Un recente libro di Salvatore Cannavò analizza l'azzeramento della sinistra nel Paese e traccia le linee guida per un nuovo inizio: "Per guardare al futuro dobbiamo tornare là dove tutto è cominciato". Dalle cooperative di Marx alle fabbriche recuperate, dal Chiapas al Rojava, dalle battaglie per il "comune" alla richiesta del salario minimo, il giornalista ipotizza la via del mutualismo conflittuale e politico.
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micromega Giacomo Russo Spena
La sinistra che vince nei ricchi Parioli ma sparisce nelle periferie. La sinistra che non sa più rappresentare le classi subalterne. La sinistra che ha perso culturalmente. La sinistra che a furia di attaccare il cosiddetto populismo, è finita a difendere le elite del Paese. La sinistra che è incapace di narrazioni egemoniche della società. La sinistra che è stata azzerata alle scorse elezioni. La sinistra che non c'è più.
Dato il quadro, il giornalista Salvatore Cannavò scrive per Alegre Edizioni un libro importante per ripartire, o almeno per provare a farlo. Il titolo è esplicativo: "Mutualismo, ritorno al futuro per la sinistra" (191pp, 15euro).
Un testo non sempre condivisibile in ogni passaggio ma che – smussati gli spigoli troppo operaisti dell'autore e alcuni schemi un po' tradizionali – ripercorre con minuzia le storture della sinistra e, soprattutto, traccia le ricette per uscire dalla marginalità e promuovere quell'auspicato cambiamento, di cui ci sarebbe bisogno nel Paese.
Nei primi capitoli Cannavò si focalizza sulla crisi odierna. La sinistra, secondo lui, inizia a scomparire quando ha accettato di gestire un compromesso sociale al ribasso, ovvero quando le socialdemocrazie europee hanno tradito le ragioni progressiste in nome della terza via blairiana. Il Pd rappresenta in toto quella “socialdemocrazia” che, negli ultimi anni, si è fatta fedele esecutrice delle politiche d’austerity e di generale compressione dei diritti. In nome di un generico “riformismo” si sono sostenuti i grandi piani di privatizzazione, deregolazione dei mercati, precarizzazione della vita dei cittadini, riduzione degli spazi alternativi alle logiche di consumo. Dopo il crollo del Muro era chiaro che il mondo avesse preso una direzione ben precisa, e così la sinistra del governo ad ogni costo ha scelto di abbracciare l’ideologia unica. Un’ideologia sì unica, ma punitiva per i molti, perché favoriva e continua a favorire la crescita delle disuguaglianze. Il sociologo Luciano Gallino, nel suo ultimo libro, scrive di "cattura cognitiva", perché dinanzi ai grandi, radicali problemi del nostro tempo la destra e la sinistra hanno programmi simili. È questa la base del pensiero, anzi della "ragione unica".
Lo scorso 4 marzo ha confermato il trend europeo: un voto polarizzato secondo il binario establishment/anti-establishment, con la “gente” che ha sostenuto le forze cosiddette populiste, percepite come di rottura o contro l’attuale assetto di potere. Forze di alternative presunte, non reali. Ma considerate tali.
E allora Cannavò di fronte ad una crisi politica e sociale – dove sempre più regnano diseguaglianza, precarietà esistenziale, disoccupazione e working poor – propone di tornare là, "dove tutto è iniziato": il recupero delle intuizioni iniziali, delle forme concrete di associazione e organizzazione che la sinistra di oggi ha totalmente dimenticato.
Un tuffo nel passato: il libro ripercorre gli albori della Prima Internazionale del 1848 e le cooperative pensate da Karl Marx. All'epoca, il mutualismo si afferma tramite società che provvedono all'alfabetizzazione di uomini e donne, formazione al lavoro, credito, previdenza e assistenza ai più deboli. Poi, in Italia, la frattura tra i socialisti e la componente mazziniana, la quale sposa il mito della fratellanza e dell'assistenza ai bisognosi ma non si pone l'obiettivo politico della rappresentanza della classe operaia. È un dibattito vero e serrato su cosa si intende per mutualismo. Un confronto ben ricostruito, da un punto di vista storico e politico, da Salvatore Cannavò: la visione di Marx contro quella dell'anarchico Bakunin.
"Oltre ad esercitare forme di solidarietà – scrive l'autore – il mutualismo ha senso soltanto se assume anche forma di resistenza, se rappresenta centri capaci di organizzare lotte e rivendicazioni". In altri termini, il mutualismo o è conflittuale o non è. Qui è il nodo. La vera differenza tra chi, nel sociale, esercita volontariato e chi, invece, si pone l'obiettivo di cambiare lo status quo; tra chi pensa che tutti gli uomini siano fratelli e chi crede marxianamente nella "lotta di classe" e nelle contraddizioni capitale/lavoro.
