I 10 punti che Amnesty International sottopone al prossimo Parlamento e al Governo che si andrà formando dopo le elezioni. L'Italia è un paese in cui ampie fasce di popolazione corrono il rischio di violazioni dei diritti. Nonostante i richiami, le falle del sistema e le scelte politiche fuori luogo, hanno prodotto in questi anni abusi, ingiustizia, sofferenza e disgregazione sociale.
1) Trasparenza nella polizia e la tortura diventi reato. 2) Fermare il femminicidio. 3) Proteggere i rifugiati e sospendere gli accordi con la Libia. 4) Condizioni dignitose nelle carceri.5) Combattere l'omofobia 6) Fermare gli sgomberi forzati e la segregazione dei Rom.
7) Ci vuole un'istituzione nazionale indipendente per difendere i diritti umani 8) Imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani 9) Lottare contro la pena di morte 10) Un controllo maggiore nel commercio delle armi
ROMA - Alla luce dei fatti - si legge nell'Agenda in 10 punti per i diritti umani redatta da Amnesty International - l'Italia è un paese in cui ampie fasce di popolazione corrono un alto rischio di violazioni dei diritti umani. Nonostante i richiami dei comitati internazionali di monitoraggio e le richieste della società civile, le falle del sistema, assieme a scelte politiche fuori luogo, hanno prodotto in questi anni abusi, ingiustizia, sofferenza e disgregazione sociale. Essere donne, partecipare a una manifestazione, essere migranti, rom, gay, detenuti, significa in Italia correre un serio rischio per i propri diritti umani. In tempi di crisi economica, con l'aumento delle tensioni sociali da una parte e, dall'altra, l'accento della politica sulle sole questioni finanziarie, questa situazione tende ad aggravarsi.
L'appuntamento elettorale. Un Governo che ha a cuore il paese, ha a cuore i diritti umani di chi ci vive e se ne sente responsabile. Un Parlamento che intende esercitare pienamente la sua funzione, legifera per la protezione e il benessere di tutti, nel segno dei diritti e del rispetto della dignita? di ciascuno. In occasione delle elezioni politiche del 2013, Amnesty International sottopone ai leader delle coalizioni e delle forze politiche, e a tutti i candidati e le candidate, una lista di richieste articolate in 10 punti prioritari. L'organizzazione chiede a chi si propone per la guida del paese di esprimersi chiaramente su ogni punto, prendendo una posizione netta a riguardo, davanti all'elettorato. L'Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia di Amnesty International costituisce un vero e proprio programma di riforme, a cui l'organizzazione dedica una campagna nazionale che portera? avanti nei prossimi anni con il nuovo governo e Parlamento.
1) Trasparenza nella polizia e la tortura diventi reato.
Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani in ogni paese: hanno, tra le loro responsabilita?, quelle di ricevere denunce e svolgere indagini su abusi dei diritti umani, garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni, proteggendo chi vi partecipa da minacce e violenze. Affinche? questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilita? e una complessiva trasparenza. Amnesty International chiede agli stati di assicurare che le forze di polizia operino nel rispetto degli standard internazionali sull'uso della forza e delle armi, di prevenire violazioni dei diritti umani e di assicurare indagini e procedimenti imparziali, accurati, equi e tempestivi per l'accertamento delle responsabilita?, quando emergano notizie di violazioni.
La ferita di Genova. A quasi 12 anni dal G8 di Genova del 2001, durante il quale centinaia di persone furono vittime di gravi violazioni dei diritti umani da parte di centinaia di agenti e funzionari delle forze di polizia1, molti dei responsabili sono sfuggiti alla giustizia e in Italia ancora mancano importanti strumenti per la prevenzione e la punizione delle violazioni, necessari tutte le forze di polizia siano riconosciute come attori di protezione, trasparenti e responsabili del proprio operato. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la responsabilita? delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere
Identificare gli agenti impegnati in ordine pubblico. Per fermare le violazioni dei diritti umani e a beneficio del ruolo centrale della polizia nella loro affinche? protezione, e? urgente che le lacune esistenti vengano al piu? presto colmate. In particolare, e? essenziale che il reato di tortura venga finalmente introdotto nel codice penale e che venga istituito un meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, obbligo previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura, ratificato dall'Italia nel 2012. E? altrettanto urgente che vengano introdotte misure di identificazione per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico assicurando che l'identita? personale degli stessi sia tracciabile, ad esempio attraverso l'uso di codici alfanumerici sulle uniformi, come indicato dal Codice europeo sull'etica della polizia, adottato dal Consiglio d'Europa nel 2014.
2) Fermare il femminicidio.
La violenza domestica ignorata nel 90% dei casi. Nel rapporto sull'Italia5 pubblicato nel 2012, la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne ha sottolineato gli alti livelli di violenza domestica e le crescenti uccisioni di donne in quanto donne, da parte di uomini, che caratterizzano il paese. La violenza domestica nella sfera privata non viene denunciata alla polizia in oltre il 90 per cento dei casi, così come anche lo stupro, e resta la maggior parte delle volte completamente invisibile. La violenza domestica sta sfociando, in Italia, in un crescente numero di uccisioni di donne per violenza misogina. Negli ultimi 10 anni, il numero di omicidi da uomo su uomo è diminuito, mentre è aumentato il numero di donne uccise per mano di un uomo: oltre 100 ogni anno. In circa la metà dei casi il colpevole è un partner o ex partner e solo in circostanze rare si tratta di una persona sconosciuta alla donna.
L'impegno delle istituzioni. Per contrastare adeguatamente queste violazioni dei diritti umani, le istituzioni italiane devono ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla violenza contro le donne e devono mettere in campo un impegno serio e determinato per dare attuazione alle raccomandazioni del rapporto della Relatrice speciale. Tra le richieste, c'è quella di adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le donne. Gli agenti siano adeguatamente equipaggiati e formati a impiegare metodi non violenti e non letali prima di ricorrere, quando strettamente necessario, a un uso legittimo e proporzionato della forza e delle armi.
...E quello del sistema mediatico. Inoltre, la società e gli organi di informazione dovrebbero essere sensibilizzati sulla violenza contro le donne, anche al fine di una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei media. I centri di accoglienza per donne vittime di violenza andrebbero mantenuti e aumentati, assieme alla garanzia di un adeguato coordinamento tra la magistratura, la polizia e gli operatori sociosanitari che si occupano della violenza contro le donne.
3) Proteggere i rifugiati e sospendere gli accordi con la Libia.
S'è alimentata l'ansia della gente sull'immigrazione. Nell'ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l'ansia dell'opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese sarebbe minacciata da un' "incontrollabile immigrazione clandestina" e giustificando in questo modo l'adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento. Allo stesso tempo, in linea con l'approccio dell'Unione europea, negli ultimi anni l'Italia ha considerato come una priorità assoluta il rafforzamento delle frontiere a scapito del rispetto degli obblighi relativi al salvataggio delle vite umane in mare e ha rafforzato le misure di controllo oltre i propri confini, senza riguardo per i costi umani. Nel 2011, almeno 1500 uomini, donne e bambini sono annegati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l'Europa. In diverse occasioni, l'Italia ha respinto persone verso la Libia, paese in cui sono state poi arrestate e sottoposte a maltrattamenti.
Le condanne della Corte Europea. Questa pratica è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani nel 2012 (caso Hirsi c. Italia) 9 . Ciononostante, pochi mesi dopo, l'Italia ha stipulato con la Libia accordi per il controllo dell'immigrazione analoghi a quelli conclusi in anni precedenti10, su cui si basavano i respingimenti in Libia. Tali accordi prevedono la detenzione dei migranti in Libia e non contengono alcuna salvaguardia per la protezione dei rifugiati nel paese. Far mancare adeguata protezione ai lavoratori migranti e ai rifugiati non favorisce la legalità. Piuttosto, sono necessarie regole sull'immigrazione e sull'asilo eque e rispettose degli esseri umani, per fermare lo sfruttamento dei lavoratori migranti e garantire alle persone in fuga da persecuzioni e altre violazioni dei diritti umani l'accesso alla protezione, come prescritto dalla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951.
