lunedì 30 luglio 2018

Una questione di classe: perché la flat tax conviene al capitale

 contropiano
La flat tax proposta dal Governo di Lega e Cinque Stelle viene presentata come una grande riforma fiscale che sarà di beneficio a tutti i ceti sociali, compresi quelli meno abbienti. Essa, in realtà, non farebbe altro che privilegiare una categoria assai ristretta di redditi elevati incrementando quel processo di erosione della progressività delle imposte già in atto da tre decenni. A ben vedere, la flat tax è il tentativo di un pezzo di classe dominante oggi in declino di rientrare sul carro dei vincitori del neoliberismo, a discapito solo ed unicamente dei lavoratori, sia in termine di maggiore peso fiscale sostenuto che in termini di minor welfare che sarà causato dalla riduzione delle entrate. In questo articolo cerchiamo di smascherare la retorica del governo giallo-verde sull’argomento.

Flat tax: chi ci guadagna?
La proposta del governo si articola come segue: per quanto riguarda i redditi delle persone fisiche, si passerebbe ad un sistema a due aliquote, al 15% e al 20%. La soglia di reddito che andrebbe a separare i due scaglioni dovrebbe essere fissata a 80.000 euro. Un’aliquota massima al 20% significa naturalmente un risparmio enorme di imposta per tutti i soggetti più benestanti o ricchi che attualmente pagano aliquote marginali fino al 43%. Risparmio tanto più intenso quanto più il reddito del contribuente è elevato.
Semplici calcoli hanno dimostrato che l’impatto della flat tax, anche nella versione a due aliquote del programma di governo, ridurrebbe fortemente le imposte sui redditi più elevati, con un effetto fortemente regressivo. A conti fatti un reddito di 30.000 euro annui finirebbe per pagare maggiori imposte, un reddito di 50.000 euro avrebbe un guadagno esiguo (1%), un reddito di 80.000 euro un guadagno del 15% e un reddito di 300.000 del 40% e così via, in un crescendo di regressività.
Quali sono, dunque, i redditi che verranno favoriti da una simile riforma? Sicuramente i redditi da capitale, cioè i profitti, delle società di persone. I profitti delle società di capitali, com’è noto, non sono più tassati attraverso la progressività che caratterizza l’Irpef. I profitti delle società di persone (generalmente più “piccole” di quelle di capitali), invece, vengono tassati come redditi personali e, quindi, attraverso la progressività garantita dall’Irpef. La flat tax  porterebbe fuori dalla progressività anche quella parte di redditi da capitale (quelli, appunto, delle società di persone) che ancora passava per l’Irpef. Guarda caso, quei redditi da capitale che rappresentano il blocco sociale della Lega. Inoltre, a guadagnarci sarebbero quei pochi redditi da lavoro molto elevati, che eccedono livelli consistenti: redditi dirigenziali, manageriali, da lavoro iper-qualificato o da attività peculiari ben pagate per ragioni contingenti. Non quindi la cosiddetta classe media, costituita da una miriade di lavoratori dipendenti e indipendenti con redditi medi o medio-alti, ma i redditi dei soggetti molto benestanti o ricchi.
Allo stesso tempo, si propone una flat tax per le imprese. È qui che il dibattito si è fatto più confuso e strumentale. Una flat tax di fatto esiste già per le società di capitali che pagano l’Ires al 24%. Per le altre imprese la situazione ad oggi è invece diversa, rientrando il reddito d’impresa delle società di persone nell’Irpef progressiva. Tuttavia un provvedimento del Governo Renzi-Gentiloni aveva già previsto a decorrere dal 2019 una nuova imposta denominata Iri (imposta sul reddito d’impresa), con aliquota unica al 24% che avrebbe in effetti colpito la totalità delle imprese, inclusi imprenditori individuali e lavoratori autonomi per quella quota parte di utile che rimane in capo all’azienda e viene utilizzata per eventuali investimenti, fermo restando che i redditi che affluiscono poi alla persona fisica imprenditore ritirati dal conto aziendale per uso proprio continuerebbero ad essere tassati su base Irpef (ad oggi quindi ancora progressiva).
