della marijuana in Canada, le Filippine a New York hanno
ottenuto un nuovo mandato triennale nel Consiglio per i diritti umani
delle Nazioni Unite, con un voto dell’Assemblea generale Onu che ha
visto 165 delegati su 193 esprimersi a favore della nomina, nonostante
la sanguinosa guerra del presidente Rodrigo Duterte “contro il
narcotraffico” che ha provocato finora già oltre ventimila vittime
assassinate dalla polizia e dagli squadroni e rivendicate da Duterte
che, solo pochi giorni prima dell’assemblea Onu, ha dichiarato in un
discorso in una base militare che quanti muovono critiche dall’estero
alla guerra al narcotraffico intrapresa dal suo governo dovrebbero
essere utilizzati come “bersagli umani” per i soldati.
Nessun commento:
Posta un commento