Liquida Miguel Gotor, che nelle ultime settimane
lo ha accusato sul Fatto Quotidiano di essere la “gola profonda” che avrebbe portato alla scoperta della base brigatista di via Gradoli: «non a caso dagli scrittori di libri polizieschi ritenuto uno storico, ma dagli storici considerato solo un romanziere».
Infine ridicolizza le “clamorose scoperte”, annunciate nella ultima
relazione intermedia prodotta dalla defunta Commissione Moro 2
Il sequestro Moro poteva
concludersi senza la morte dell’ostaggio? Franco Piperno ribadisce che
era possibile. Tutto ruota attorno ai giorni concitati d’inizio maggio
‘78, dopo la telefonata di Moretti del 30 aprile alla famiglia dello
statista democristiano e il comunicato Br nel quale figurava quel
gerundio – «eseguendo la sentenza» – che di fatto rimandava l’esecuzione.
L’iniziativa socialista
aveva aperto un canale di comunicazione ed ai brigatisti era stato detto
che il 7 maggio Fanfani avrebbe fatto un’importante dichiarazione di
apertura. Perché tacque? Il suo silenzio fu la conseguenza di una
interferenza del Pci, che forte dei suoi voti indispensabili per
l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica aveva validi argomenti
per condizionare le decisioni del Presidente del Senato, uno dei
pretendenti più quotati?
Durante le trattative
per la formazione del nuovo governo, Fanfani aveva cercato di scavalcare
a sinistra Moro proponendo un governo d’emergenza con la partecipazione
diretta dei comunisti.
Ne scrive sui suoi Diari
un infastidito Andreotti e lo testimonia l’ambasciatore Usa Gardner,
allarmatissimo ma poi rassicurato dall’opzione ben più moderata di Moro
che tenne fuori dal governo i tre ministri tecnici indicati dal Pci,
rompendo gli accordi presi da Zaccagnini, pronto a dimettersi, e dallo
stesso Andreotti.
Piperno giocò un ruolo
chiave attorno a quell’abbozzo di trattativa che però non riuscì a
conseguire il suo scopo. Una lacerazione della «linea della fermezza»
che ancora oggi disturba la storiografia ispirata a quelle posizioni e
che a distanza di quarant’anni non rinuncia a lanciare i propri strali
dietrologici, calunniando i protagonisti di quella complicata vicenda.
Sul Fatto Quotidiano del 6 e del 20 aprile Miguel Gotor ha tirato in ballo nella intricata vicenda di via Gradoli la responsabilità di Franco Piperno, figura di spicco del ’68, tra i fondatori di Potere operaio, coinvolto nei processi 7 aprile e Metropoli. Secondo l’ex parlamentare, già membro della Commissione Moro, dietro la messa in scena della seduta spiritica che si tenne il 2 aprile 1978 a Zappolino, piccola frazione distante una trentina di chilometri da Bologna, nella casa di campagna del professor Alberto Clò, presenti Romano Prodi ed altri docenti universitari, che negli anni successivi saranno destinati ad incarichi di governo, ci sarebbe stata la “soffiata” di «un esponente di prestigio dell’area dell’eversione». Piperno avrebbe fornito il suggerimento al futuro ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, secondo alcune voci mai confermate presente anch’egli alla seduta spiritica, approfittando del fatto che fosse fondatore e rettore dell’Unical, l’università della Calabria, dove Piperno stesso era docente di fisica.
Sul Fatto Quotidiano del 6 e del 20 aprile Miguel Gotor ha tirato in ballo nella intricata vicenda di via Gradoli la responsabilità di Franco Piperno, figura di spicco del ’68, tra i fondatori di Potere operaio, coinvolto nei processi 7 aprile e Metropoli. Secondo l’ex parlamentare, già membro della Commissione Moro, dietro la messa in scena della seduta spiritica che si tenne il 2 aprile 1978 a Zappolino, piccola frazione distante una trentina di chilometri da Bologna, nella casa di campagna del professor Alberto Clò, presenti Romano Prodi ed altri docenti universitari, che negli anni successivi saranno destinati ad incarichi di governo, ci sarebbe stata la “soffiata” di «un esponente di prestigio dell’area dell’eversione». Piperno avrebbe fornito il suggerimento al futuro ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, secondo alcune voci mai confermate presente anch’egli alla seduta spiritica, approfittando del fatto che fosse fondatore e rettore dell’Unical, l’università della Calabria, dove Piperno stesso era docente di fisica.