La proposta del governo in carica, dunque, in questo caso, non fa altro che ricalcare una proposta già in essere, la cui decorrenza era già prevista a partire dal gennaio 2019. Proprio sulla paternità di questa proposta si articolava uno squallido battibecco tra gli economisti leghisti e piddini.
Vediamo quali soggetti sociali andrebbe ad avvantaggiare la flat tax sulle imprese sia nella versione del governo Renzi al 24% che, ancor di più, nella versione Lega-M5stelle al 15%/20%.
La flat tax generalizzata su tutti i redditi di impresa e da lavoro autonomo evidentemente favorisce le imprese più ricche con elevati fatturati e volumi di utili. Di certo non favorisce né la piccola impresa in condizioni reddituali realmente difficoltose, né tanto meno quel mondo multiforme di nuovo precariato che si articola in forme di lavoro autonomo e professionista altamente precarie a reddito basso e discontinuo, spesso, di fatto, per un solo committente, oppure, peggio ancora, in forme di lavoro falso autonomo-professionista palesemente dipendente ma non contrattualizzato e formalmente indipendente. È, quest’ultimo, un mondo in crescita esponenziale da alcuni anni nel contesto della crisi economica, del tutto privo di copertura sindacale, senza diritti di malattia, ferie o orari di lavoro definiti. Corteggiato da tutti i partiti liberisti che cercano di integrarlo nell’ideologia dell’autoimprenditorialità e dell’arricchimento facile, questo articolato amalgama sociale di nuova precarietà è in realtà oggettivamente subalterno e subisce in modo diverso, ma simile al lavoro dipendente tradizionale, la precarietà del mercato e lo sfruttamento. Un blocco sociale che non ha nulla da guadagnare dal capitalismo neo-liberale e dal liberismo fiscale difeso a spada tratta da tutti i partiti oggi presenti nell’arco parlamentare.
Una flat tax sui redditi indipendenti, quindi, non favorisce in alcun modo questi soggetti. Una parte di essi infatti rientra già ad oggi nel regime dei minimi (con agevolazioni sull’Irpef) pensato proprio come copertura generica per redditi bassi da lavoro indipendente già gravati da alte aliquote contributive non coperte dai datori di lavoro. Un’altra parte, fuori dal regime dei minimi, ma a reddito comunque medio, rientra invece già in aliquote Irpef che, analogamente a quelle da lavoro dipendente, al netto delle detrazioni, sono simili o più basse di quelle previste dalla Flat Tax.
A guadagnarci sarebbe quindi soltanto la parte privilegiata dei redditi indipendenti facenti capo a strutture imprenditoriali vere e proprie produttrici di volumi di utili consistenti, ovvero i redditi da capitale a tutti gli effetti. L’ennesimo evidente regalo al capitale contro il lavoro in tutte le sue forme.
Ampi segmenti della popolazione (lavoratori dipendenti, precari, formalmente autonomi) si erano affidati alla Lega sperando che essa si sarebbe spesa per migliorare le loro condizioni materiali. È evidente, invece, tramite una semplice analisi di classe, che i soggetti sociali che hanno qualcosa da guadagnare dalla flat tax sono altri: essenzialmente i capitalisti, anche se “piccoli”.
