mercoledì 25 luglio 2018

Gli autori di ‘Piigs’: “Così la sinistra ha ucciso Keynes”.

Per i registi del docufilm il ritorno alle politiche espansive è l'unico modo per uscire dalla crisi e arginare i nuovi populismi xenofobi: “Milioni di europei non sono improvvisamente diventati razzisti e intolleranti. La loro rabbia è il frutto di anni di politiche deflattive che ne hanno minato la stabilità economica e sociale. La sinistra europea ha ignorato le istanze di quello che un tempo era il proprio elettorato, sposando il paradigma neoliberista”. L'Ue può cambiare? “La Germania non lo permetterà”.




micromega intervista a Adriano Cutraro e Federico Greco di Giacomo Russo Spena

“Fu grazie alle politiche keynesiane che gli Stati Uniti uscirono dalla più grave crisi economica della loro storia, la grande depressione del ‘29. Anche noi, se vogliamo uscire da questa asfittica depressione, dobbiamo fare in modo che il pensiero di John Maynard Keynes, forse il più grande economista di tutti i tempi, torni preponderante nel dibattito pubblico e che finalmente si insinui tra le maglie della classe politica”.
Per questo motivo i tre registi del film “Piigs” – Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre – si sono vestiti con le tute rosse e le maschere dei rapinatori della serie Netflix “La Casa di Carta” e hanno chiesto al I municipio di Roma di votare una mozione, approvata all'unanimità, per individuare un'area verde in cui posizionare un busto di Keynes. Così è stato. Li avevamo contattati già dopo l'uscita del loro docufilm sull'Europa dell'austerity, uscito nell’aprile del 2017 e rimasto in sala, sorprendentemente, per ben nove settimane. Oltre alla distribuzione ufficiale con Circuito Cinema, il film è stato proiettato in moltissime altre sale per sei mesi, circa 200 proiezioni in tutta Italia. Ora tornano a far parlare di loro con questa azione simbolica. Abbiamo il piacere di intervistare due dei tre autori, Adriano Cutraro e Federico Greco.


Partiamo dai fatti: perché, nel 2018, questa azione per riaffermare, fra tanti, proprio l'importanza di Keynes?

Oggi assistiamo al trionfo del pensiero unico, ovvero all'affermazione incontrastata dell'ideologia neoliberista, quella secondo la quale gli Stati, e le persone quindi, devono sottomettersi al volere e al ricatto dei mercati. Gli stessi, che con la complicità delle istituzioni europee, ci impongono i pesanti tagli alla spesa pubblica che poi danno origini alle catastrofi sociali ed economiche a cui stiamo assistendo. Ci ripetono che questo è l'unico modello economico possibile: “There is no alternative” qualcuno direbbe. In realtà ormai sappiamo benissimo che i “mercati” sono grandi gruppi finanziari che perseguono grandi profitti attraverso la predazione. L’unico modo per stravolgere questo spietato paradigma è quello di applicare ricette economiche keynesiane, ridando così allo Stato il potere di fare investimenti in deficit finalizzati alla piena occupazione, quindi sostenere la sanità pubblica, l’istruzione, la ricerca, la messa in sicurezza del paese, la creazione di nuove e moderne infrastrutture.

Secondo il grande giurista Stefano Rodotà, in Italia, Keynes e le sue politiche sono state uccise quando centrosinistra e centrodestra hanno votato l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. Siete d'accordo?

Keynes è stato l’ispiratore principale del modello economico accolto nella Costituzione del ’48, “e dunque l'assetto socio-politico, conformato in Costituzione ha valore normativo supremo, cioè intangibile” (come afferma Luciano Barra Caracciolo). Rodotà ha ragione dal punto di vista tecnico, quindi, perché il pareggio di bilancio ha operato da questo punto di vista una revisione incostituzionale, cancellando così l’afflato keynesiano. Dal punto di vista più generale, e sostanziale, Keynes è stato ucciso già a partire dagli anni ’70. Per esempio, quando il governo iniziò a diffondere il terrore dell’inflazione (riuscendo nell’impresa impossibile di farci finire, oggi, in deflazione); oppure con la cosiddetta svolta berlingueriana; o ancora con la convinzione – che nasce in quegli anni – che il mercato è più efficiente e lungimirante dello Stato (che sfocerà, come primo esempio dei danni che questa credenza ha creato, nella prima bolla della Borsa nel 1986); con l’adesione allo SME; o infine con il divorzio della Banca d’Italia dal Tesoro nel 1981 voluto da Andreatta, non a caso ‘padrino’ del neoliberista filo montiano Enrico Letta.

In effetti, per comprendere la crisi economica iniziata nel 2008 occorre, forse, tornare a quegli anni Settanta che videro le prime crepe nel sistema keynesiano-socialdemocratico che aveva dominato le economie occidentali dal dopoguerra...

