lunedì 28 gennaio 2013

Intervista ad Antonio Ingroia: "Contro Monti, per l’Italia"

Nella hall dell’albergo romano in cui ci dà appuntamento ci sono anche i candidati Sandro Ruotolo e Giovanni Favia. Antonio Ingroia chiacchiera un po’ con loro in privato, poi li lascia al tavolo e affida allo staff i telefoni che continuano a squillare. «Sembra che il tempo non basti mai – dice – mi scusi».
Left | Autore: Rocco Vazzana
Cominciamo subito allora. Cosa risponde a chi dice che se vince Berlusconi è per colpa vostra?
In campagna elettorale eravamo abituati alle barzellette di Berlusconi, ora ci dovremo abituare a quelle di Bersani. Cerchiamo di essere seri, di non prendere in giro gli elettori. Presentare me, che sono stato sempre accusato di essere l’antiberlusconiano per eccellenza, come colui che vuole fare un favore a Berlusconi mi sembra una sparata grossa. Il Cavaliere è e rimane un nostro avversario politico, ma non costituisce più un reale problema all’orizzonte perché è politicamente finito. Dopo 20 anni gli italiani sono ormai vaccinati. Il rischio adesso è un altro: che le politiche di Berlusconi vincano, ma sotto un’altra maschera, quella di Monti. Allora, la questione non è fare un favore a Berlusconi ma non farlo a Monti. Come il Pd sta facendo in maniera irresponsabile.
Eppure all’inizio avevate preso in considerazione la desistenza. Poi cosa è successo?
Non avevamo preso in considerazione la desistenza, avevamo deciso di aprire un confronto ma il Pd non ci ha dato garanzie: non ha escluso la possibilità di fare accordi con Monti. Era l’unica condizione da noi posta. Dal Partito democratico, invece, sono solo arrivati segnali in direzione opposta. Noi siamo alternativi al montismo e non avremmo potuto favorire un partito, il Pd, che alternativo non è. L’unico voto utile per impedire l’intesa tra Monti e il Pd è Rivoluzione civile.

Voi e Sel non sembrate così distanti nei contenuti. Però Nichi Vendola la scorsa settimana dalle colonne di left ha lanciato un appello al voto utile. Si è chiuso il dialogo anche col governatore della Puglia?
Capisco la difficoltà in cui si trova Vendola: stretto tra la storia di Sei, in molti punti coincidente con Rivoluzione civile, e l’abbraccio mortale verso Monti. Il governatore ha provato a volte a puntare i piedi con Bersani, e lo sforzo va apprezzato. Ma visti i rapporti di forza tra Scie il Pd, gli appelli di Vendola sono destinati a cadere nel vuoto. E allora lo faccio io un appello al leader di Sel: tirati fuori dalla coalizione perché rischi di rimanere stritolato in una contraddizione insanabile.
È un appello ufficiale per il dopo voto?
Sì, è un appello per il dopo voto. Mi auguro solo che Sei abbia la consistenza numerica per diventare un interlocutore importante in Parlamento.
In Lombardia appoggerete Umberto Ambrosoli. Nel Lazio, invece, candidate Sandro Ruotolo nonostante le trattative con Zingaretti fossero già a buon punto. Perché è saltato il banco?
In Lombardia si era già costituita una lista civica con esponenti di Rivoluzione civile e abbiamo preferito non interferire con un processo partecipativo dal basso che si era ormai costruito. Zingaretti è un politico serio e innovativo, ma deve fare i conti la macchina burocratica del suo partito che evidentemente ha creato qualche ostacolo. Credo ci sia stato un veto a livello nazionale che ha limitato gli spazi di libertà di Zingaretti nel costruire la sua alleanza.
Crede che sulla sua persona ci fosse il veto di Napolitano?
Non lo so. Mi auguro che non sia così. Non posso pensare che l’Italia sia diventata una democrazia a sovranità limitata per cui le scelte dei partiti vengano condizionate dal Presidente della Repubblica. Certo che la recente sentenza della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano contro la procura di Palermo ha ampliato decisamente i poteri del Capo dello Stato, incrinando in parte gli equilibri che erano stati scritti dai padri costituenti. Però non posso ipotizzare che ci siano stati degli interventi così pesanti da parte di Napolitano sulle alleanze.
Al Comune di Roma, invece, il vostro candidato dovrebbe essere Sandro Medici. Amministratore locale con la tessera di Sel in tasca…
Con Medici abbiamo un percorso di collaborazione già avviato, ma non abbiamo ancora preso decisioni finali.
Candidature calate dall’alto come quella dell’ex grillino Giovanni Favia, lottizzazione dei posti in lista da parte dei partiti e tante contraddizioni. Come la convivenza coatta di Ilaria Cucchi, che si batte per l’introduzione del reato di tortura, e Claudio Giardullo, sindacalista Silp/Cgil, che in passato si era espresso contro l’introduzione di quel reato. Più che una Rivoluzione civile sembra un mare magnum…
La nostra è una proposta politica molto complessa e ambiziosa. Vogliamo fare una sintesi tra le espressioni dell’impegno civile e quello dei partiti. In tutte le sintesi, ovviamente, è necessario raggiungere un equilibrio tra diverse aspirazioni e obiettivi. Se avessimo riportato meccanica-mente dentro le liste i risultati delle assemblee di “Cambiare si può” avremmo fatto un’opera importante per i territori ma unilaterale, trascurando le realtà nazionali. Ritenevamo importante, ad esempio, candidare la presidente dell’associazione Libera in nome dell’antimafia sociale. Anche Giardullo e Cucchi possono stare insieme. Non abbiamo candidato il capo di un sindacato corporativo e di destra, abbiamo candidato il segretario del sindacato più democratico dei poliziotti, il Silp/Cgil, per rappresentare anche le istanze legittime delle forze dell’ordine.
Favia ha detto al Corriere di Bologna che sostiene Ingroia ma è pronto a fare un proprio movimento.
Sì, Favia rappresenta un pezzo che si è distaccato dai 5 stelle, ha già un suo movimento.
Quindi che fate, gli date un passaggio?
No, Rivoluzione civile è fatta di varie componenti. Ci sono anche i partiti e il movimento arancione di de Magistris. Tutte realtà che non si sono disciolte. La lista raccoglie realtà diverse. Per questo parlavo di operazione ambiziosa. Vogliamo portare in Parlamento l’impegno civile. Poi vedremo, a seconda dei risultati par-lamentari, se questa proposta politica avrà una sua continuità in autonomia dalle singole realtà che l’hanno costituita.
Di Pietro ha ottenuto il maggior numero di candidati in quota ai partiti. Ha fatto valere il peso economico dell’Italia dei valori per so-stenere le spese della campagna elettorale?
L’Idv ha dato un contributo più consistente al finanziamento perché era l’unico partito che, avendo avuto rappresentanza parlamentare, aveva maggiori disponibilità economico-finanziarie. Ma il maggior numero di rappresentanti nasce semplicemente dalle previsioni di voto basate sui sondaggi. LIdv era il partito col consenso maggiore.
Diventerete un partito prima o poi?
I partiti hanno avuto un molo importante nella storia del nostro Paese ma ormai non affascinano più. Penso che un movimento sia più adatto, in quanto più agile: consente ai non professionisti della politica, ma con passione politica, di entrare in Parlamento. In questo senso sono convinto che Rivoluzione civile debba diventare un progetto politico stabile.
Non teme che una volta in Parlamento ogni componente vada per la propria strada?
Credo che questo rischio non ci sia. Se si va in Parlamento sarà un successo politico di Rivoluzione civile, non dei singoli partiti di cui ciascuno è espressione.
Sul vostro programma c’è scritto: aboliremo l’Imu e  istituiremo la patrimoniale. Che tipo di patrimoniale avete in mente?
Vogliamo rendere più equo un sistema econo-mico iniquo che scarica la crisi economico finanziaria sugli strati sociali medio bassi. Pensiamo a un’imposta patrimoniale che colpisca i più ricchi, finora quasi del tutto esenti dai sacrifici. E non parliamo solo di immobili. Bisogna risarcire gli italiani dando la caccia ai patrimoni illeciti.
Estenderete l’Imu ai patrimoni ecclesiastici?
Ne stiamo discutendo. Ma è chiaro che se parliamo di patrimoni dei più ricchi non possiamo parlare solo di persone ma anche dei centri di potere.
Non avete paura di essere percepiti come antieuropei?
No, siamo semplicemente per un’Europa più giusta. A noi piace l’Europa che aveva in mente Altiero Spinelli, non quella di Monti e della finanza. Per questo proponiamo di rivedere il fiscal compact che finora l’Italia ha subìto passivamente con grave responsabilità dei governi Berlusconi prima e Monti dopo.
Di recente ha detto che la Chiesa ha usato troppa gentilezza nei confronti della mafia. A cosa si riferiva?
Per troppi anni c’è stato un eccesso di prudenza e cautela. Da parte della Chiesa, invece, servono delle prese di posizione più nette sulla questione criminale in generale e sul tema delle mafie in particolare. Ci sono molti cattolici e preti coraggiosi ma alla fine fanno poca carriera nelle gerarchie ecclesiastiche.
È entrato in politica un momento prima che il Csm prendesse provvedimenti su di lei?
Si è creata una situazione di ostilità interna al inondo giudiziario ma avevo le spalle abbastanza larghe per proseguire sulla mia strada. Certo non sono state le difficoltà interne alla magistratura che mi hanno indotto a impegnarmi in politica. Sono state le difficoltà della politica a farmi ritenere necessario un impegno in prima persona.

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