martedì 1 gennaio 2013

Abbiamo perplessità di merito e di metodo sulla costruzione del "Quarto Polo". Ma se non vogliamo che il futuro politico del paese sia tutto nelle mani di Bersani e Monti, probabili alleati di domani, adesso è indispensabile sostenere la Rivoluzione civile di Ingroia, sottolineando ciò che ci unisce e tralasciando ciò che ci può dividere. 

di Angelo d’Orsi
Sto seguendo, come tanti, le vicende relative alla costruzione di un possibile “Quarto Polo”, desideroso, per una volta, di uscire dal ruolo dell’osservatore, sia pure partecipe e simpatetico, e impegnarmi direttamente: “metterci la faccia”, come si dice da qualche tempo. In particolare sono stato stimolato dall’iniziativa di Luigi De Magistris. Ho provato a seguire anche, in certa misura, “Cambiare si può”, partecipando a qualche assemblea. L’ultima delle quali, domenica 29 dicembre, a Torino, mi ha gettato nello sconforto. I “garanti” reduci da incontri con Antonio Ingroia, hanno annunciato l’intenzione di chiudere la trattativa, a causa della insistenza di tre segretari di partiti (Diliberto, Bonelli, Di Pietro) disposti ad appoggiare la Lista Ingroia senza simboli, di entrarvi. Il segretario del quarto partito (Ferrero, di Rifondazione comunista), si è dichiarato pronto a entrambe le opzioni ossia non ha posto una pregiudiziale. Capisco che la “pretesa” non sia piaciuta, ma è anche vero che questi partiti (PDCI, IDV, Verdi e PRC), sono i soli in grado di fornire una trama organizzativa, di raccogliere le firme in tempo utile e (per IDV) di dare un sostegno finanziario. 


La linea di “Cambiare si può” voleva essere quella di un totale rinnovamento : insomma via i vecchi modi e le vecchie facce. E su questo scoglio si è incagliata la nave unitaria. Addirittura nell’assemblea torinese, dopo un ultimo colloquio telefonico tra uno dei promotori (Livio Pepino, che poi ha spiegato il suo punto di vista sul Manifesto del 30 dicembre), si è mostrato un frammento – poco felice – della diretta streaming della Conferenza stampa di Ingroia, commentata dal palco e dalla platea, opportunamente sollecitata, con lazzi e frizzi. Alcuni degli interventi degli oratori (tutti o quasi esponenti della “società civile”, ossia di gruppi movimenti associazioni, e qualcuno del PRC) a partire da quel momento sono andati molto sopra le righe. 
Ho sentito parlare della necessità della “purezza” (a cui strada, forse lo si dimentica, conduce diretta al gulag), e addirittura in riferimento ad Ingroia (fino a due ore prima “il nostro candidato premier”), “con gente così non dobbiamo avere alcun rapporto”. Non so come saranno gli esiti delle votazioni telematiche in relazione alla decisione dei tre garanti (una delle quali, Chiara Sasso, si è esibita in una performance “letteraria”, assai discutibile nella forma e nella sostanza, tutta contro Ingroia e De Magistris e Di Pietro), ma l’esito politico appare scontato: nessuna intesa con il Movimento Arancione. E voto libero. Il che, stando agli umori registrati nell’assemblea significherà, per la maggioranza dei casi, astensione, rinuncia al voto, scheda bianca, nelle prossime elezioni. Un bel risultato, per chi voleva rifondare, lodevolmente, la politica. E per chi voleva rivitalizzare la sinistra. 

So che sul piano della teoria, il gruppo promotore di “Cambiare si può” ha ragione. Ma la politica deve saper combinare il principio di piacere con il principio di realtà. Occorre, se si vuole entrare nel gioco, saper accettare alcuni orientamenti di fatto il primo dei quali è che hai bisogno di un leader, da contrapporre ad altri competitors. E il leader che sosterrai deve avere un valore simbolico, al di là della concordanza più o meno piena con le sue idee. Ora, Antonio Ingroia rappresenta la lotta alla mafia. Al di là di sbavature contenutistiche e di qualche scivolata espressiva (no, non è un comunicatore, il dottor Ingroia), egli sta cercando di usare la bandiera dell’antimafia in un senso ampio: lottare contro la mafia oggi significa, insomma, non soltanto, né semplicemente, fare un’azione per il ritorno della sovranità della legge, e per una battaglia senza quartiere contro esponenti e fiancheggiatori, compresi politici e imprenditori, di Cosa Nostra, della ‘ndrangheta, della camorra e così via. Oggi la lotta alla mafia significa lotta per la tutela dell’ambiente (si pensi che la fonte principale di proventi per le organizzazioni criminali deriva dal ciclo dei rifiuti), del territorio (le mani della mafia sono sulle “grandi opere”), del lavoro (il caporalato è legato a queste organizzazioni), della libera imprenditoria (sottoposta alla implacabile legge del pizzo) e così via. Ingroia invoca un’azione congiunta, unitaria contro la “Santa Alleanza” (criminali professionisti, imprenditori disonesti, politici collusi). E si mette a disposizione per guidare la riscossa. 

