contropiano
La flat tax proposta dal Governo di Lega e Cinque Stelle viene presentata come
una grande riforma fiscale che sarà di beneficio a tutti i ceti
sociali, compresi quelli meno abbienti. Essa, in realtà, non farebbe
altro che privilegiare una categoria assai ristretta di redditi elevati
incrementando quel processo di erosione della progressività delle imposte già in atto da tre decenni.
A ben vedere, la flat tax è il tentativo di un pezzo di classe
dominante oggi in declino di rientrare sul carro dei vincitori del
neoliberismo, a discapito solo ed unicamente dei lavoratori, sia in
termine di maggiore peso fiscale sostenuto che in termini di minor
welfare che sarà causato dalla riduzione delle entrate. In questo
articolo cerchiamo di smascherare la retorica del governo giallo-verde
sull’argomento.
Flat tax: chi ci guadagna?
La proposta del governo si articola come segue: per quanto riguarda i
redditi delle persone fisiche, si passerebbe ad un sistema a due
aliquote, al 15% e al 20%. La soglia di reddito che andrebbe a separare i
due scaglioni dovrebbe essere fissata a 80.000 euro. Un’aliquota
massima al 20% significa naturalmente un risparmio enorme di imposta per
tutti i soggetti più benestanti o ricchi che attualmente pagano
aliquote marginali fino al 43%. Risparmio tanto più intenso quanto più
il reddito del contribuente è elevato.
Semplici calcoli hanno
dimostrato che l’impatto della flat tax, anche nella versione a due
aliquote del programma di governo, ridurrebbe fortemente le imposte sui
redditi più elevati, con un effetto fortemente regressivo. A conti fatti
un reddito di 30.000 euro annui finirebbe per pagare maggiori imposte,
un reddito di 50.000 euro avrebbe un guadagno esiguo (1%), un reddito di
80.000 euro un guadagno del 15% e un reddito di 300.000 del 40% e così
via, in un crescendo di regressività.
Quali sono, dunque, i redditi che verranno favoriti da una simile
riforma? Sicuramente i redditi da capitale, cioè i profitti, delle
società di persone. I profitti delle società di capitali, com’è noto,
non sono più tassati attraverso la progressività che caratterizza
l’Irpef. I profitti delle società di persone (generalmente più “piccole”
di quelle di capitali), invece, vengono tassati come redditi personali
e, quindi, attraverso la progressività garantita dall’Irpef. La flat tax
porterebbe fuori dalla progressività anche quella parte di redditi da
capitale (quelli, appunto, delle società di persone) che ancora passava
per l’Irpef. Guarda caso, quei redditi da capitale che rappresentano il
blocco sociale della Lega. Inoltre, a guadagnarci sarebbero quei pochi
redditi da lavoro molto elevati, che eccedono livelli consistenti:
redditi dirigenziali, manageriali, da lavoro iper-qualificato o da
attività peculiari ben pagate per ragioni contingenti. Non quindi la
cosiddetta classe media, costituita da una miriade di lavoratori
dipendenti e indipendenti con redditi medi o medio-alti, ma i redditi
dei soggetti molto benestanti o ricchi.
Allo stesso tempo, si propone una flat tax per le imprese. È qui che
il dibattito si è fatto più confuso e strumentale. Una flat tax di
fatto esiste già per
le società di capitali che pagano l’Ires al 24%. Per le altre imprese
la situazione ad oggi è invece diversa, rientrando il reddito d’impresa
delle società di persone nell’Irpef progressiva. Tuttavia un
provvedimento del Governo Renzi-Gentiloni aveva già previsto a decorrere
dal 2019 una nuova imposta denominata Iri (imposta sul reddito
d’impresa), con aliquota unica al 24% che avrebbe in effetti colpito la
totalità delle imprese, inclusi imprenditori individuali e lavoratori
autonomi per quella quota parte di utile che rimane in capo all’azienda e
viene utilizzata per eventuali investimenti, fermo restando che i
redditi che affluiscono poi alla persona fisica imprenditore ritirati
dal conto aziendale per uso proprio continuerebbero ad essere tassati su
base Irpef (ad oggi quindi ancora progressiva).
