martedì 17 aprile 2018

"Reddito di base e conflitto sociale. L'unica via per non dare uno strumento in mano ai padroni per ridurre i salari". Intervista a Federico Giusti del Sindacato generale di base di Pisa




controlacrisi

La rivendicazione di un reddito di base per tutti\e puo' definirsi in termini antagonisti e conflittuali ?
Il dibattito sul reddito non è nuovo, se ne parlava già sul finire del secolo scorso . Il reddito di base, o di esistenza , nasce come idea per riappropriarci di quella parte di ricchezza che va al capitale e non viene ridistribuita sotto forma di salario e di servizi. Poi se ne sono impossessati i Grillini che tuttavia ne hanno fornito una versione alquanto diversa e addomesticata, una sorta di reddito di inserimento lavorativo destinato a chi ha perso lavoro o una sorta di prestito destinato a percorsi formativi. Nei giorni scorsi anche in Germania è stata lanciata dal sindaco di Berlino, e subito ripresa dalla Spd, la idea del reddito sociale pensato come una sorta di lavoro socialmente utile per i disoccupati di lungo corso. Ricordiamoci che ad inizio secolo, l'allora governo socialdemocratico invento' il jobs act alla tedesca, una riforma del lavoro che ha alimentato la precarietà laddove esisteva quasi la piena occupazione. La proposta Spd è destinata a guadagnare consensi soprattutto in una fascia di lavoratori che oggi ha scarse possibilità di trovare una occupazione, pensiamo a chi è tagliato fuori da Industria 4.0. La stessa Ue prevedeva una sorta di reddito minimo garantito, almeno in teoria, come misura di contrasto della povertà. Ma poi in molti paesi questa ipotesi è stata scartata per mancanza di fondi, la ricchezza prodotta serve essenzialmente per pagare gli interessi sul debito, altro che Europa solidale con le classi sociali meno abbienti. Ma prima di tornare all'Italia è opportuno chiarirci: Il reddito,in qualunque modo lo si voglia definire e declinare, presuppone una revisione del welfare e dello stesso mercato del lavoro
Focalizziamo l'attenzione sull'Italia
Un dibattito sul lavoro e sul reddito, sul salario e sulla contrattazione manca nel nostro paese soprattutto da quando Cgil Cisl Uil hanno accettato senza un 'ora di sciopero l'aumento dell'età pensionabile e le nuove regole sulla rappresentanza. Gli stessi fautori del partito del Lavoro come ancora di salvezza della sinistra sono stati sbaragliati dal Renzismo e dalla arrendevole poliica di compromesso della Cgil.
Per quanto concerne il dibattito sul reddito preoccupa la troppa astrazione, si fa finta di non vedere che un eventuale reddito di esistenza subirà stravolgimenti tali in Parlamento, se approvato ovviamente e a quanto vediamo le forze favorevoli non hanno al momento la maggioranza, da trasformarlo in qualcosa di diverso, anzi la questione reddito, sua malgrado, potrebbe risultare utile per ridurre i salari e restringere gli spazi di contrattazione. Per intenderci , noi siamo preoccupati dal fatto che si parli di welfare sussidiario o welfare selettivo, oggi lo stato sociale è inadeguato a produrre servizi per soddisfare bisogni reali ma la soluzione non puo' essere quella di distruggerne il carattere universale optando magari per la terza gamba integrativa. La questione welfare non puo' essere oggetto di scambio con la perdita di salario o la riduzione dell'assegno previdenziale, lo stesso discorso vale per il reddito. Detto cio' si inizi a parlare del reddito senza preclusioni di sorta ma guardando anche alle molteplici forme del lavoro subordinato anche quando si traveste da lavoro autonomo .
Sia lungi da noi vogliamo negare la centralità dell'argomento reddito, siamo convinti che i fautori del reddito non riescano a leggere quanto già accade oggi nei luoghi di lavoro con lo scambio tra salario e bonus, con i contratti nazionali nei quali dialaga il welfare aziendale quando lo stato sociale viene ridotto ai minimi termini ma abbiano invece ragione nel criticare la fine di un compromesso sociale. La questione è ben altra, ossia che decenni fa era rivoluzionaria la rivendicazione della riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario proprio per ridurre la quota di plusvalore a unico vantaggio del capital , il tema della riduzione di orario resta per noi dirimente ovviamente senza perdere un euro e non cedere sulla contrazione degli spazi di democrazia e contrattazione.  E la erogazione di questo reddito di base o di esistenza diventa rivoluzionaria e antagonista al capitale se rientra in una rivendicazione antisistemica. Mi spiego meglio: se voi distruggete il nostro futuro, noi vogliamo riappropriarcene a partire dalla distribuzione di una fetta consistente della ricchezza prodotta che oggi invece va solo al capitale e di cui beneficia una parte esigua della popolazione. Ma allo stato attuale il reddito rischia di essere in antitesi ai diritti dei lavoratori. Prendo come esempio Fumagalli, il principale  teorico del reddito, per questo insigne studioso non esiste l'euro, anzi non rappresenta l'euro uno dei principali problemi che ha decretato la perdita del potere di acquisto dei salari e le politiche di austerità. Fumagalli in una intervista su Effimera (clicca qui per leggere) parla di percorsi alternativi  di creazione della moneta, un discorso diverso da quello che andrebbe fatto rispetto all'Ue, alla Bce e ai dettami della Troika
Ma non credi che con il reddito di esistenza riprendano forza le teorie del non lavoro?