Lo scollamento tra interessi materiali dell’elettorato e rappresentanza parlamentare del resto non è una novità. Non potremmo, altrimenti, spiegare come per quasi trent’anni la stragrande maggioranza degli elettori in Italia, come altrove, si sia affidata a partiti di ispirazione neo-liberale che hanno adottato politiche favorevoli al grande capitale di sistematico smantellamento dei diritti dei subalterni. Ciò che è interessante è che questo palese scollamento continua a pienissimo regime con il cosiddetto governo populista e del cambiamento, che altro non è che un governo elitista che di populista nel senso letterale del termine non ha assolutamente nulla e continua a praticare, in pienissima continuità con i precedenti governi, un’agenda neo-liberale in piena regola, a favore della solita minoranza in radicale contrapposizione agli interessi delle classi popolari.
Non tutti i nemici della flat tax sono nostri amici
Vi è infine un ultimo quesito importante da porsi. Perché alcuni partiti di chiara ispirazione neo-liberale come il PD si oppongono, almeno a parole, alla flat tax sulle persone fisiche, fermo restando che hanno invece difeso e approvato le varie flat tax agevolate sui redditi delle società di capitali e da ultimo sui redditi delle imprese nel loro insieme? Perché Confindustria stessa ha reagito con freddezza alla nuova proposta di flat tax? A che si devono questa improvvisa attenzione per i più poveri e questa decisa avversione per un sistema tributario non progressivo?
La risposta è ancora una volta nell’analisi di classe.
La flat tax sulle persone fisiche privilegia tendenzialmente una classe sociale medio-alta o alta, di percettori di redditi da lavoro molto elevati e in parte di redditi da capitale. Ciò estende i privilegi fiscali accordati al capitale, andando ad aggiungersi all’esistenza di aliquote agevolate sui redditi societari (presente da anni) e sui redditi di impresa nel loro insieme (varata di recente proprio dal PD), ma per questi ultimi, rappresentati politicamente da PD e Confindustria, non c’è nulla da guadagnare
Vi è poi un altro elemento di riflessione importante.
Ad oggi una parte cospicua dei redditi da capitale semplicemente le imposte non le paga. E non solo e non tanto il piccolo imprenditore e professionista proverbialmente evasore, quanto soprattutto, in termini di volumi di evasione, i grandi redditi da capitale specializzati in evasione e ancor più in elusione fiscale, ovvero aggiramento pseudo-legale delle norme fiscali al fine di minimizzare l’onere tributario. A ciò si aggiunge l’enorme massa di capitali che opera in Italia con sede fiscale all’estero.
Per tutti i motivi suddetti, potremmo dire che la flat tax sulle persone fisiche sicuramente incrementa i privilegi dei più ricchi a sfavore dei più poveri, ma non stravolge gli assetti distributivi per una parte consistente di redditi da capitale che già gode di regimi agevolati  o di forme di evasione-elusione su larga scala notoriamente tollerate se non favorite dalla legislazione.
Si tratta quindi di una lotta tra redditi bassi e medi contro redditi alti in un ambito rilevante ma comunque limitato che esclude in partenza la componente dei grandi redditi da capitale. Da qui si spiega il sostanziale scetticismo di Confindustria nei confronti della flat tax considerata più un aggravio sui conti pubblici che altro e la contrarietà di partiti come il PD che avanzano ufficialmente argomenti di equità fiscale che tuttavia stridono clamorosamente con tutte le scelte di politica tributaria adottate negli anni a favore degli alti redditi proprio da chi oggi denuncia la salviniana flat tax come ingiusta perché a favore dei più ricchi.
Naturalmente tutto ciò non rappresenta in alcun modo un argomento che possa attenuare la contrarietà assoluta alla flat tax. Semmai la rinforza. La sacrosanta lotta contro la pericolosa riforma tributaria classista del governo in carica deve essere  accompagnata da una lotta più generale per un sistema tributario davvero progressivo in tutti i suoi ambiti che riassorba tutti quei redditi da capitale ad oggi trattati da tassazione separata agevolata e allo stesso tempo incrementi e rinforzi drasticamente quella progressività già compromessa da anni di controriforme fiscali a favore del capitale e dei ricchi e contro il lavoro, i poveri e le classi subalterne nel loro insieme.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org

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