mercoledì 30 gennaio 2013

Caso Aldrovandi, la Cassazione "Repressione estrema e inutile" Carcere per tre dei poliziotti condannati per la morte di Aldrovandi

Le motivazioni della sentenza che lo scorso 21 giugno ha confermato la condanna dei quattro agenti che uccisero il giovane ferrarese e stronca l'operato degli imputati: "Il ragazzo era solo, non agirono affatto perché costretti". Censurato anche il tentativo di depistaggio.

Poliziotti in carcere Lo ha stabilito il Tribunale di sorveglianza di Bologna, in merito alla pena residua di sei mesi: fra le motivazioni, la violazione dei protocolli di intervento e la mancanza di pentimento. La difesa aveva chiesto l'affidamento ai servizi sociali o, in subordine, i domiciliari. Il quarto agente sarà giudicato a febbraio. La madre di Federico: "Segnale di civiltà, ora lo Stato si dissoci da loro". Candidato bolognese di Fratelli d'Italia: "Sentenza choc, subito la clemenza"

La Corte, rifacendosi completamente alla decisione della Corte d'appello di Bologna del 10 giugno 2011- definita "logica", "adeguatamente motivata" e "puntuale" - ricostruisce la dinamica dei fatti accaduti la sera del 25 settembre 2005, dopo che gli agenti intervennero in via Ippodromo a Ferrara su segnalazione di una signora; e osserva che "le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall'altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall'incongrua protratta pressione esercitata sul tronco dell'Aldrovandi".
Lungi da quanto sostenuto dalle difese dei quattro agenti, "le condotte poste in essere - scrive la Quarta sezione penale - evidenziano che gli agenti non agirono affatto perché costretti dalla necessità di difendere un proprio diritto". Anzi, "i quattro agenti posero in essere una violenta azione repressiva nei confronti di un ragazzo che si trovava solo".

I supremi giudici parlano anche delle responsabilità singole degli agenti, mettendo in evidenza come il comportamento dei quattro sia stato grave allo stesso modo e non ci siano responsabilità minori: "La consapevolezza di agire in cooperazione imponeva a ciascuno degli agenti non solo di operare individualmente in modo appropriato, ma anche di interrogarsi sull'azione dei colleghi, se del caso agendo per regolarla, moderandola".

Nelle 43 pagine di motivazioni, i giudici di piazza Cavour mettono in evidenza più volte la violenza "gratuita" dei poliziotti nei confronti del giovane: "La condotta posta in essere dagli agenti - scrive la Corte - fu sproporzionalmente violenta e repressiva, laddove lo stato di agitazione in cui versava il ragazzo, avrebbe imposto un intervento di tipo dialogico e contenitivo".

Parole durissime, infine, anche sul tentativo degli agenti di occultare la verità durante le indagini e in sede processuale: "Gli imputati - si legge infatti nella sentenza - avevano distorto dati rilevanti, per il seguente sviluppo delle indagini, sin dalle prime ore successive all'uccisione del ragazzo. Avevano anche omesso di fornire un contributo di verità al processo, da reputarsi doveroso per dei pubblici ufficiali, a fronte delle manipolazioni delle risultanze investigative pure realizzate dai funzionari responsabili della Questura di Ferrara".

Pieno apprezzamento per le motivazioni della Corte è stato espresso dall'avvocato della famiglia Aldrovandi, Fabio Anselmo: "Questa è e sarà una sentenza storica che travolge quello che fino ad allora era un vero e proprio tabù: la possibilità di censurare e sanzionare un intervento di polizia violento e posto in essere al di fuori del diritto". Pronuncia che inoltre "censura la cultura del lasciar che gli altri (colleghi) facciano, e riconosce la manipolazione delle indagini effettuate da altri funzionari della questura di Ferrara, nonché la distorsione da parte dei poliziotti imputati sin dalle prime ore successive all'uccisione di Federico". E che anche "non perdona ai poliziotti pubblici ufficiali l'omissione del contributo di verità al processo".

"Questo è nient'altro che ciò da noi sostenuto e riconosciuto sin dal primo grado di giudizio - conclude il legale - con buona pace di coloro che ci tacciavano di sciacallaggio e calunnia. La parola fine è scritta"

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