L’imprenditore Arturo Artom vicino a Casaleggio: “L’Ue ci ha distrutto con un razzismo anti italiano e usando i mercati come manganello” di Federico Novella.
“A la guerre come à la guerre, abbiamo lanciato la sfida all’Europa e dobbiamo andare fino in fondo”. Arturo Artom sembra un personaggio uscito da un’acquaforte del diciannovesimo secolo. Torinese, ingegnere, vanta la silhouette d’un nobile sabaudo. Quintessenza del gentlemen, abiti e barba curatissima, una cortesia quasi spiazzante. Non alza la voce, non s’accalora, centellinale sillabe con precisione chirurgica e appena può si smarca: “Io sono un imprenditore, non c’entro con la politica”. Eppure i giornali lo descrivono come l’ombra di Davide Casaleggio, oltre che principe dei salotti, mago del networking, grande tessitore di rapporti, compagno di aperitivi di Beppe Grillo, ambasciatore dei cinque stelle nel mondo delle imprese. “Ma la stampa scrive tante cose”, precisa. Ciò nonostante, persino Artom il mite quando parla di Europa non disdegna la stoccata. Arrivando a caldeggiare il colpo di reni.
Continua il braccio di ferro tra governo e Bruxelles. Lei che ha il polso degli imprenditori, ci dica se c’è ancora battito.
Ogni giorno mi confronto con i piccoli imprenditori italiani, quelli che oggi stanno salvando la nostra economia, dal momento che il grande capitalismo ormai è fallito. La pancia produttiva del Paese aveva molte aspettative nei confronti di questo governo.
Aspettative rimaste deluse?
Quest’autunno l’entusiasmo si è tramutato in paura. Viviamo tra l’incudine dei mercati e il martello dell’Unione Europea, e la crescita è seriamente compromessa, persino per la locomotiva tedesca. Questa battaglia logorante con la burocrazia europea sta spaventando le imprese.
E dunque?
Dunque non possiamo vivacchiare. Abbiamo il dovere didisinnescare subito la paura. Delle due l’una: o troviamo immediatamente un compromesso, oppure andiamo fino in fondo con coraggio.
E se Bruxelles lanciasse il siluro della procedura di infrazione?
In quel caso dobbiamo rilanciare. Non preoccupiamoci dei numeri, reperiamo subito le risorse per estendere laplatea della flat tax e gli incentivi alle imprese, interveniamo sul cuneo fiscale. Potremmo arrivare al 3% di deficit. Alziamo la posta, e giochiamoci bene questa carta.
“Alzare la posta” è un termine pokeristico. Non rischiamo di far saltare il banco, col rischio di vederci negato l’accesso ai mercati finanziari?
Certo, c’è una quota di rischio. Ma i mercati sono più intelligenti di quanto pensiamo. Se le risorse venissero impiegate tempestivamente per finanziare crescita e riforme, vinceremo la battaglia.
Sono credibili le stime del governo che prevedono una crescita dell’1,5%?
Io ragiono sui dati, e temo sia più probabile una decrescita in futuro. Perciò occorre intervenire subito. Questo establishment europeo si sta comportando in maniera ignobile.
Perché?
Hanno ammazzato il Paese con una nuova forma di razzismo antitaliano, la falsa narrazione per cui il nostro Paese è allergico alle regole e va confinato all’ultimo banco.
A chi si riferisce in particolare?
La Commissione Europea ha una responsabilità enorme. Getta benzina sul fuoco, usa i mercati come un manganello per esercitare pressione nei confronti degli stati che non si allineano. L’anno scorso ci hanno obbligato a rivedere il deficit verso l’alto per salvare le banche, a cominciare dal Monte dei Paschi. Oggi che invece dovremmo utilizzare il deficit per aiutare cittadini e imprese, fanno la voce grossa.
Olanda e Austria chiedono pene esemplari per l’Italia.
Le élite europee si muovono sulla base di interessipolitici. A loro fa comodo che l’Italia sia poco competitiva. Penso a sei anni fa, quando questo Paese stava faticosamente uscendo dalla grande crisi. Anziché favorirci, a Bruxelles ci hanno riservato un trattamento particolare, obbligandoci all’austerity e facendoci ripiombare in recessione.
Eppure la consideravano vicino ad Enrico Letta e Mario Monti.
Mi permetto di dissentire. Ho partecipato a un convegno sull’innovazione tecnologica organizzato dal think-thank“Vedrò” di Letta, tutto qui. Con Monti poi, davvero zero contatti.
Cosa pensa Davide Casaleggio della condotta del governo?
Non ci crederà, ma con lui non parlo mai di politica.
Infatti non ci credo. Lei è da sempre legato alla famiglia Casaleggio.
Ho conosciuto il padre Gianroberto durante un incontrodi Confapri, il gruppo di imprenditori di cui faccio parte con il trevigiano Massimo Colomban. Persone in gambache firmano ogni mese anche ottocento buste paga, mache si sentivano trascurate dalla politica. Gianroberto ha avuto la sensibilità di ascoltarle, ed è nato un rapporto di stima molto profondo.
