sabato 28 luglio 2018

Il “business dell’accoglienza”? Così si rischia solo di alimentarlo.

 

I grandi centri rischiano di produrre solo isolamento
Al contrario, quello che si profila all'orizzonte è di vedere sempre più persone ospitate in grandi centri, dove gli enti gestori avranno la responsabilità di fornire un alloggio e un vitto, garantire un minimo di igiene e, dopo una formazione iniziale sulla normativa vigente sull'asilo, esauriranno il loro compito. L'effetto sarà quindi che le persone, saranno meno consapevoli del percorso burocratico che li attenderà e per mesi e mesi non avranno nulla da fare, non impareranno l'italiano, tenderanno a isolarsi o ad essere isolati.
Uno scenario che non può che produrre insicurezza maggiore sia per i migranti, che per le comunità che li ospiteranno. Più si farà accoglienza solo in grandi centri, più sarà alto il rischio di ghettizzazione, di aumentare sacche di disagio sociale e episodi di conflittualità.
Se a questo si aggiunge che nel testo non si fa nessun cenno alla necessità di condizionare la possibilità di essere ente gestore - con l'avere un'esperienza pregressa e positiva nell'accoglienza e nell'integrazione - ecco che in realtà non si fa altro che creare tutte le condizioni per favorire chi vuole realmente fare business coi migranti e non accoglienza in modo serio.

Nel suo discorso al Senato il Presidente Conte ha detto che "porrà fine al business dell'immigrazione cresciuto sotto il mantello della finta solidarietà". Queste prime proposte però sembrano produrre effetti esattamente contrari alle intenzioni.
La prima accoglienza ridotta a mero "parcheggio"?
In parallelo, come se non bastasse, viene aumentata la spaccatura tra prima e seconda accoglienza, quando invece tali fasi dovrebbero svolgersi in continuità. In altre parole, si abbandona completamente l'idea di mettere in campo percorsi efficaci di autonomia e di integrazione anche nella prima accoglienza, ossia da subito. Relegando quest'ultima, a mero parcheggio per i richiedenti asilo, che come ricorda lo stesso Ministro nella direttiva, può arrivare a durare anche due anni e mezzo.
Nella direttiva si legge infatti che "gli interventi di accoglienza integrata volti al supporto di percorsi di inclusione sociale, funzionali al conseguimento di una effettiva autonomia personale, dovranno continuare ad essere prestati nelle sole strutture di secondo livello a favore dei migranti titolari di una forma di protezione, mentre i servizi di prima accoglienza vanno invece rivisitati anche in un'ottica di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica".
Ma quali saranno questi servizi? Come verranno rivisti? Al momento si parla solo di garantire oltre all'alloggio e al vitto, la cura dell'igiene, l'assistenza generica alla persona, ovvero mediazione linguistico culturale, informazione normativa (informazione, non presa in carico, supervisione, e/o assistenza legale), tutela sanitaria e un sussidio per le spese giornaliere (ovvero il famoso pocket money). Inoltre si rende esplicito come si intende privilegiare un sistema di accoglienza indifferenziato.
Insomma: addio laddove è stata praticata con successo, all'accoglienza diffusa in piccoli centri distribuiti sul territorio, ai percorsi personalizzati, ai corsi di italiano, ai programmi di inserimento lavorativo e a tutte quelle attività che puntavano a rafforzare il tentativo di inserimento ed integrazione del richiedente asilo nella comunità ospitante.
In una frase: addio alla speranza di assumere a modello un approccio di accoglienza che mette al centro la persona e il suo percorso di autonomia e di integrazione.
Quello di cui ci piacerebbe discutere col Ministro
Come abbiamo scritto nel nostro rapporto La lotteria Italia dell'accoglienza, crediamo che un'opportuna riforma non possa che partire dal riequilibrio del sistema dell'accoglienza oggi diviso tra Centri di Accoglienza Straordinaria - che vedono l'80% di persone ospitate al loro arrivo in Italia- e SPRAR (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che dovrebbero essere lo strumento principale per accogliere e integrare queste persone, che però ospitano solo il 20% delle persone arrivate nel nostro paese. Quello che si può fare ora - in attesa di una revisione complessiva che metta gli SPRAR al centro del sistema, con un maggiore coinvolgimento degli enti locali - è superare la dicotomia tra CAS e SPRAR: intenderli in continuità ed interazione, inserire standard comuni e alti, che coniughino accoglienza (anche di breve-medio periodo) e processi di integrazione efficace. Ciò è esattamente quello che i soggetti attivi nell'accoglienza in modo etico e professionale stanno aspettando, perchéeliminare il business dell'immigrazioneè un interesse comune e in primo luogo dei beneficiari stessi.
Questo passa anche per l'istituzione di un albo dei soggetti gestori, al quale accedere con una domanda di accreditamento basata su criteri trasparenti di competenze, il possesso di certificazione ISO per questi servizi, una chiara rendicontazione dei fondi ricevuti e delle spese sostenute per l'accoglienza. Su tutto questo ci piacerebbe si avviasse quanto prima un vero confronto, dovremo attendere molto?
La campagna Welcoming Europe - Per un'Europa che accoglie
Oxfam sostiene la campagna Welcoming Europe - Per un'Europa che accoglieche ha l'obiettivo di raccogliere 1 milione di firme nei prossimi 12 mesi in almeno 7 paesi membri per chiedere un cambio di passo all'Europa nella gestione della crisi migratoria. Si può aderire alla campagnasul sito di Oxfam Italia.

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