In
via Gradoli, situata nella zona Nord di Roma, il 18 aprile 1978 i
Vigili del fuoco, chiamati per una perdita d’acqua, scoprirono una
importante base delle Brigate rosse, affittata nel dicembre 1975
all’ingegner Borghi, alias Mario Moretti.
Nel
“rapportino”, la scheda che riassume modalità, cause e soluzioni
adottate dalla squadra dei Vigili del fuoco per portare a termine
l’intervento, redatto al rientro in sede, il Caposquadra Giuseppe
Leonardi scrive che alle 9.47 dall’interno 7: «Per
mezzo di scala a ganci si provvedeva ad entrare nell’appartamento
soprastante [int. 11] per constatare la causa di infiltrazione di acqua». Alla voce probabili cause, risponde: «Dimenticanza chiusura rubinetto della doccia del bagno».
Nella relazione dattiloscritta specifica più dettagliatamente: «Il
danno era semplicemente provocato dalla doccia, del tipo telefono,
ri[ma…] aperta e rivolta contro il muro che faceva infiltrare l’acqua da
dietro la vasca da bagno dietro il muro danneggiando i solai
sottostanti. Si elimina[…] danno chiudendo il rubinetto erogatore». Più avanti il Caposquadra spiega che «posti in vista di un tavolo, vi erano volantini a firma delle “Brigate rosse» e «volumi delle B.R» che attirarono la sua attenzione facendo scattare l’allarme.
La preziosa informazione
sull’ubicazione della base brigatista – lascia intendere Gotor –
sarebbe pervenuta all’ex esponente di Potop dalla proprietaria
dell’appartamento di via Gradoli: i due si sarebbero conosciuti alla
fine degli anni ‘60 per via della comune frequentazione del Cnen, il
centro di ricerca nucleare di Frascati. Gotor, sostenitore della tesi
che il danno d’acqua non fosse casuale, solleva ulteriori sospetti,
ipotizzando che «un brigatista dissidente, un esponente dell’area dell’autonomia collaborativo con lo Stato o un agente dell’antiterrorismo»,
possa essere entrato nell’appartamento la mattina del 18 aprile, dopo
l’uscita di Balzerani e Moretti che quella sera non sarebbe dovuto
rientrare, con l’obiettivo di provare a recuperare gli scritti di Moro,
sperando fossero nell’appartamento e poi provocare il danno d’acqua che
fece cadere la base.
Tuttavia
nel corso della fantomatica seduta spiritica emerse un’indicazione
molto diversa dalla strada dove qualche settimana dopo venne rinvenuta
la base brigatista. Nell’appunto manoscritto, subito girato al capo
della polizia Parlato, redatto da Luigi Zanda, collaboratore del
ministro dell’Interno Cossiga, che il 5 aprile ricevette la segnalazione
da Umberto Cavina, addetto stampa di Benigno Zaccagnini, a suo volta
informato il giorno precedente da Romano Prodi di passaggio a Roma, è
annotato: «Caro dottore, ecco le indicazioni di cui s’è detto: Via
Monreale 28, scala D, int. 1, piano terreno, Milano; lungo la statale
74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località Gradoli,
casa isolata con cantina».
Per giustificare questa incongruenza, Gotor inventa la categoria del “depistaggio a fini informativi”, attribuendo a Piperno una sofisticata strategia che mescolando vero e falso avrebbe mirato a «provocare il fallimento dell’azione Moro senza far arrestare Moretti, che era un avversario politico con una diversa prospettiva rivoluzionaria, non un nemico da tradire», per facilitare la riuscita della soluzione negoziata del sequestro nei giorni in cui il vertice socialista si era attivato in questa direzione.
Per giustificare questa incongruenza, Gotor inventa la categoria del “depistaggio a fini informativi”, attribuendo a Piperno una sofisticata strategia che mescolando vero e falso avrebbe mirato a «provocare il fallimento dell’azione Moro senza far arrestare Moretti, che era un avversario politico con una diversa prospettiva rivoluzionaria, non un nemico da tradire», per facilitare la riuscita della soluzione negoziata del sequestro nei giorni in cui il vertice socialista si era attivato in questa direzione.
Abbiamo chiesto a
Franco Piperno come ci si sente ad essere raffigurato nei panni di una
sorta di Cagliostro, burattinaio che tira le fila di un gioco
spregiudicato.