E il figlio Davide?
L’ho incontrato ai funerali del papà. Mi mandò a casa un libro sugli aforismi di Gianroberto con una bellissima dedica. Ci siamo visti di nuovo, e da allora ci frequentiamo. Ma ripeto, tra noi parliamo di tecnologia, non di politica.
Lei è anche l’ideatore del Cenacolo, l’appuntamento milanese dove decine di personaggi di spicco raccontano la propria vita. Deve amare la mondanità.
E’ vero che ad ispirare la sua carriera è stato Steve Jobs?
Ho avuto modo di parlarci. Amava moltissimo l’Italia. Aveva come slogan una frase di Leonbattista Alberti: “L’uomo può ciò che vuole”. Mi piace pensare che il suo famoso motto “Stay hungry, stay foolish”, derivi da un “marchio” italiano.
E’ amico anche di Bill Clinton?
L’ho incontrato a Londra. Spesso mi capita di accompagnare all’estero i campioni della tecnologia italiana. Del resto stiamo facendo quest’intervista tramite Wi-Fi satellitare dall’aereo che mi porta a New York. giro spesso il mondo per lavoro. Terminata questa intervista andrò a New York. Vado a promuovere il sito di fashion più importante al mondo. Poi continuerò il mio ciclo di incontri sull’intelligenza artificiale.
Di Beppe Grillo ha detto: “L’ho sempre stimato, ma ora è prigioniero del suo successo”.
Mai detto. Ci siamo visti un paio di volte durante una campagna elettorale. Ricordo anche una cena con lui. Mi ha colpito il Grillo a riflettori spenti: showman formidabile sulla scena, molto più pacato e tranquillo dietro le quinte.
Pensa che il Movimento Cinque Stelle sia destinato alla scissione?
Quando ricevi un così vasto consenso, vale a dire il voto di un italiano su tre, penso sia inevitabile che nel movimento emergano sensibilità diverse.
In passato, per chi ha votato?
Arrivo da una famiglia di estrazione liberale. Oggi mi riconosco in chi propugna il concetto di “Italia First”, parafrasando Donald Trump.
Da torinese, come ha vissuto la piazza dei trentamila che dicono sì alla Tav?
Spiace sia diventata una partita politica, ma ragioniamo con equilibrio: i costi dell’opera sono faraonici e le stime di traffico davvero troppo ottimistiche. E’ giusto opporsi alla Tav, come del resto sta accadendo in diverse parti d’Europa.
Non possiamo nemmeno dire no a prescindere alle infrastrutture.
Non parlerei più di Tav. Semmai di un nuovo tunnel di base con una linea tradizionale efficiente che trasporti soprattutto merci. Altrimenti torneremmo alle avventure da prima Repubblica. Ricorda i Mondiali di calcio nel 1990? Abbiamo costruito stadi enormi che poi si sono rivelati costosissime cattedrali nel deserto.
Il reddito di cittadinanza è lo strumento giusto perfar ripartire il mercato del lavoro?
C’è stato un grande cambiamento di prospettiva. Per 50 anni la nostra politica industriale è stata la cassa integrazione, vale a dire la difesa del posto di lavoro a tutti i costi. Con il reddito di cittadinanza difendiamo il reddito del lavoratore obbligandolo alla formazione. Questo non significa starsene sul divano, ma far emergere il lavoro nero.
Il governo punta a incassare 18 miliardi privatizzando le aziende pubbliche. Sacrifichiamo i gioielli di famiglia?
Non sono contrario alle privatizzazioni, ma bisogna saperle fare. Quella di Telecom, ad esempio, è stata un disastro. Oggi non venderei le aziende di peso:potremmo però assottigliare le quote di proprietà per fare cassa, pur mantenendo il controllo.
Dietro i vaccini si nasconde il business delle lobby farmaceutiche?
Io i miei figli li ho fatti vaccinare. Certo, ogni tanto mi domando perché in Italia ci debba essere un obbligo divaccinazione così esteso.
Ha ragione Davide Casaleggio quando sostiene che il Parlamento è destinato a scomparire?
Mio padre, ingegnere come me, mi rimproverava perché non so usare il regolo, una specie di antico strumento di lavoro ormai superato. Ecco, il Parlamento in futuro sarà un po’ come il regolo per gli ingegneri.
Quinda la figura del parlamentare tramonterà?
La rete avvicinerà i cittadini alle istituzioni. Ci saranno molte più consultazioni dirette, come avviene in Svizzera, decideremo in tempo reale, magari tramite smarthone. Il Parlamento continuerà ad occuparsi dei grandi temi costituzionali ma ne uscirà depotenziato: in compenso si potenzieranno i diritti dei cittadini.
La Verità, 19 novembre 2018
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