Eliminare il "pacchetto sicurezza". Per proteggere i migranti dallo sfruttamento serve una politica migratoria diversa, che tenga conto della realtà del mercato del lavoro e della domanda reale di manodopera migrante, superiore a quanto sinora considerato dalle quote di ingresso legale. E' necessario abrogare il cosiddetto "pacchetto sicurezza" che criminalizza l'"ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato" e garantire che la detenzione dei migranti irregolari sia usata solo in via eccezionale e in maniera proporzionata al fine del loro rimpatrio, con una valutazione della situazione individuale del migrante effettuata caso per caso e adeguatamente motivata.
Le condizioni di vita nei CIE. Inoltre, le condizioni nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) devono al più presto essere portate in linea con gli obblighi internazionali dell'Italia in materia di detenzione. L'Italia deve garantire l'accesso di rifugiati e richiedenti asilo al territorio e a eque procedure per ottenere protezione internazionale, dando priorità al salvataggio in mare, sospendendo ogni accordo esistente con la Libia sul controllo dell'immigrazione e non stipulandone altri sino a quando il paese non fornirà garanzie concrete in materia di diritti umani e di accesso dei rifugiati alla protezione.
4) Condizioni dignitose nelle carceri.
Il sovrappopolamento nelle celle: più 150%. Come rimarcato in una recente sentenza di condannata dalla Corte Europea dei diritti umani (Torreggiani c. Italia)14, la sovrappopolazione carceraria in Italia ha carattere strutturale e sistemico, risultante dal malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano, che ha colpito moltissime persone ed è incompatibile con la Convenzione europea dei diritti umani. Il tasso nazionale di sovrappopolazione si aggira intorno al 150 per cento e oltre il 40 per cento dei detenuti è costituito da persone sottoposte a carcerazione cautelare in attesa di giudizio.
Obblighi sanciti e sempre disattesi. Più volte, nell'ultimo decennio, i comitati internazionali di controllo sui diritti umani, tra cui il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa e il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, hanno segnalato l'esistenza di un diffuso problema di sovraffollamento delle carceri italiane, incompatibile con l'obbligo internazionale di garantire condizioni di detenzione adeguate e rispettose della dignità e dei diritti umani e con il diritto di non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti. L'Italia deve garantire condizioni di detenzione dignitose e deve contrastare e prevenire il sovraffollamento carcerario attraverso una strategia coerente, come raccomandato dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. A tal fine, le politiche penali dovrebbero prevedere una riduzione del ricorso alla detenzione e un maggiore uso di misure alternative. Chi è soggetto a condizioni di detenzione contrarie al divieto di trattamenti disumani e degradanti dovrebbe vedere al più presto cessare tale situazione e chi ha subito tale condizione in passato dovrebbe poter ottenere un risarcimento.
5) Combattere l'omofobia
Ciò che manca nella legge antidiscriminazione. Negli ultimi anni, attacchi verbali e fisici nei confronti delle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) si sono verificati in Italia con preoccupante frequenza, mentre diversi esponenti politici e istituzionali hanno continuato a fomentare un clima d'intolleranza e di odio con dichiarazioni palesemente omofobe. La legge penale italiana antidiscriminazione prevede pene aggravate per crimini di odio basati sull'etnia, razza, nazionalità, lingua o religione, ma non tratta allo stesso modo quelli motivati da finalità di discriminazione per l'orientamento sessuale e l'identità di genere. Inoltre, a causa della medesima lacuna della legge antidiscriminazione, l'incitamento a commettere atti o provocazioni di violenza omofobica e transfobica non è perseguibile come altre forme di incitamento alla violenza discriminatoria1.