Si condivide o no questa linea? Certo, le differenze ci sono; e io stesso ho perplessità di merito e di metodo. Ma chi meglio di Ingroia (anche in fondo nella sua scarsa dimestichezza con la comunicazione) può rappresentare l’anti-Berlusconi? E allora sarebbe indispensabile mettere da parte le differenze, superare le divisioni, e lavorare per opporre alla Santa Alleanza una Intesa dei democratici, che siano o meno esponenti della “società civile” o di partiti. Io che non ho mai avuto una tessera di partito in tasca, non trovo nulla di disdicevole in chi milita in una forza politica organizzata, se lo fa per passione e con spirito di servizio; anzi ha tutta la mia ammirazione. Il rinnovamento dal basso, la costruzione di una democrazia partecipata, ha i suoi tempi, e ora i tempi sono strettissimi. Se si vuole portare in Parlamento una pattuglia di deputati (e magari anche di senatori benché il compito sia ancor più arduo) che diano voce a chi da troppo tempo voce non ha nei quartieri alti della politica, persone che siano rappresentanti delle istanze referendarie, dei bisogni dei ceti subalterni, degli operai e delle operaie di Termini, Pomigliano, Mirafiori sottoposti ai ricatti di Marchionne, dei precari e degli esodati, degli insegnanti umiliati e offesi, dei pensionati ridotti alla fame, dei nuovi schiavi migranti, ebbene l’unità è un compito da perseguire, qui e subito. Parlamentari che siano barriera protettiva intorno alla Costituzione repubblicana contro ogni tentativo di manomissione, ma che difendano anche lo Stato diritto e la laicità delle istituzioni contro l’invadenza pontificia e clericale; parlamentari che siano in prima linea contro l’ultracapitalismo e le sue regole devastanti; parlamentari che si facciano paladini della libertà di coscienza, davanti alla vita e alla morte, di orientamento sessuale, e di una etica pubblica che oggi tutta la classe politica – tutta – ha smarrito. 

Se si fa riferimento a questo catalogo di cose da fare, non possiamo accettare l’invito già circolante, al “voto utile”. Il voto utile è il voto che provi a fare emergere una istanza politica oggi esclusa. Le primarie del PD, dietro il falso rinnovamento, sono state uno spettacolo desolante: le nuove leve del rampantismo dei T/Q contro le vecchie cariatidi della nomenclatura. Opposti opportunismi, in un generale oblio (salvo lodevolissime eccezioni) dei valori, dei princìpi, delle istanze di cui un partito postcomunista dovrebbe essere portatore. E ciò nel momento in cui, sul fronte della destra – mentre penosamente si trascina il cavaliere dimezzato, ancorché ornato di Borsalino, che lo rende anche fisicamente una controfigura di Al Capone – si riorganizza un grande schieramento di destra cattolica, benedetta dalla Santa Sede. E il Movimento 5 Stelle sembra avvitarsi intorno ai dettati del padre padrone, rappresentando a sua volta un’altra forte delusione per molti. 

Dunque la situazione offre un’occasione, occasione da cogliere in ogni modo, e rapidamente, senza indugi e senza fare pretendere di giudicare il passato politico di ciascuno (ovviamente non considero quello giudiziario su cui non ci può essere discussione). Non possiamo rinfacciare scelte sbagliate, errori di valutazione, decisioni politiche improvvide, di cinque, dieci, quindici o vent’anni fa: occorre guardare al futuro, che è già qui, e dobbiamo decidere se vogliamo provare a incidere su di esso, o lasciarlo tutto nelle mani di Bersani e Monti, probabili alleati di domani. 

Per una volta compiamo tutti insieme lo sforzo di sottolineare ciò che ci unisce, tralasciando ciò che ci può dividere. E anche se eccepiamo sulla forma, se condividiamo il contenuto, almeno nella sua parte sostanziale, sosteniamo la Rivoluzione civile di Antonio Ingroia. 

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