28 / 7 / 2018
global project Antonio Pio Lancellotti
Che la Rai sia il terreno “principe”
dello spoil system di “casa nostra”
non lo si scopre certo oggi. E il sedicente “governo del cambiamento” in questo
non fa sconti, allineandosi ad una tradizione che né gli anni né la numerazione
delle Repubbliche hanno scalfito.Non è stata una passeggiata la proposta dei nuovi vertici della Rai, con la Lega e il MoVimento 5 Stelle ben attenti a centellinare nomi, a negoziare al millimetro le reciproche sfere d’influenza. L’atteggiamento è sembrato più quello di una guerra di posizione tra le due forze politiche che di cooperazione tra partner di governo. D’altronde, la posta in gioco è senza dubbio alta: il controllo della “Tv di Stato”, di quella “mamma Rai” che, a oltre 60 anni dalla sua nascita, è ancora capace di essere elemento cardine del Quinto potere nel nostro Paese.
Sono lontani i tempi del film di Lumet e il rapporto tra mass media e comportamenti collettivi è diventato più liquido e tentacolare. Alla fine del 2017 una ricerca della GlobalWebindex[1], condotta su 350mila persone tra i 16 e i 64 anni di diversi Paesi del mondo, ha per la prima volta segnato il sorpasso delle piattaforme social sulla televisione: gli utenti passano su Facebook, Twitter, Instagram e simili mediamente 20 minuti in più al giorno rispetto al display televisivo. Nonostante questo, l’ex tubo catodico esercita ancora un ruolo fondamentale nei processi di informazione e nella costruzione massificata dell’opinione, soprattutto in Italia. Come ha recentemente affermato Leonardo Bianchi nel suo libro sul “gentismo”, la televisione è ancora il luogo principale della battaglia politica e quello nel quale le informazioni e i linguaggi si cristallizzano e si sedimentano[2].
I nomi proposti dal governo Conte sono Fabrizio Salini, per la carica di amministratore delegato, e Marcello Foa, per quella di presidente. Il primo dei due è stato caldeggiato dal MoVimento 5 Stelle, con una scelta apparentemente priva di logica politica, visto che Salini non è considerato vicino ai pentastellati, ma al contrario ha avuto in passato più di un intreccio con l’establishment renziano, avendo curato la comunicazione in una delle edizioni della Leopolda. Svelare quali siano gli ingranaggi di potere che si celino attorno a questa scelta è compito ardito. È noto che i Cinque Stelle puntino alla direzione di Rai 1, la più istituzionale delle reti, ma è altrettanto noto che il nome di Salini sia stato sponsorizzato anche dal ministro dell’economia Giovanni Tria, il più “berlusconiano” della compagine governativa. Che il candidato AD sia la chiave per sbloccare le nomine in commissione di vigilanza Rai, accaparrandosi quei voti di Forza Italia necessari per ottenere i due/terzi? Staremo a vedere.
Più limpida appare l’operazione che vorrebbe portare Marcello Foa alla presidenza Rai. Il giornalista milanese da diversi anni è un convinto sostenitore di Matteo Salvini che lo ha proposto non riscontrando alcuna ostilità da parte del MoVimento 5 Stelle, i cui vertici ne apprezzano principalmente la visione “sovranista”. Pupillo del liberale Indro Montanelli, Foa è rimasto a Il Giornale anche dopo le dimissioni del “maestro”, diventando una delle penne che maggiormente hanno esplicitato la concezione atlantista e conservatrice della testata. Foa ha diretto la redazione “esteri” de Il Giornale dal 1993 fino al 2011, quando ha abbandonato la testata di Berlusconi, avendo probabilmente subodorato la parabola discendente del Cavaliere. Nonostante ciò, ha continuato la sua attività di editorialista “esterno” e continua a dirigere un blog ospitato dal quotidiano di via Negri. Dopo l’11 settembre è stato un grande sostenitore della politica estera dell'ex presidente degli USA George W. Bush e dell’interventismo imperiale che ha fatto il suo corso principalmente in Afghanistan e Iraq. Negli ultimi anni ha sposato con convinzione i modelli più in auge del pensiero reazionario, diventando uno dei principali sponsor di quell’asse Putin-Assad che – a suo dire – sarebbe in grado di sbloccare l’intera impasse geopolitica euro-asiatica. La figura di Marcello Foa rappresenta a pieno la mutazione di una certa intelligencija di destra avvenuta negli ultimi anni.
