Lo Stato di Israele cambia natura. Non è più lo Stato che unisce democrazia ed ebraicità, come era nel sogno del sionismo, ma con la legge costituzionale appena approvata dalla Knesset è definito come uno Stato-Nazione ebraico, nel quale gli altri popoli sono neutralizzati nella loro dimensione politica: non partecipano di ciò che, in democrazia, si chiama autodeterminazione, la quale è riservata al solo popolo ebreo, il solo sovrano.
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micromega Raniero La Valle
C’è una notizia che è stata quasi nascosta, perché è difficilissimo
darla, non sanno come farla accettare dal senso comune, ma è di tale
portata da marcare una cesura nella storia che stiamo vivendo. Lo Stato
di Israele, almeno nella sua veste ufficiale e giuridica, cambia natura.
Non è più lo Stato che unisce democrazia ed ebraicità, come era nel
sogno del sionismo, ma è definito come uno Stato-Nazione ebraico, uno
Stato del solo popolo ebreo nel quale gli altri, quale che sia il loro
numero, sono neutralizzati nella loro dimensione politica, cioè nella
loro esistenza reale: non partecipano di ciò che, in democrazia, si
chiama autodeterminazione, la quale è riservata al solo popolo ebreo, il
solo sovrano. Gli altri sono naturalmente gli Arabi, e in modo
specifico i Palestinesi, musulmani o cristiani che siano.
Infatti giovedì 19 luglio il Parlamento israeliano, la Knesset, ha
approvato a stretta maggioranza con 62 voti favorevoli e 55 contrari una
legge di rango costituzionale che era in gestazione da tempo, la quale
fissa in questi termini perentori la natura dello Stato, che finora non
si era voluta definire in alcuna Costituzione formale, in base all’idea
che la vera Costituzione d’Israele è la Torah (la Scrittura). Per
intenderci un primo articolo Cost. del tipo “L’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo…”
sarebbe stato impensabile per Israele; e infatti, dopo un primo
approccio iniziale per il quale furono consultati i libri di Carl
Schmitt, il tentativo costituzionale fu abbandonato, come ci ha
raccontato a suo tempo Jacob Taubes.
Però per il sionismo fondatore che aveva voluto bruciare i tempi
dell’Attesa visto il ritardo del Messia, era fuori discussione che
dovesse trattarsi di uno Stato democratico. Sicché almeno una correzione
è stata introdotta all'ultimo momento nel testo della legge, su
richiesta del Presidente di Israele Reuven Rivlin, che in una lettera ai
parlamentari aveva espresso il timore che essa potesse “recare danno al
popolo ebraico, agli Ebrei nel mondo e allo Stato di Israele”. È stata
abolita infatti la norma che permetteva a qualsiasi comunità (ebrea ma
anche non ebrea) di costituirsi come comunità identitaria chiusa, su
base religiosa o nazionale, con esclusione dal proprio ambito di tutti
gli altri (non-ebrei, non-drusi, non ortodossi, ecc), il che rischiava
di creare in Israele una rete di apartheid segregati a pelle di
leopardo; invece, caduta questa norma, la separazione che viene
costituzionalizzata è posta a garanzia dei soli insediamenti ebraici,
privando di diritti tutti gli altri.
Dal punto di vista politico la legge votata dalla Knesset liquida
la causa palestinese, prelude all’annessione dei Territori Occupati,
licenzia definitivamente l’opzione fatta propria da tutta la comunità
internazionale dei due popoli in due Stati e rottama le risoluzioni
dell’ONU sul conflitto in Palestina e sullo status di Gerusalemme. Quali
poi saranno i fatti è tutto da vedere: la resistenza di Gaza, da sola,
con i suoi patetici aquiloni accesi, come le pietre di David contro
Golia, tiene in realtà aperta tutta la questione.
Ma c’è un livello ancora più profondo: che succede con l’ebraismo?
La ragione per cui Israele si è decisa a questo passo non può essere
banalizzata: l’andamento demografico in Medio Oriente è tale che ben
presto in Israele gli Ebrei saranno una minoranza rispetto alla
crescente popolazione arabo-palestinese; e siccome in democrazia contano
i numeri e non si è fatta e neanche tentata la pace tra i due popoli,
gli Ebrei di Israele temono di essere sopraffatti, e perciò la
democrazia è un lusso che non possono mantenere. Nell’alternativa tra
democrazia ed ebraismo, la scelta è per l’ebraismo. Purtroppo manca la
lucidità di comprendere che è una falsa alternativa. Questa
incompatibilità non è vera: ma per riconoscerlo ci vuole una conversione
culturale e religiosa profonda.
Ma come preservare questa identità nelle condizioni della
democrazia, del pluralismo, dell’eguaglianza, della globalizzazione,
dello Stato di diritto, non poteva essere oggetto della rivelazione di
allora, Dio non poteva dirlo al suo popolo. Un indizio fortissimo di
come altrimenti essere popolo lo aveva fornito Gesù, ma quella Parola
non fu riconosciuta da Israele come la Parola attesa. Dunque
occorrerebbe che, come hanno fatto pur dolorosamente altre tradizioni,
anche quella ebraica cercasse i nuovi sensi delle sue Scritture, che
cosa davvero sarebbe la fedeltà alla Parola ricevuta letta non più nelle
condizioni di ieri, con gli occhi rivolti alle tempeste passate, ma
nelle condizioni di oggi, con gli uomini di oggi, con la meravigliosa
multicolore umanità di oggi, con gli occhi rivolti al futuro da
costruire, a questo Messia che ha sempre da venire, ma come pace non
come apocalisse. È attraverso questo lavacro, non più nel sangue ma
nell’acqua di nuovo condivisa della Palestina che Israele salverà se
stesso, la propria identità, e la vita delle genti, non più stranieri.
La cosa non interessa solo gli Ebrei. Sarebbe così importante che i
nostri gruppi di dialogo ebraico-cristiano, liberi dalle suggestioni
dei richiami a un vecchio fondamentalismo biblico, cercassero con i
fratelli Ebrei questi nuovi sensi e questa nuova comprensione della
Parola liberatrice.
(25 luglio 2018)
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