Angela Napoli, membro della Commissione parlamentare antimafia,
commenta con parole durissime la relazione finale del Comitato
ristretto che si è occupato dei traffici via mare di rifiuti
tossico-radioattivi: «Questo testo una vergogna! E' la palese
dimostrazione che non si voleva fare chiarezza e arrivare alla
verità. Segnalerò alla mia Commissione che ritengo un simile
documento non idoneo al benché minimo accertamento dei fatti. Anzi,
aggiungo pure che si sta tentando di silenziare uno scandalo di
dimensioni spaventose».
Eppure il titolo del documento promette bene: "Relazione sui
possibili interessi della criminalità organizzata sul traffico
marittimo".
«Soltanto che poi, all'interno, questi interessi non emergono
assolutamente. Una cosa assurda. Pensare che io stessa, durante
un'assemblea interparlamentare dei Paesi che si affacciano sul
Mediterraneo, ho denunciato lo scempio dei rifiuti affondati in
mare, e in quell'occasione i rappresentanti delle altre nazioni
hanno subito riconosciuto la gravità del problema. In Italia invece
si vuole rimuovere tutto, convincere gli italiani che niente è
successo e che la salute collettiva non corre pericoli. Che
amarezza...».
Un punto interessante, viste le polemiche sorte in passato,
è quello che riguarda l'armatore Ignazio Messina. Nella relazione
del Comitato, infatti, si scrive che tre navi di questa compagnia
(Rosso, Jolly Amaranto e Jolly Rubino) hanno avuto incidenti tra
loro simili. Nel senso che «tutte e tre le navi sono state colpite
da maltempo in corso di navigazione, tutte e tre hanno subìto gravi
avarie all'apparato motore che ne hanno determinato
l'ingovernabilità, tutte e tre hanno perso una parte del carico
durante il maltempo, e tutte e tre sono state abbandonate
dall'equipaggio e assistite dalla stessa compagnia: la società
olandese Smit Tak, specializzata nel recupero e messa in sicurezza
di relitti "critici"». Poi però il Comitato scrive anche che «non
vi sono elementi che possano avvalorare la tesi dell'esistenza di
connessioni tra gli eventi descritti, in particolar modo ove tale
connessione venga ricercata nella finalità dell'affondamento delle
navi per l'illegale smaltimento dei rifiuti». Discorso per sempre
chiuso, dunque?
«Niente affatto. E' evidente che il Comitato ha voluto sostenere
il lavoro svolto finora dalla magistratura. Ma -con tutto il
rispetto- io non l'ho vista tutta questa bontà del lavoro degli
investigatori. Spero solo che emergano, a breve, nuovi indizi e
testimonianze che permettano di svolgere ulteriori approfondimenti:
sia a livello giudiziario sia a livello politico».
Nel documento si spiega tra l'altro che la nave Cunski (al
centro dell'attenzione nazionale nel 2009, quando su segnalazione
del pentito Francesco Fonti fu trovata un'imbarcazione sui fondali
calabresi di Cetraro) non è stata smantellata in India come
riferito dalla Capitaneria di Vibo Valentia, e dunque andrà capito
dov'è finita.
«Il che non mi stupisce. Già nell'ottobre 2009, quando l'allora
procuratore nazionale antimafia Piero Grasso parlò davanti alla
Commissione parlamentare antimafia, posi una serie di domande
precise. Chiesi, ad esempio, perché il memoriale di Fonti fosse
rimasto chiuso per anni dentro ai cassetti della Direzione
nazionale antimafia. Chiesi come fosse riuscito, lo stesso Fonti, a
indicare con precisione il punto di affondamento della nave davanti
a Cetraro. E chiesi pure, a Grasso, che ruolo avessero avuto i
servizi segreti nel groviglio delle navi dei veleni. Per la
cronaca, nessuno di questi quesiti ha ricevuto una
risposta».
E' dunque fantascienza, o cronaca del reale, dire che lo
scandalo dei traffici internazionali di rifiuti non può essere
svelato perché coinvolge alti livelli
istituzionali?
«Usiamo le parole giuste: si tratta della classica ragion di
Stato. Nel senso che è evidente che sono coinvolti importanti
pezzi dello Stato italiano e di altre nazioni. Per non dire del
legame con la fine di Ilaria Alpi, e di quello che aveva scoperto
prima di essere uccisa in Somalia».
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