mercoledì 4 luglio 2018

Il decreto che conferma il Jobs Act.

Ciò che viene presentato come la Waterloo del Jobsact ne è. in realtà, la sostanziale conferma; solo la sfacciataggine di imprese che si preparano ad incassare miliardi di bonifici fiscali e la dabbenaggine reazionaria dei renziani possono accreditare la versione di Di Maio.
L’intervento sui contratti a termine ne riduce la durata, costringe le imprese a qualche piccola bugia, che mai sarà verificata, sulle cosiddette “causali”, ma non cambia la sostanza. Oggi il il 78% dei contratti a termine sono sotto i 12 mesi, per questi non cambia nulla, si verrà assunti e scartati a go go, senza regole come prima. Per gli altri il contratto potrà essere prorogato fino a 24 e non più fino a 36 mesi e per 4 volte e non per 5. Sia chiaro questo vale solo se il contratto viene prorogato, se invece il padrone lascia a casa il precario e poi lo riassume dopo più di venti giorni, si può anche ricominciare da capo; e su questa clausola truffa della legge il decreto non dice nulla.

Il contratto precario è più corto, ma alla fine di esso che succede? Nulla. Se davvero si fosse voluto colpire l’uso distorto di questi contratti si sarebbe dovuto affermare il principio della conferma a tempo indeterminato almeno per una parte di essi. Ti prendi cento dipendenti a tempo determinato per 24 mesi? Bene dopo non puoi ricominciare da capo con altri lavoratori, ma almeno un buona percentuale di coloro che hai assunto li dovrai confermare a tempo indeterminato, non sostituire con altri. Di questo limite invece non c’è traccia nel decreto.
Come tutti sanno, il Jobsact ha come misura simbolo contro il lavoro l’abolizione della tutela dell’articolo 18 per i licenziamenti ingiusti.
Tutti i nuovi assunti, giovani al primo lavoro o anziani che il lavoro l’hanno perso, sono senza la tutela dell’articolo 18, cioè il loro contratto a tempo indeterminato in realtà è un contratto precario, possono essere licenziati in qualsiasi momento. Se si fosse ripristinato l’articolo 18, davvero il Jobsact e il suo autore Renzi sarebbero stati rovinosamante sconfitti. Ma la sola cosa che fa il governo é aumentare l’indennità di licenziamento ingiusto, fino a 36 mesi rispetto ai 24 attuali per chi ha 12 anni di anzianità. Anzianità che ovviamente non ha maturato nessuno dei lavoratori assunti da quando è in vigore il Jobsact e alla quale è difficile che molti di loro arrivino mai.
Il Jobsact ha cancellato la tutela reale contro i licenziamenti ingiusti, cioè la reintegra al lavoro, degradandola a tutela risarcitoria, cioè prendi un po’ di soldi e vai. Per questo è nella storia delle infamie contro il lavoro. Ora il governo consolida la tutela risarcitoria renziana, cioè fa suo proprio il nucleo ideologico centrale del Jobsact. Che per altro ha distrutto tanti altri diritti del lavoro, con i demansionamenti, il controllo a distanza, i voucher che verranno ripristinati, le 40 differenti forme di assunzioni precarie. Nulla di tutto questo viene toccato dal Decreto Dignità, e non vorrei che Di Maio, parlando di Waterloo del Jobsact, si sia ispirato a quel manager che credeva che in quella storica battaglia il vincitore fosse stato Napoleone.
L’altro tema centrale del decreto è la penalizzazione delle aziende che delocalizzano. Qui sarebbe davvero un cambiamento, ma la montagna ha partorito un topolino. Le aziende che trasferiscono gli impianti all’estero dovrebbero restituire gli aiuti di stato ricevuti, con l’aggiunta di una forte multa. A parte che il principio affermato è ingiusto, cioè paghi e te ne vai, senza alcun obbligo di restare o di trovare lavoro per chi finisce in mezzo ad una strada, c’è da chiarire: ma di quali aiuti di stato si parla?