Parliamone, sicuramente una antitesi tra teorie lavoriste e del non lavoro oggi sarebbe ridicola alla luce dei processi di ristrutturazione capitalista.  Io credo che il problema sia visto dal punto di vista distributivo ma la variabile distributiva non puo prescindere dai rapporti di forza e dal conflitto tra capitale e lavoro. Sta qui la principale contraddizione dei fautori del reddito, dimenticano la questione del lavoro, anzi la negano e con essa sottovalutano i processi di ristrutturazione del capitale, il ruolo della politica monetaria, si soffermano sui bisogni ma non sui processi oggettivi che per altro comprendono bene trattandosi sovente di studiosi con innumerevoli pubblicazioni. Oggi una parte del capitale sarebbe anche disposta a concedere una pallida forma di reddito universale ma lo legherebbe magari a una sorta di prestito in attesa di un lavoro vero e proprio, un percorso che ricorda quanto accade in Gb e negli Usa con gli studenti universitari che per 20 anni dopo la laurea devono pagarsi il prestito necessario per terminare gli studi.  E poi dimentichiamo il ruolo dello Stato che è determinante nel decidere i processi distributivi; lo Stato attuale è garante della salvaguardia dei profitti capitalistici, non c'è neppure quel compromesso sociale alla base del keynesismo. E anche del ruolo dello Stato o dei rapporti di forza non si parla. Personalmente concordo con Fumagalli laddove ritiene il reddito di base  "remunerazione di quell’attività produttiva di valore, dal punto di vista capitalistico, che oggi non viene certificata come prestazione lavorativa". Sto pensando ad Internet, alla tua attività nel tempo libero che produce ricchezza ai padroni del social network, sto pensando all'avvento degli alogoritmi e all'utilizzo che se ne fa. Posso anche concordare che le attività di vita producono di fatto valore e quel valore dovrebbe essere ridistribuito attraverso il reddito ma per farlo serve una visione conflittuale dello stesso reddito e  pratiche conseguenti. Al contrario gli assertori del reddito si muovono solo come i becchini del vecchio fordismo e della classe operaia di fabbrica, non pensano neppure a costruire alleanze trasversali e percorsi comuni. Supponenza intellettuale , forse andrebbe definita con tanta brutalità questo atteggiamento ma passeremmo agli occhi dei piu' giovani come i difensori di un mondo ormai naufragato. Detto cio' il problema è ben altro, basti guardare allo sfruttamento dei riders, falsi lavoratori autonomi controllati con il gps e costretti ad orari impossibili e a sottoposti a  sfruttamento selvaggio.  Siamo in presenza di falsi lavoratori autonomi, anzi il lavoro autonomo nella attuale fase di accumulazione ha subito un forte ridimensionamento numerico soprattutto nei paesi del Mediterraneo. Io credo sia dirimente una sintesi tra piu' culture politiche , la questione dei linguaggi non è secondaria. Quando parliamo di pratiche di vita dovremmo prima pensare che la pratica conflittuale di un precario della conoscenza è diversa da quella di un facchino o di una lavoratrice del commercio ci sono culture diverse e l'agire pratico è dettato dalle condizioni materiali di vita e di lavoro. Per questo .ridurre il conflitto al modello fordista è sbagliato cosi' come far finta che non esista un mondo del lavoro al di fuori della rete.
Sempre citando Fumagalli, credi che "le forme dell’accumulazione e della valorizzazione bio-capitalista richiedano sempre più forme di cooperazione sociale"?
