“Nei primi quattro mesi dell’anno, il patrimonio di Jeff Bezos è cresciuto di 275 milioni di dollari al giorno. In 10 secondi guadagna più di quanto venga pagato un dipendente Amazon in tutto l’anno”.
La corsa di Bernie Sanders
verso la Casa Bianca riparte da qui, dalla sfida all’1% della
popolazione più ricca in difesa del restante 99%. “Bezos – dice – è la
faccia dell’avidità. Un dipendente su tre in Arizona e altri 2.400
lavoratori del gruppo in Pennsylvania e Ohio devono fare affidamento sui
sussidi governativi (food stamps) per sfamare le proprie famiglie. Come
se non bastasse, dove arriva Amazon, calano gli stipendi”.
Una situazione inaccettabile per il senatore del Vermont che nel 2016 sfidò Hillary Clinton alle primarie democratiche: “Nel 2018, in America, nessuno dovrebbe vivere al limite della povertà. In particolare chi lavora per società profittevoli. Trump ripete ogni giorno che l’economia americana ruggisce. Ed è vero, ma solo per i suoi amici miliardari, non certo per le decine di milioni di lavoratori”.
A dispetto di un tasso di disoccupazione ai minimi storici, gli stipendi sono in continuo calo e 140 milioni di americani faticano a sostenere i bisogni primari dalla casa all’alimentazione, dalla salute alla cura dei figli:
“Se l’economia sta vivendo un nuovo boom perché si passano più ore al lavoro in cambio di salari più bassi che non permettono neppure di risparmiare?”
A finire per prime nel mirino del senatore sono dunque le grandi società americana “che pagano bonus e stipendi incredibili ai propri ceo a fronte di salari che non permettono ai dipendenti di essere autosufficienti senza l’intervento dello Stato. Di fatto sono gli stessi lavoratori che attraverso le loro tasse pagano i sussidi per queste persone”.
Un carico che dovrebbe essere sulle spalle della Corporate America che macina miliardi su miliardi.
Per questo Sanders ha organizzato un dibattito pubblico al quale ha invitato dipendenti e amministratori delegati di Amazon, Disney, Walmart, McDonalds e American Airlines: l’evento è stato trasmesso i diretta su Facebook, ma nessuno dei top manager si è presentato.
Probabilmente anche per non dover replicare alle dure accuse dei lavoratori: “Non vogliamo più dover contare sui programmi di assistenza pubblica per dover pagare l’affitto o il prossimo pasto. Siamo stanchi di sopravvivere – ha detto una dipendente di McDonald’s – vogliamo vivere, ma non possiamo neppure sopravvivere con 7,25 dollari l’ora”.
Eppure la catena di fast food macina utili a sufficienza per destinare 7,7 miliardi di dollari tra dividendi e buyback.
Probabilmente anche perché chi sta in cassa dovrebbe lavorare più di
895 anni per guadagnare quello che intasca in dodici mesi il Ceo, Steve
Easterbrook. “L’azienda – accusa Sanders – si è anche rimangiata
l’impegno di aumentare i loro salari di almeno un dollaro sopra lo
stipendio minimo locale”.
In casa Disney la situazione non è migliore nonostante il 2017 si sia chiuso con utili per 9 miliardi di dollari garantendo al Ceo Robert Iger un pacchetto remunerativo da 423 milioni di dollari in quatto anni, “eppure – dice Sanders – quasi il 75% dei dipendenti di Disneyland non guadagna abbastanza per far fronte alle spese basilari mensili e più del 10% si è trovato senza un tetto negli ultimi due anni”. Dal palco, una lavoratrice di Disneyland dice: “Non guadagno abbastanza per mangiare tre volte al giorno. Posso permettermi delle scatolette di tonno o dei gambi di sedano insieme a delle carote”.
Non va meglio in casa Walmart nonostante utili per 70 miliardi di dollari in 5 anni che garantiscono al Ceo Doug McMillon una busta paga da 23 milioni di dollari l’anno: 1.188 volte il salario medio di un dipendente del gruppo.