Come si sa, l’Unione Europea ha proibito gli aiuti di stato alle imprese e in questo modo ha favorito le multinazionali contro le imprese pubbliche e ha distrutto le politiche industriali di paesi come il nostro. Ma naturalmente la proibizione è ipocrita. Ci sono fondi europei, esenzioni fiscali che non sono considerati aiuti di stato. Quindi il decreto colpisce gli aiuti pubblici permessi dalla UE, quelli e solo quelli. Ma chi li ha presi? Sarebbe interessante fare un incrocio tra la le penalizzazioni del decreto e le aziende reali che hanno trasferito gli impianti all’estero, la mia impressione è che su di loro l’effetto sarebbe nullo. Perché tante agevolazioni alle imprese non rientrano negli aiuti di stato ufficiali, anche se sono un bel po’ di aiuto ai loro profitti. Chi penalizza davvero il decreto tra i tanti che hanno fatto o stanno facendo decine di migliaia di licenziamenti? A me pare nessuno.
Il decreto chiede la restituzione dei soldi anche alle imprese che hanno ricevuto ingenti sconti fiscali per comprare macchinari ed impianti e poi se li sono rivenduti e hanno licenziato. Però qui si aggiunge che si dovrà tenere conto del danno che potrebbe arrecare, all’occupazione residua dell’impresa, la penalizzazione per aver trasferito i macchinari. Insomma i licenziamenti dovrebbero essere in modica quantità e si potrebbe scampare alla multa.
Ben più rilevanti sono i provvedimenti varati e promessi alle imprese e agli imprenditori, tutti riconducibili alle regalie fiscali. Si promette un bel bonus sul costo del lavoro e anche qui si è nella pura continuità con i miliardi donati alle imprese con il Jobsact, inoltre si riducono la pressione e soprattutto il controllo fiscale. È la flat tax fai da te: io non ti controllo, tu guadagni. Per altro la più scandalosa di queste misure è l’abolizione sostanziale del redditometro, con il quale se al fisco risulta che un imprenditore ha la villa a Portofino e quattro SUV Mercedes, allora non può più dichiarare 10.000 euro di reddito all’anno.
Infine si colpiscono le pubblicità ai giochi d’azzardo, giusto; ma la gente si rovinava anche quando non c’erano gli spot in tv. É contro le bische di stato, che producono ingenti entrate allo stato, che bisognerebbe agire.
Il Decreto Dignità è dunque sostanzialmente una operazione propagandistica che conferma e rafforza la sostanza del Jobsact, mentre proclama di distruggerlo in un certo senso gli conferisce dignità. Perché allora Confindustria ed imprese levano gli scudi? Intanto per la classica tattica di piangere danni sul nulla e così alzare il prezzo su regali ed agevolazioni. Che ora riceveranno sicuramente, povere imprese dopo tanto soffrire. E poi per dare un segnale inequivocabile al governo gialloverde: finché fate propaganda va bene, ma che davvero non vi venga in mente di stare col lavoro, occupatevi dei barconi e basta.
Oltre alla solita destra berlusconiana anche la Lega ha subito recepito il messaggio. Il partito dei padroni del Nord si darà da fare e vedrete che, se nei testi finali del decreto ci sarà qualcosa che davvero colpisca il potere delle imprese sul lavoro, beh il parlamento la cambierà. E i cinquestelle come sempre abbozzeranno.
Infine c’è il PD, che con Gentiloni si è collocato a destra della Confindustria, ventilando catastrofi occupazionali solo perché i contratti a termini durerebbero 12 mesi in meno. Qui il Decreto Dignità fa davvero chiarezza, mostrando definitivamente che il PD è un partito liberale di centrodestra inutilizzabile ed indisponibile per i diritti del lavoro e per la lotta allo sfruttamento. È solo grazie al PD che questo governo può conservare consenso nel mondo del lavoro, consenso che comincerà a perdere solo quando si troverà di fronte una sinistra vera, libera dal PD e dal suo Jobsact.

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