repubblica.it Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi
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Il maresciallo
Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei
carabinieri di Tor Sapienza, chiama l'appuntato Gianluca Colicchio per
informarlo di aver ricevuto un avviso di garanzia per falso ideologico e
materiale nell'inchiesta per l'omicidio di Stefano Cucchi.
Colombo
Labriola è fuori di sé e, almeno apparentemente, appare sorpreso
dall'essere chiamato a rispondere dei falsi che, nell'ottobre del 2009,
sono stati direttamente ordinati dal Comando di gruppo Carabinieri Roma
(nella persona del suo capo Ufficio, il tenente colonnello Francesco
Cavallo) per dissimulare le reali condizioni di salute di Stefano dopo
il pestaggio subito la notte del suo arresto. Colicchio non è un
interlocutore scelto a caso. E' lui infatti, insieme all'appuntato
Francesco Di Sano, il carabiniere che conosce, come del resto il
maresciallo Colombo, la storia di quei falsi. Chi li ordinò, chi fece
pressione perché all'ordine venisse dato corso (il maggiore Luciano
Soligo, comandante della stazione Montesacro Talenti e superiore
gerarchico del maresciallo Colombo), e dunque come l'intera catena di
comando fosse al corrente di quella cruciale manipolazione di atti
destinata a indirizzare la ricerca della verità lontano dai responsabili
del pestaggio (i carabinieri in servizio alla stazione Appia che
arrestarono Stefano la notte tra il 15 e 16 ottobre). Come ascolterete,
il maresciallo dice infatti: "Se hanno indagato me, allora dovranno
indagare Cavallo, dovranno indagare Casarsa (il colonnello Alessandro
Casarsa, all'epoca Comandante del Gruppo Carabinieri Roma e oggi del
reggimento corazzieri del Quirinale) e Tomasone (Vittorio Tomasone,
nell'ottobre 2009 Comandante Provinciale dei carabinieri di Roma e oggi
Comandante Interregionale per l'Italia meridionale)".
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