Così aumenta l'intolleranza. Questa situazione rischia di favorire l'aumento di intolleranza e violenza verso le persone Lgbti, tuttavia la lacuna legislativa non è stata sinora colmata. Inoltre, nella legislazione italiana manca qualsiasi riconoscimento della rilevanza sociale delle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli. Ciò impedisce a molte persone di godere di diritti umani essenziali per l'autorealizzazione e alimenta la stigmatizzazione delle persone Lgbti. Il principio di non discriminazione, sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani, da numerose convenzioni delle Nazioni Unite e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, garantisce parità di trattamento tra le persone e stabilisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione, anche quella basata sull'orientamento sessuale. Le autorità italiane hanno la responsabilità di proteggere e garantire la realizzazione dei diritti umani delle persone Lgbti affinché esse non siano vittime di discriminazione.
6) Fermare gli sgomberi forzati e la segregazione dei Rom.
La comunità etnica più discriminata. I Rom in Italia restano tra le comunità maggiormente discriminate ed escluse dal godimento dei diritti umani. Solo nell'ultimo anno, centinaia di Rom sono stati sgomberati e lasciati senza dimora. Piani per la chiusura di diversi campi autorizzati o "tollerati" continuano a essere applicati senza salvaguardie, mentre le condizioni di vita nella maggior parte dei campi autorizzati restano gravemente disagiate, poiché le autorità non hanno agito per migliorarle. Nei campi informali la situazione è ancora peggiore, con scarso accesso ad acqua, servizi igienico-sanitari e fornitura elettrica. La segregazione etnica nei campi si perpetua e i Rom restano vittime di un diffuso pregiudizio, come segnalato nel 2012 dal Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione razziale.
"Emergenza nomadi": gli sgomberi al posto dell'inclusione sociale. Negli ultimi anni le politiche dell'Italia si sono basate sulla cosiddetta "Emergenza nomadi", ispirata a una politica degli sgomberi piuttosto che a promuovere l'inclusione e l'accesso a un alloggio adeguato per donne uomini e bambini Rom. Questa misura è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di stato nel 2011 e il Governo si è impegnato ad un approccio diverso nella Strategia nazionale d'inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, presentata alla Commissione europea a febbraio 2012. Tuttavia mancano ad oggi passi concreti da parte delle istituzioni per applicarla. L'accesso a un alloggio adeguato e ai diritti umani è essenziale per l'inclusione sociale di questa comunità. Per questo motivo gli sgomberi forzati vanno fermati e proibiti per legge e il sistema dei campi va superato, evitando che questo comporti una riduzione dell'accesso dei Rom a un alloggio adeguato. E' inoltre urgente rimuovere gli ostacoli discriminatori per i Rom e altri gruppi emarginati
nell'accesso all'edilizia residenziale pubblica.
7) Ci vuole un'istituzione nazionale indipendente per difendere i diritti umani
I principi di Parigi. Le Nazioni Unite sottolineano da decenni quanto sia fondamentale per proteggere i diritti umani a livello nazionale che gli stati si dotino di un'istituzione nazionale dedicata, in linea con i "Principi di Parigi" adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993: indipendente, dotata di poteri e risorse adeguati, pluralista nella composizione, accessibile, e con un mandato ampio, relativo a tutti i diritti umani internazionalmente riconosciuti. Un organismo di questo tipo garantisce un monitoraggio costante della situazione dei diritti umani nel paese, suggerisce modifiche al sistema, indica soluzioni. L'Italia ha finora fallito in questo compito, nonostante le ripetute raccomandazioni di organismi internazionali, incluso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel corso dell'ultima Revisione periodica universale del 2010. La creazione di questa istituzione deve essere una priorità per il prossimo Governo e Parlamento.
8) Imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani
Lavoratori senza diritti. In molte aree del mondo le persone e le comunità interessate dalle attività delle aziende continuano a essere sostanzialmente prive di protezione dagli abusi dei diritti umani, in particolare se commessi da imprese multinazionali che operano al di fuori del paese in cui sono basate. E' invece necessario prevenire e perseguire gli abusi e garantire l'accesso alla giustizia a chi viene colpito dall'attività delle multinazionali. I governi dei paesi in cui le imprese hanno sede hanno un ruolo cruciale per far sì che le multinazionali rispettino i diritti umani e vengano chiamate a rispondere del loro operato. L'Italia è sede di un'importante azienda multinazionale petrolifera come l'Eni e di altre aziende il cui operato si ripercuote sulla vita di ampie fasce di popolazione, anche in luoghi molto lontani dal paese. Nel caso dell'Eni, ad esempio, l'area del Delta del fiume Niger in Nigeria.
Colmare i vuoti della legislazione. Come raccomandato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, è necessario colmare i vuoti di legislazione e di controllo sull'operato delle imprese multinazionali, vuoti che attualmente fanno sì che le multinazionali non siano chiamate a rispondere delle loro operazioni e agiscano in una sostanziale impunità. Un ruolo importante per colmare tali vuoti normativi lo hanno, sul piano nazionale, gli stati nel cui territorio le imprese hanno sede. Essi dovrebbero innanzitutto adottare misure normative applicabili alle aziende con effetti extraterritoriali, tali da imporre il rispetto dei diritti umani in tutti i paesi nei quali queste operano e l'adozione nelle loro operazioni delle misure necessarie alla salvaguardia dei diritti umani (due diligence), tra cui una regolare valutazione, anche preventiva, dell'impatto delle operazioni sui diritti umani.
Subordinate il supporto economico ai rispetto dei diritti. Riguardo alle aziende multinazionali che appartengono in tutto o in parte allo stato o che ricevono aiuti statali, un metodo concreto di imporre il rispetto dei diritti umani è subordinare a tale condizione il supporto economico. Gli stati che hanno partecipazioni proprietarie di aziende multinazionali o che forniscono loro aiuti economici, dovrebbero condizionare il proprio sostegno al rispetto dei diritti umani e all'esercizio della due diligence da parte delle imprese. Soltanto in questo modo, gli stati stessi possono assicurarsi di non essere complici nella commissione di abusi dei diritti umani da parte delle aziende supportate. Amnesty International rivolge queste richieste all'Italia riguardo alle aziende basate sul proprio territorio, chiedendo in particolare, in relazione alle attività dell'Eni nel Delta del Niger e al rispetto dei diritti umani delle comunità residenti nell'area, di prevedere misure che regolino efficacemente le attività dell'azienda.
9) Lottare contro la pena di morte
Il lodevole ruolo dell'Italia nelle sedi internazionali. L'Italia è interlocutore privilegiato, per motivi geografici, politici ed economici, di una serie di stati che presentano una situazione allarmante in termini di diritti umani o stanno attraversando una delicata fase di transizione. Per questo motivo, il governo dovrebbe intendere la propria politica estera quale occasione cruciale per esercitare un ruolo autorevole ed efficace per la promozione dei diritti umani nel mondo. L'approccio dell'Italia alla politica estera in questi anni ha mostrato aspetti positivi e negativi. L'Italia ha giocato un ruolo chiave nel quadro multilaterale e in particolare presso le Nazioni Unite, in favore dell'adozione di risoluzioni per la moratoria sull'uso della pena di morte. Anche grazie ai forti richiami contenuti nelle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per le quali il governo italiano si è attivamente speso, oggi più di due terzi dei paesi al mondo hanno abolito la pena capitale per legge o di fatto, portando i paesi abolizionisti (attualmente 140) in netto vantaggio rispetto a quelli mantenitori (58). Questo impegno dovrebbe proseguire, puntando a un continuo allargamento del gruppo degli stati sostenitori della moratoria.