La proposta del governo in carica, dunque, in questo caso, non fa
altro che ricalcare una proposta già in essere, la cui decorrenza era
già prevista a partire dal gennaio 2019. Proprio sulla paternità di
questa proposta si articolava uno squallido battibecco tra gli economisti leghisti e piddini.
Vediamo quali soggetti sociali andrebbe ad avvantaggiare la flat tax
sulle imprese sia nella versione del governo Renzi al 24% che, ancor di
più, nella versione Lega-M5stelle al 15%/20%.
La flat tax generalizzata su tutti i redditi di impresa e da lavoro
autonomo evidentemente favorisce le imprese più ricche con elevati
fatturati e volumi di utili. Di certo non favorisce né la piccola
impresa in condizioni reddituali realmente difficoltose, né tanto meno
quel mondo multiforme di nuovo precariato che si articola in forme di
lavoro autonomo e professionista altamente precarie a reddito basso e
discontinuo, spesso, di fatto, per un solo committente, oppure, peggio
ancora, in forme di lavoro falso autonomo-professionista palesemente
dipendente ma non contrattualizzato e formalmente indipendente. È,
quest’ultimo, un mondo in crescita esponenziale da alcuni anni nel
contesto della crisi economica, del tutto privo di copertura sindacale,
senza diritti di malattia, ferie o orari di lavoro definiti. Corteggiato
da tutti i partiti liberisti che cercano di integrarlo nell’ideologia
dell’autoimprenditorialità e dell’arricchimento facile, questo
articolato amalgama sociale di nuova precarietà è in realtà
oggettivamente subalterno e subisce in modo diverso, ma simile al lavoro
dipendente tradizionale, la precarietà del mercato e lo sfruttamento.
Un blocco sociale che non ha nulla da guadagnare dal capitalismo
neo-liberale e dal liberismo fiscale difeso a spada tratta da tutti i
partiti oggi presenti nell’arco parlamentare.
Una flat tax sui redditi indipendenti, quindi, non favorisce in alcun
modo questi soggetti. Una parte di essi infatti rientra già ad oggi nel
regime dei minimi (con agevolazioni sull’Irpef) pensato proprio come
copertura generica per redditi bassi da lavoro indipendente già gravati
da alte aliquote contributive non coperte dai datori di lavoro. Un’altra
parte, fuori dal regime dei minimi, ma a reddito comunque medio,
rientra invece già in aliquote Irpef che, analogamente a quelle da
lavoro dipendente, al netto delle detrazioni, sono simili o più basse di
quelle previste dalla Flat Tax.
A guadagnarci sarebbe quindi soltanto la parte privilegiata dei
redditi indipendenti facenti capo a strutture imprenditoriali vere e
proprie produttrici di volumi di utili consistenti, ovvero i redditi da
capitale a tutti gli effetti. L’ennesimo evidente regalo al capitale
contro il lavoro in tutte le sue forme.
Ampi segmenti della popolazione (lavoratori dipendenti, precari,
formalmente autonomi) si erano affidati alla Lega sperando che essa si
sarebbe spesa per migliorare le loro condizioni materiali. È evidente,
invece, tramite una semplice analisi di classe, che i soggetti sociali
che hanno qualcosa da guadagnare dalla flat tax sono altri:
essenzialmente i capitalisti, anche se “piccoli”.
Lo scollamento tra interessi materiali dell’elettorato e
rappresentanza parlamentare del resto non è una novità. Non potremmo,
altrimenti, spiegare come per quasi trent’anni la stragrande maggioranza
degli elettori in Italia, come altrove, si sia affidata a partiti di
ispirazione neo-liberale che hanno adottato politiche favorevoli al
grande capitale di sistematico smantellamento dei diritti dei
subalterni. Ciò che è interessante è che questo palese scollamento
continua a pienissimo regime con il cosiddetto governo populista e del
cambiamento, che altro non è che un governo elitista che di populista
nel senso letterale del termine non ha assolutamente nulla e continua a
praticare, in pienissima continuità con i precedenti governi, un’agenda
neo-liberale in piena regola, a favore della solita minoranza in
radicale contrapposizione agli interessi delle classi popolari.