American Airlines, invece, userà due miliardi di dollari di utili in
buyback pagando l’ad, Doug Parker, 31 milioni di dollari, mentre i
dipendenti guadagnano meno di 10 dollari l’ora “e molti di loro devono
fare affidamento ai sussidi di Stato per le loro spese”.
Per tanti motivi, tuttavia, il nemico numero uno di Sanders è Jeff Bezos. A cominciare dal fatto che Amazon “lo scorso anno non ha pagato alcuna imposta federale (Federal Income Taxes, ndr)” per arrivare alle condizioni lavorative denunciate dai dipendenti. Non solo bassi salari non sufficienti a condurre una vita dignitosa, ma anche situazioni al limite della sopportazione come racconta un dipendente: “Mi sono procurato un ernia cercando di andare e tornare dal bagno in un meno di un minuto e trenta secondi, perché Amazon controlla i tempi”. Un accusa che il colosso dell’ecommerce ha respinto.
Una situazione inaccettabile per il senatore del Vermont che nel 2016 sfidò Hillary Clinton alle primarie democratiche: “Nel 2018, in America, nessuno dovrebbe vivere al limite della povertà. In particolare chi lavora per società profittevoli. Trump ripete ogni giorno che l’economia americana ruggisce. Ed è vero, ma solo per i suoi amici miliardari, non certo per le decine di milioni di lavoratori”.
A dispetto di un tasso di disoccupazione ai minimi storici, gli stipendi sono in continuo calo e 140 milioni di americani faticano a sostenere i bisogni primari dalla casa all’alimentazione, dalla salute alla cura dei figli:
“Se l’economia sta vivendo un nuovo boom perché si passano più ore al lavoro in cambio di salari più bassi che non permettono neppure di risparmiare?”
A finire per prime nel mirino del senatore sono dunque le grandi società americana “che pagano bonus e stipendi incredibili ai propri ceo a fronte di salari che non permettono ai dipendenti di essere autosufficienti senza l’intervento dello Stato. Di fatto sono gli stessi lavoratori che attraverso le loro tasse pagano i sussidi per queste persone”.
Un carico che dovrebbe essere sulle spalle della Corporate America che macina miliardi su miliardi.
Per questo Sanders ha organizzato un dibattito pubblico al quale ha invitato dipendenti e amministratori delegati di Amazon, Disney, Walmart, McDonalds e American Airlines: l’evento è stato trasmesso i diretta su Facebook, ma nessuno dei top manager si è presentato.
Probabilmente anche per non dover replicare alle dure accuse dei lavoratori: “Non vogliamo più dover contare sui programmi di assistenza pubblica per dover pagare l’affitto o il prossimo pasto. Siamo stanchi di sopravvivere – ha detto una dipendente di McDonald’s – vogliamo vivere, ma non possiamo neppure sopravvivere con 7,25 dollari l’ora”.
In casa Disney la situazione non è migliore nonostante il 2017 si sia chiuso con utili per 9 miliardi di dollari garantendo al Ceo Robert Iger un pacchetto remunerativo da 423 milioni di dollari in quatto anni, “eppure – dice Sanders – quasi il 75% dei dipendenti di Disneyland non guadagna abbastanza per far fronte alle spese basilari mensili e più del 10% si è trovato senza un tetto negli ultimi due anni”. Dal palco, una lavoratrice di Disneyland dice: “Non guadagno abbastanza per mangiare tre volte al giorno. Posso permettermi delle scatolette di tonno o dei gambi di sedano insieme a delle carote”.
Per tanti motivi, tuttavia, il nemico numero uno di Sanders è Jeff Bezos. A cominciare dal fatto che Amazon “lo scorso anno non ha pagato alcuna imposta federale (Federal Income Taxes, ndr)” per arrivare alle condizioni lavorative denunciate dai dipendenti. Non solo bassi salari non sufficienti a condurre una vita dignitosa, ma anche situazioni al limite della sopportazione come racconta un dipendente: “Mi sono procurato un ernia cercando di andare e tornare dal bagno in un meno di un minuto e trenta secondi, perché Amazon controlla i tempi”. Un accusa che il colosso dell’ecommerce ha respinto.
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