La scelta di Foa è stata immediatamente accolta da un coro di polemiche. Il Partito Democratico e Liberi e Uguali stanno facendo una levata di scudi, provando a convincere Forza Italia di boicottarlo in commissione di vigilanza. Una campagna fortemente agitata anche da La Repubblica, che dà ampio spazio alle parole pronunciate da Foa contro Mattarella e la governance europea, nel corso della crisi istituzionale che precedette la formazione del governo Conte. Un teatrino che ripropone con forza quella visione dicotomica - «o con i sovranisti o con l’establishment continentale!» - che schematizza in maniera fallace la fase che stiamo attraversando.
Al di là del dibattito mainstream, quello che s'intende sottolineare del pensiero di Foa è la sua profonda internità alle politiche dei respingimenti, dei porti chiusi, al razzismo istituzionale che sta egemonizzando la retorica politica nel nostro Paese; è il suo sostegno bieco a quella società patriarcale e ultra-nazionalista voluta da Vladimir Putin e diventata modello per tutta la destra europea e non solo. Marcello Foa rappresenta uno dei simboli della “contro-rivoluzione culturale”, per parafrasare le parole utilizzate da Luigi Di Maio non appena i nomi dei possibili vertici della Rai sono stati resi noti.
Una controrivoluzione reazionaria, ma che allo stesso tempo utilizza in potenza le tecniche e gli espedienti più proficui della comunicazione contemporanea. Questo immenso mercato delle emozioni è lo spazio dove tendono a modellizzarsi i linguaggi d’odio per costruire nuove gerarchie di classe, per erigere una frontiera tra “umano” e “disumano” lungo la quale corrono i dispositivi del biopotere.
È proprio in questa “zona umida” che le fake-news assumono viralità, facendo emergere veri e propri professionisti della sofisticazione mediatica. Francesca Tonolo è una di queste ed è recentemente salita agli onori delle cronache grazie al lavoro di contro-inchiesta del blogger Dadid Puente. Quest’ultimo ha smascherato una falsa notizia, che la Tonolo ha contribuito a diffondere, relativa alle unghie dipinte di Josepha, la giovane camerunense unica superstite di uno dei tanti naufragi nel Mediterraneo che hanno riempito questa infausta estate. In breve si è scoperto che la Tonolo, collaboratrice de Il Primato Nazionale, fosse proprio al soldo di CasaPound per la creazione di finti scoop da far circolare in rete che avessero come bersaglio proprio i migranti. Ma cosa c’entra Francesca Tonolo con le nomine Rai? Molto, visto che Marcello Foa, proprio negli ultimi giorni, sul proprio account twitter ha più volte ritwittato le notizie di Francesca Tonolo e menzionato la “giornalista”, non mancando di attaccare l'operato delle Ong.
Certo, tutto va relativizzato in questa fase liquida e la mia memoria non mi porta a ricordare presidenti Rai che siano stati “amici” dei movimenti sociali o fautori dei processi di trasformazione reale della società. D’altrocanto, quello che va colto nella vicenda in esame è che l’eventuale ascesa di Marcello Foa al soglio di viale Mazzini rappresenta l’ennesimo tassello di un razzismo che si fa istituzione. Un razzismo che riconfigura gli assetti di potere e che diventa sempre più dirimente nei percorsi di lotta e di emancipazione collettiva.
[1]
Compagnia inglese che si occupa dell’analisi di audience e del data profiling
degli utenti di tutti i media
[2] Vedi l’intervista
a Leonardo Bianchi a Globalproject.info. La
«gente»: materiale grezzo per la politica, «Globalproject.info», 26
marzo 2018
Nessun commento:
Posta un commento