Non tutti i nemici della flat tax sono nostri amici
Vi è infine un ultimo quesito importante da porsi. Perché alcuni
partiti di chiara ispirazione neo-liberale come il PD si oppongono,
almeno a parole, alla flat tax sulle persone fisiche, fermo restando che
hanno invece difeso e approvato le varie flat tax agevolate sui redditi
delle società di capitali e da ultimo sui redditi delle imprese nel
loro insieme? Perché Confindustria stessa ha reagito con freddezza alla
nuova proposta di flat tax? A che si devono questa improvvisa attenzione
per i più poveri e questa decisa avversione per un sistema tributario
non progressivo?
La risposta è ancora una volta nell’analisi di classe.
La flat tax sulle persone fisiche privilegia tendenzialmente una
classe sociale medio-alta o alta, di percettori di redditi da lavoro
molto elevati e in parte di redditi da capitale. Ciò estende i privilegi
fiscali accordati al capitale, andando ad aggiungersi all’esistenza di
aliquote agevolate sui redditi societari (presente da anni) e sui
redditi di impresa nel loro insieme (varata di recente proprio dal PD),
ma per questi ultimi, rappresentati politicamente da PD e Confindustria,
non c’è nulla da guadagnare
Vi è poi un altro elemento di riflessione importante.
Ad oggi una parte cospicua dei redditi da capitale semplicemente le
imposte non le paga. E non solo e non tanto il piccolo imprenditore e
professionista proverbialmente evasore, quanto soprattutto, in termini
di volumi di evasione, i grandi redditi da capitale specializzati in
evasione e ancor più in elusione fiscale, ovvero aggiramento
pseudo-legale delle norme fiscali al fine di minimizzare l’onere
tributario. A ciò si aggiunge l’enorme massa di capitali che opera in
Italia con sede fiscale all’estero.
Per tutti i motivi suddetti, potremmo dire che la flat tax sulle
persone fisiche sicuramente incrementa i privilegi dei più ricchi a
sfavore dei più poveri, ma non stravolge gli assetti distributivi per
una parte consistente di redditi da capitale che già gode di regimi
agevolati o di forme di evasione-elusione su larga scala notoriamente
tollerate se non favorite dalla legislazione.
Si tratta quindi di una lotta tra redditi bassi e medi contro redditi
alti in un ambito rilevante ma comunque limitato che esclude in
partenza la componente dei grandi redditi da capitale. Da qui si spiega
il sostanziale scetticismo di Confindustria nei confronti della flat tax
considerata più un aggravio sui conti pubblici che altro e la
contrarietà di partiti come il PD che avanzano ufficialmente argomenti
di equità fiscale che tuttavia stridono clamorosamente con tutte le
scelte di politica tributaria adottate negli anni a favore degli alti
redditi proprio da chi oggi denuncia la salviniana flat tax come
ingiusta perché a favore dei più ricchi.
Naturalmente tutto ciò non rappresenta in alcun modo un argomento che
possa attenuare la contrarietà assoluta alla flat tax. Semmai la
rinforza. La sacrosanta lotta contro la pericolosa riforma tributaria
classista del governo in carica deve essere accompagnata da una lotta
più generale per un sistema tributario davvero progressivo in tutti i
suoi ambiti che riassorba tutti quei redditi da capitale ad oggi
trattati da tassazione separata agevolata e allo stesso tempo incrementi
e rinforzi drasticamente quella progressività già compromessa da anni
di controriforme fiscali a favore del capitale e dei ricchi e contro il
lavoro, i poveri e le classi subalterne nel loro insieme.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
Pagine
- Home
- L'associazione - lo Statuto
- Chicche di R@P
- Campagnano info, news e proposte
- Video Consigliati
- Autoproduzione
- TRASHWARE
- Discariche & Rifiuti
- Acqua & Arsenico
- Canapa Sativa
- Raspberry pi
- Beni comuni
- post originali
- @lternative
- e-book streaming
- Economia-Finanza
- R@P-SCEC
- il 68 e il 77
- Acqua
- Decrescita Felice
- ICT
- ECDL
- Download
- हृदय योग सारस
lunedì 30 luglio 2018
Una questione di classe: perché la flat tax conviene al capitale
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento