di keynesblog.it
Convertire in azioni le obbligazioni del Monte Paschi acquistate dallo Stato, che acquisirebbe così il controllo della banca; risanarla in 2-4 anni; venderla sul mercato, addirittura guadagnandoci. No, non è la proposta di qualche impenitente statalista. E’ invece il contenuto di un articolo di Oscar Giannino e Michele Boldrin pubblicato sul sito della lista “Fare per Fermare il Declino”.
Chiariamo che l’ipotesi avanzata dai due esponenti di “FiD” è tutt’altro che insensata. Sicuramente è preferibile alla situazione attuale, nella quale il MPS si trova pesantemente indebitata con lo Stato a tassi di interesse insopportabili (Mario Monti in proposito ha spiegato che altrimenti sarebbe considerato un aiuto di Stato, non compatibile con le ormai bizzarre regole europee sulla concorrenza). Il problema, va da sé, è che una proposta del genere appare smaccatamente in contraddizione con la filosofia di fondo che anima “FiD”, per la quale il mercato è sempre la soluzione, al punto che va introdotto anche nel cuore dello Stato, attraverso la concorrenza e la “selezione darwiniana” delle amministrazioni pubbliche. Qualche domanda sorge spontanea e ci si perdoni se per una volta, con fini per così dire maieutici, prenderemo le parti dei difensori delle virtù taumaturgiche del mercato:
Ovviamente si tratta di domande puramente retoriche. E’ chiaro a chiunque, infatti, che una banca non può essere lasciata fallire. Ma allora c’è da chiedersi come mai, persino dopo aver visto gli effetti del fallimento di Lehman Brothers, Giannino abbia continuato a sostenere che si sarebbe dovuto lasciare agire il mercato, facendo fallire tutte le banche e non solo Lehman: “Alcuni o molti di voi penseranno che è stato saggio e inevitabile, nei Paesi padri del modello finanziario ad alta leva e bassa congruità patrimoniale, nazionalizzare e salvare le banche. Al contrario, noi pensiamo che non sia vero affatto, perché la certezza di essere salvati non costituisce freno al moral hazard del banchiere e non spinge l’azionista a sorvegliarlo, ma solo a chiedergli utili e dividendi.” [link]
E ancora: “Penso invece che la soluzione di Milton [Friedman, ndr] al problema TBTF [Too Big To Fail, troppo grandi per fallire, ndr] non sarebbe stata “evitiamo a tutti i costi” i fallimenti dei grandi intermediari. [...] Una linea forse più produttiva, del solo sì al fallimento Lehman che ha confermato poi a tutti i grandi istituti mondiali che tanto non rischiano nulla di definitivo” [link] (grassetto nostro) Forse la risposta è quella che una volta diede Robert Lucas, economista certo non accusabile di statalismo: “Siamo tutti Keynesiani quando siamo in trincea” (We are all Keynesians in the foxhole). In altre parole, di fronte ad una crisi è l’azione collettiva, incarnata dallo Stato, la sola soluzione praticabile anche per i più restii all’intervento pubblico, poiché seguire le leggi del mercato provocherebbe danni maggiori. L’unica cosa che si potrebbe chiedere a Giannino e Boldrin, a questo punto, è un minimo di coerenza e, ci si permetta, di decenza: non sparare continuamente a palle incatenate su quello che poi viene chiamato, quando le cose si mettono male, a salvare il mercato da se stesso.
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