Guardiamo a quanto scrivevano i compagni 20 anni fa sul lavoro autonomo di seconda generazione, quelle teorizzazioni sono state di fatto smontate dai processi di accumulazione capitalista. Anche sulla cooperazione sociale bisognerebbe aprire un ragionamento sul modello sociale, sulla cultura prodotta, per esempio la società basata sulla presunta performance, il senso di colpa che colpisce ogni rivendicazione egualitaria in termini di salario e servizi. Non è vero quello che dice Fumagalli quando asserisce che la produttività individuale nella fabbrica del cottimo era facilmente misurabile al contrario di quanto avvenga oggi nella società capitalista. SIa ben chiaro, il cottimista doveva produrre tanti pezzi in base ai quali si misuravano i risultati. Oggi si sono inventati la performance come misura divisoria del salario, parametri non oggettivi e trasparenti con i quali  si riconosce il presunto merito ad alcuni destinando il salario che dovrebbe spettare per diritto a tutti\e. Io continuo a pensare che i fautori del reddito abbiano ragione ma il loro ragionamento è astratto, non mettono insieme l'analisi culturale e sociale con quella dei processi di accumulazione e dimenticando di analizzare il ruolo storico dello Stato. La cooperazione sociale non è misurabile ma pensiamo che insistere sulla contrapposizione al fordismo non sia di grande aiuto per comprendere le odierne contraddizioni. Quando poi si dice che " la struttura salariale classica non è più adeguata, non coglie le trasformazioni che oggi agiscono" bisogna fare grande attenzione perchè analogo discorso lo fa anche la Confindustria. Vogliamo cedere all'idea che il salario sia una variabile dipendente dai profitti o dalle quotazioni in Borsa. Ovviamente sto banalizzando,non penso che Fumagalli arrivi a tanto, tuttavia l'odio del fordismo e del lavoro porta talvolta a semplificazioni pericolose che cedono alla cultura capitalistica o le permettono di effettuare delle sintesi assai preoccupanti per noi tutti\e. Infine ci sono alcuni aspetti non secondari da affrontare: è giusto che si debba ricevere un reddito senza lavorare? O bisogna lavorare 20 ore alla settimana ma tutti\e in cambio di salari adeguati e welfare degno di questo nome? O la cooperazione sociale non potrebbe tradursi in lavori utili socialmente per rimettere in piedi i paesi terremotati, le strade dissestate o per bonificare i siti inquinati? Si tratta di prospettive ben diverse che ovviamente scaturiscono da due teorie, quella del non lavoro o del lavoro non alienato che poi risalgono al secolo scorso, ragione per cui anche gli assertori del reddito non possono ignorare le eredità culturali alle quali continuano ad essere debitori
Le narrazioni e la immaginazione di un futuro giocano ruoli dirimenti soprattutto tra le giovani generazioni. Il reddito di base puo' avere in se' una natura sovversiva?
Si e no, penso che la riforma degli ammortizzatori sociali sia necessaria ma non nei termini auspicati da Confindustria, giudico negativo il ruolo dei sindacati tradizionali come agenti degli interessi capitalistici sottoscrivendo gli accordi per innalzare la età pensionabile o la intesa sulla rappresentanza. Io riserverei grande attenzione ai processi di ristrutturazione che avveranno nel welfare, non vorrei che il reddito di base fosse anche pensato come merce di scambio. Innamorarsi delle formule, astrarre le formule o le ricette dal conflitto tra capitale e lavoro è veramente pericoloso, poi sono convinto che lo stesso concetto di lavoro debba essere ripensato e non solo nei termini del fordismo, su questo concordo con l'area dei sostenitori del reddito, tuttavia molte delle idee del cosiddetto capitalismo bio cognitivo hanno in sè elementi di grande contraddizione che potrebbero, all'occorrenza, essere piegati alle ragioni del nostro comune nemico: il capitalismo e i suoi agenti. Poi si puo', anzi dobbiamo, discutere di tutto il resto, dala tassazione al welfare, dal lavoro al non lavoro, i fautori del reddito hanno ragioni da vendere nella critica formulata al sindacato negli ultimi 40 anni solo che la critica è stata avanzata anche da altri ambienti, per esempio da settori del sindacalismo di base che non hanno sottoscritto l'accordo sulla rappresentanza. In Italia esiste un problema dalle dimensioni sempre piu' grosse: la povertà. Io credo che combattere la miseria sia una priorità anche per noi che vogliamo rovesciare il modello capitalistico, basterebbe dare meno incentivi alle imprese, non spendere i soldi per le spese militari e avremmo già i fondi necessari per la copertura del reddito di base. I rapporti di forza sono oggi a nostro sfavore e non pensiamo che simili concessioni rivoluzionarie avvengano solo perchè siamo bravi analisti che propongono soluzioni ragionevoli. Ma qui ritorneremmo al ruolo dello Stato e ai rapporti di forza, argomenti non astratti ma cosi' concreti che ormai non vengono piu' considerati dalla comunità scientifica e politica.

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