C’è una citazione di Caffè, il più keynesiano dei nostri economisti, che mi pare molto pertinente, e terribilmente attuale, a questo proposito: “Le mie idee non me le cambieranno certamente coloro che pronunciano requisitorie, ormai a getto continuo, contro lo Stato dalle mani bucate; contro l’assistenzialismo, padre di tutti i vizi; contro l’egualitarismo, colpevole di avere ucciso il merito, e via di questo passo. Quante insopportabili menzogne. Come se la ragione di tanti sprechi, inefficienze, ingiustizie, cancrene, fosse l’assistenzialismo in sé, lo Stato del benessere in sé, l’egualitarismo in sé e non gli abusi, le illegalità, l’uso spregiudicato e clientelare (…) Ormai anche i partiti di sinistra si sono messi a rincorrere le parole d’ordine alla moda: senza valutare che ciò che in questo modo pensano di guadagnare, nuove alleanze, nuovi improbabili blocchi storici, sarà ben poca cosa rispetto a quello che avranno perduto”.

L'Italia poteva sottrarsi dalla modifica dell'art 81 della Costituzione nel momento in cui l'Europa ci imponeva di tenere i conti in regola?


Non poteva, perché se anche ci fosse stato un dibattito pubblico (e non c’è stato: fu approvato in pochissimi mesi, tempo record visto che una legge di modifica costituzionale ha bisogno di diversi passaggi nelle aule parlamentari), a partire dal 2011 l’opinione pubblica era già stata indottrinata da un feroce tam tam mediatico a credere che deficit eccessivo, debito pubblico sul PIL oltre il 60% e spread oltre 200 punti erano mostri pronti a divorare il Paese e a farlo cadere in default. Il pareggio di bilancio, che deriva dal Fiscal Compact (un trattato europeo che riscrisse la Costituzione europea già bocciata anni prima da Francia e Paesi Bassi), impone l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Di tutti i Paesi europei dell’UE, l’Italia è la sola, insieme con la Spagna (alla quale però è stato concesso uno sforamento del deficit di bilancio, vero motivo della sua apparente ripresa economica degli ultimi anni) ad aver inserito il pareggio di bilancio in Costituzione, nel 2012.

Con il Decreto Dignità, in qualche modo, si riscopre Keynes o, affermarlo, è un'esagerazione?


La riflessione più significativa l’ha fatta il deputato Stefano Fassina secondo cui nel decreto c’è qualcosa di buono: lotta alla precarietà, multe per chi delocalizza… Ma non scomoderei Keynes, perché queste istanze a favore del lavoro (che infatti Confindustria e il PD demonizzano) se mai verranno tradotte in leggi si scontreranno sempre con lo stesso problema di un Paese legato ai vincoli dei trattati europei e, anche qui, a quelli del pareggio di bilancio: siamo costretti da una coperta troppo corta, quindi da qualche altra parte saranno fatti inevitabilmente dei tagli e qualcosa mi dice che ne farà le spese lo Stato sociale. Bisogna fare sempre molta attenzione quando, in uno Stato a moneta non sovrana legato a trattati come Maastricht e Fiscal Compact, qualcuno parla di risorse pubbliche da allocare. Da quando c’è l’euro le tasse servono a pagare la spesa pubblica e se si aumenta la spesa si aumenta il gettito fiscale, continuando così a distruggere la domanda interna, vero e proprio cardine del problema attuale.


 
Con “Piigs”, avete denunciato le storture di questa Unione Europea. Pensate ancora si possa modificare dal suo interno o il prossimo docufilm che farete sarà sull’importanza di recuperare la sovranità nazionale?
Intanto tranquillizziamo i lettori, il prossimo film si occuperà di intelligenza artificiale, certo in qualche modo c’entrerà anche l’economia. Comunque non siamo tra quelli che credono che l’Unione Europea si possa cambiare dall’interno, semplicemente perché è stata costruita sul modello mercantilista tedesco, cambiare la UE significherebbe far accettare alla Germania una BCE garante dei debiti pubblici degli Stati membri, una politica economica di investimenti pubblici per rilanciare la domanda interna e la piena occupazione, francamente lo riteniamo molto improbabile.

Cosa ne pensate del vento populista/xenofobo che soffia in Europa? È l'altra faccia delle politiche di austerity?

Spiace dirlo, ma avevamo previsto questa situazione già qualche anno fa. Purtroppo invece di esaminare le reali cause stiamo assistendo ad uno stucchevole teatrino mediatico che sta catalizzando l’opinione pubblica su un tema abbastanza marginale rispetto a quello economico, una riedizione del “berlusconismo”, mi riferisco al tema dell’immigrazione ovviamente. Noi non crediamo affatto che improvvisamente milioni di europei siano diventati razzisti e intolleranti. La loro rabbia è il frutto di anni di politiche deflattive che ne hanno minato pesantemente la stabilità economica e sociale. La sinistra progressista europea ha completamente ignorato le istanze di quello che un tempo era il proprio elettorato di riferimento, per sposare ciecamente il paradigma neoliberista. Si è così creato un pericoloso vuoto di rappresentanza, adesso conteso caoticamente dai cosiddetti movimenti populisti di estrema sinistra e di estrema destra. Sfortunatamente sono questi ultimi che stanno trovando terreno fertile per una forte legittimazione a livello europeo, ma tutto ciò era ampiamente prevedibile.

Domanda pop: qual è il vostro personaggio preferito della Casa di Carta?


Sicuramente Berlino, perché sta per morire nel breve periodo (ha pochi mesi di vita a causa di una malattia terminale). “Nel lungo periodo siamo tutti morti” diceva Keynes quando ironizzava sulla fede degli economisti nelle capacità del libero mercato di generare benessere, prima o poi.


(24 luglio 2018)

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