"Il mutualismo conflittuale – si legge ancora nel libro – è dunque politico nel senso che mentre esiste rivendica già il nuovo. Esprime una solidarietà contro lo stato di cose presente per allargare il campo dei diritti sociali, le garanzie pubbliche, servizi, spazi, ma esige anche una solidarietà per, fatta di risposte immediate a bisogni immediati". Passando per le virtuose esperienze nel Novecento del partito sociale belga e di alcune forme di sindacalismo, si torna al presente: di fronte ad un popolo che non esiste più in quanto tale, muto e atomizzato, il primo compito è ricostruire perfino le componenti rituali, i luoghi dello "stare insieme”.
Questo mutualismo sarebbe la risposta politica alla dispersione e alla frammentazione. L'antidoto alla precarietà come condizione esistenziale. Il mutuo soccorso è un progetto e uno spazio fatto di esperienze di autogestione e solidarietà. "Il mutualismo – sostiene Cannavò – è una risorsa ancora inesplorata, anche sul piano politico generale, come strumento per ricominciare a tessere una tela che è stata strappate da troppe parti e da troppi protagonisti".
In tal senso, non è sufficiente battersi soltanto in difesa della vecchia Costituzione o delle nostre vecchie istituzioni, occorre controbattere con una idea nuova e progressiva di democrazia, di società, di vita, di felicità.
Il mutualismo che interessa Cannavò è il mutualismo del comune, quello teorizzato dai francesi Pierre Dardot e Christian Laval, e cioè "agire in comune", la cooperazione non solo produttiva, ma morale ed intellettuale. Ma quali esempi concreti, al di là della teoria, possono essere considerati virtuosi?
Cannavò spazia dalle esperienze di fabbriche recuperate ed autogestite in Argentina e in Italia (come la Ri-Maflow) fino a Solidarity for all, l'associazione greca vicina a Syriza, che ha fatto nascere nel Paese mense del mutuo soccorso, ambulatori e farmacie popolari, riallaccio di utenze, cooperative socio-lavorative per disoccupati ed altre esperienze di autogestione. Ma l'autore si concentra anche su modelli internazionali come il Chiapas degli zapatisti, i curdi del Rojava o i Sem Terra brasiliani, citando anche movimenti come Occupy Wall Street e Non una di meno. Il mutualismo conflittuale e politico, questo è il modello per far ripartire la sinistra.
La domanda da porsi, oggi, è: serve ancora la sinistra? Ha senso parlarne? E soprattutto, nell'era post ideologica che siamo vivendo, si percepisce un'esigenza di "più sinistra"? E ancora: con un tasso di astensionismo alto e coi cittadini che presto scopriranno il bluff degli anti Sistema (M5S e Lega), ci sarebbe lo spazio politico per un progetto di liberazione nazionale: un soggetto nuovo, lontano dai ceti politici esistenti, che sia coerentemente contro cricche, establishment e il cosiddetto 1% e a vantaggio di politiche redistributive, diritti civili e sociali, reddito, difesa dei beni comuni etc. Dalla Spagna ci giungono, in tal senso, gli insegnamenti di Podemos e Ada Colau, sindaca di Barcellona, che costruiscono la sinistra senza nominarla, sposando la dicotomia basso vs alto. Partiti capaci di intercettare la sofferenza popolare, al di fuori dei confini della sinistra classica e tradizionale.
Un’altra riflessione da porsi sul mutualismo: è sicuramente un processo importante, ma è sufficiente? Per rilanciare un progetto nuovo, convincente e ambizioso non ci vogliono altri ingredienti?
Tra tutti, oltre al tema del radicamento territoriale, non è indispensabile focalizzarsi anche sulla sfera mediatica? La partita, ormai, si gioca su un campo populista e non si prendono i voti se non si ha un bravo comunicatore, capace di far veicolare i propri messaggi. Qualsiasi esperienza interessante in Europa è stata possibile anche per la figura di un "potere carismatico" (per dirla alla Max Weber). Un esempio su tutti: quando Podemos si presenta per la prima volta alle elezioni, alle Europee 2014, la gente si reca alle urne chiedendo il nome del coleta (soprannome di Pablo Iglesias). Il leader serve, anche nei migliori percorsi orizzontali, democratici e partecipativi. Inoltre, da non sottovalutare, è l'importanza di un nuovo soggetto che abbia la capacità di dettare l'agenda setting del Paese, di occupare gli spazi mediatici, creare narrazioni egemoniche e vincere nel Paese una battaglia culturale. Far capire alle persone chi sono i responsabili della propria crisi. Da questo punto di vista il sistema scolastico, informativo e comunicativo è fondamentale. E non si può tralasciare.
Per concludere, il libro di Cannavò è un testo parziale ma importante. Se solo si riscoprisse nel Paese il mutualismo, conflittuale e politico, saremmo già un bel pezzo avanti.
(26 aprile 2018)
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