I governi di centrosinistra hanno trattato con Bruxelles, Lega e 5 Stelle no. Il metro di giudizio differente di Bruxelles legato a Pil, deficit e debito.
Un
elemento che ha portato la Commissione europea a cambiare atteggiamento
nei confronti dell'Italia è la modalità, strettamente politica,
dell'interlocuzione tra Roma e Bruxelles. La configurazione di questa
interlocuzione durante i governi Renzi e Gentiloni è stata quella del
dialogo continuo, pur non senza contrasti (Renzi propose di fatto anche un deficit/Pil al 2,9% per 5 anni),
ma comunque principalmente mosso da una logica volta ad aggiustare la
rotta insieme. La flessibilità ottenuta dagli esecutivi di
centrosinistra è nata ed è stata coltivata in un ambiente di
contrattazione costante, facilitata nelle sue conclusioni da eventi
eccezionali come il terremoto e la questione migranti.
Al
contrario la modalità scelta da Matteo Salvini e Luigi Di Maio è stata
quello dello scontro frontale, di un negoziato che oltre le intenzioni
non è mai sfociato in una proposta di mediazione con tanto di numeri e
considerazioni. Al contrario, nei passaggi più delicati della gestazione
della legge di bilancio, le risposte del governo italiano a Bruxelles
sono state caratterizzate da un'impostazione politica netta, quella cioè
di andare avanti sempre e comunque. È stato così per il deficit portato
al 2,4%, è stato così per la composizione della manovra. Il conto
subito, in altre parole, e due sole opzioni date alla Commissione:
prendere o lasciare. Luigi Marattin, economista e deputato del Pd, ha
seguito da vicino la nascita delle leggi di bilancio renziane e
sintetizza così con Huffpost la differenza: "La bocciatura Ue, senza
precedenti, è grave perché denota un'assoluta mancanza di rispetto per
le regole comuni e, soprattutto, perché dimostra che la barca della
finanza è totalmente fuori controllo. E schiantarsi contro gli scogli
può essere particolarmente grave per i risparmi degli italiani". I
deputati M5s la pensano in modo opposto: "La Commissione dovrà
riconoscere i suoi errori di stima, e rassegnarsi alla necessità di una
manovra espansiva, tanto più necessaria in seguito al rallentamento
dell'economia globale".
La natura
differente dell'interlocuzione, a sua volta, si colloca all'interno di
una considerazione politica ancora più ampia, quella cioè che vede
contrapposti governi filo-europeisti, come appunto quelli di Renzi e
Gentiloni, a esecutivi sovranisti, che puntano a stravolgere l'impianto
attuale. Oggi l'Europa non è più quella di tre anni fa, cioè Merkel
centrica, e Salvini e Di Maio hanno un appuntamento da preparare proprio
per portare a termine la loro mission, cioè le elezioni europee della
prossima primavera.
Dentro il clima
politico differente si collocano i numeri delle manovre italiane e i
parametri europei. L'unicum della bocciatura nasce dal cortocircuito che
è scaturito da questi due ordini di elementi. È utile guardare appunto
ai numeri per comprendere bene come si è arrivati a un trattamento di
opposta natura nei confronti dell'Italia. Prendendo come riferimento
l'elaborazione del Centro studi di Confindustria su dati dell'Ufficio
parlamentare di bilancio, si evince che dal 2015 al 2018 l'Italia ha
ottenuto 29,7 miliardi di flessibilità, suddivisi così: circa 4,5
miliardi nel 2015, 14 nel 2016, 6 nel 2017, 5,2 nel 2018. Le risorse che
l'Italia ha potuto spendere in più grazie al via libera di Bruxelles
sono legate in misura principale a eventi eccezionali come il terremoto e
i flussi migratori, ma nel 2016 - l'anno più profittevole per l'Italia -
sono rientrate anche le spese per la sicurezza (antiterrorismo), quelle
per le riforme strutturali e quelle per gli investimenti.
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