Più decisione con Giappone, Cine, Stati Uniti. Analoga attenzione dovrebbe essere attribuita alla lotta contro la pena di morte quando i rappresentanti del governo italiano incontrino a livello bilaterale governi di paesi mantenitori della pena di morte, come ad esempio Giappone, Cina e Stati Uniti. Più in generale, un approccio di elevata considerazione e azione concreta per i diritti umani a livello di istituzioni internazionali e di relazioni bilaterali, deve diventare il modello per un impegno internazionale dell'Italia in politica estera che risulti complessivamente più autorevole e attento ai diritti umani di quanto accaduto negli ultimi anni. Le consolidate relazioni con la Libia e i paesi del Corno d'Africa, così come i rapporti con gli stati dell'Africa del Nord e del Medio Oriente, attraversati da conflitti o interessati da una transizione verso un nuovo assetto, impongono all'Italia un'attenzione specifica. Ogni sforzo andrebbe compiuto per favorire uno sbocco di tali percorsi verso legislazioni e sistemi in cui i diritti umani, tra cui quelli delle donne e dei difensori dei diritti umani, e più in generale il pluralismo e la libertà di espressione, vengano garantiti.
Stesso impegno all'interno dell'Europa. Lo stesso livello di attenzione è richiesto nelle relazioni interne all'Europa: i rapporti con la Russia, la Bielorussia, la Turchia, l'Azerbaigian tra gli altri, non possono prescindere da un'attenzione specifica alla situazione dei diritti umani in tali paesi. Lo stesso vale, al di fuori dell'Europa, per paesi governati da regimi autoritari come il Kazakistan, interessati da fasi di transizione come il Myanmar o destinati, in ragione della loro economia, a giocare un ruolo sempre piu? importante sulla scena internazionale, come Cina, India e Brasile.
10) Un controllo maggiore nel commercio delle armiNel mondo, un morto ogni minuto che passa. Amnesty International è impegnata da quasi 20 anni per l'approvazione di un Trattato internazionale sul commercio di armi, nella convinzione che vi sia un disperato bisogno di porre fine ad un commercio di armi irresponsabile e scarsamente regolamentato, circostanza che ha causato la morte, il ferimento, lo stupro e la fuga dalle loro terre di milioni di persone. In particolare, l'assenza di adeguati controlli comporta che le armi finiscono nelle mani di governi e gruppi armati che continuano a colpire le popolazioni civili, come in Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo e Somalia. Nel luglio del 2012, soprattutto a causa dell'opposizione di Cina, Russia e Stati Uniti, è stata rinviata l'approvazione di quello che avrebbe potuto essere uno storico accordo per porre fine all'irresponsabile commercio di armi. Un'occasione persa mentre le uccisioni dei civili in Siria occupavano i titoli dei notiziari e a dispetto della triste statistica di un morto al minuto, nel mondo, a causa della violenza armata.
Ci vuole un trattato internazionale. Tuttavia, un efficace Trattato sul commercio di armi resta un obiettivo raggiungibile, se si considera che la maggioranza dei governi ha dichiarato di voler continuare a lavorare in direzione di un trattato forte che protegga i diritti umani. Quattro settimane di negoziati alle Nazioni Unite si sono concluse nel luglio 2012 con una dichiarazione congiunta sottoscritta da oltre 90 paesi, che s'impegnano a ottenere quel risultato nel più breve tempo possibile. Se il Trattato sul commercio di armi venisse approvato, i governi sarebbero vincolati da un accordo internazionale a prendere decisioni sui trasferimenti di armi tenendo conto della protezione delle popolazioni civili. L'Italia può svolgere un ruolo favorevole per garantire che questo risultato, tanto a lungo atteso, possa finalmente diventare realtà. Anche sul piano interno è fondamentale che il rispetto dei diritti umani sia preso concretamente in considerazione ogni qualvolta l'Italia autorizzi esportazioni di armi prodotte in Italia, non consentendole verso paesi in cui potrebbero essere utilizzate per violare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario.
(23 gennaio 2013)
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