Penso che sia la personalità irrisolta di Gotor ad assegnarmi un ruolo del genere; non a caso dagli scrittori di libri polizieschi il Nostro viene ritenuto uno storico, mentre secondo gli storici siamo in presenza di un romanziere. In ogni caso, ad essere sincero, non posso certo dire che sia il prof. Gotor ad avermi calunniato di più. Ben prima dei suoi articoli sul Fatto Quotidiano, sul finire degli anni ‘70, mi hanno fatto decisamente di peggio, sono stato accusato, dalla Procura di Padova e poi da quella di Roma, oltre che del delitto Moro, di ben 20 omicidi e 15 rapine; e, per non farmi mancare niente, ci si mise anche la giornalista americana Clara Sterling: in un suo libro sull’Italia di quegli anni scrisse che la Cia aveva accertato come io fossi un agente segreto comunista, educato alla guerriglia a Praga, frequentando i corsi tenuti nella capitale cecoslovacca direttamente dal Kgb.
Penso che sia la personalità irrisolta di Gotor ad assegnarmi un ruolo del genere; non a caso dagli scrittori di libri polizieschi il Nostro viene ritenuto uno storico, mentre secondo gli storici siamo in presenza di un romanziere. In ogni caso, ad essere sincero, non posso certo dire che sia il prof. Gotor ad avermi calunniato di più. Ben prima dei suoi articoli sul Fatto Quotidiano, sul finire degli anni ‘70, mi hanno fatto decisamente di peggio, sono stato accusato, dalla Procura di Padova e poi da quella di Roma, oltre che del delitto Moro, di ben 20 omicidi e 15 rapine; e, per non farmi mancare niente, ci si mise anche la giornalista americana Clara Sterling: in un suo libro sull’Italia di quegli anni scrisse che la Cia aveva accertato come io fossi un agente segreto comunista, educato alla guerriglia a Praga, frequentando i corsi tenuti nella capitale cecoslovacca direttamente dal Kgb.
Una spia dell’Est? Proprio tu che conoscevi i dirigenti del Kor, il Comitato di difesa degli operai polacchi?
Già, li incontrai tutti insieme nel dicembre del 1978: Jacek Kuron, Adam Michnik e gli altri. Non a caso ci fu poi chi, per compensare, provò a dire che lavoravo per la Cia perché ero riparato in Canada.
Già, li incontrai tutti insieme nel dicembre del 1978: Jacek Kuron, Adam Michnik e gli altri. Non a caso ci fu poi chi, per compensare, provò a dire che lavoravo per la Cia perché ero riparato in Canada.
Ma non ti era stato rifiutato l’ingresso quando su invito del Mit di Cambridge ti eri recato negli Usa?
Fu quella la ragione per cui poi mi ritrovai nel Quebec, in Canada, tra i pellerossa.
Fu quella la ragione per cui poi mi ritrovai nel Quebec, in Canada, tra i pellerossa.
Quindi smentisci di aver mai parlato con Andreatta?
Faccio molta fatica a prendere sul serio ricostruzioni del genere. Sono arrivato all’università di Cosenza solo all’inizio del 1975, In precedenza ero docente al Politecnico di Milano. All’epoca il rettore dell’Unical era Cesare Roda, Andreatta aveva l’asciato l’università calabrese l’anno precedente; e nel 1976 venne eletto per la prima volta in Parlamento. Non ho mai avuto occasione di conoscerlo. Mi par di capire che Gotor non si sia per nulla informato prima di scrivere.
Faccio molta fatica a prendere sul serio ricostruzioni del genere. Sono arrivato all’università di Cosenza solo all’inizio del 1975, In precedenza ero docente al Politecnico di Milano. All’epoca il rettore dell’Unical era Cesare Roda, Andreatta aveva l’asciato l’università calabrese l’anno precedente; e nel 1976 venne eletto per la prima volta in Parlamento. Non ho mai avuto occasione di conoscerlo. Mi par di capire che Gotor non si sia per nulla informato prima di scrivere.
E via Gradoli?
Una vecchia nota di Ansoino Andreassi, funzionario dell’Ucigos, del 6
luglio 1979 riferiva, non sulla base di documenti amministrativi
accertati ma di voci provenienti da fonti riservate, originate dal Sismi
e dalla questura di Genova, che avresti conosciuto fin dal 1969, al
Cnen della Casaccia, Luciana Bozzi, proprietaria dell’appartamento di
via Gradoli. Per tenere in piedi le sue congetture, in barba all’Ucigos,
Gotor sposta addirittura la Bozzi a Frascati mentre l’informativa della
polizia la colloca alla Casaccia, oltretutto il contratto fu stipulato
da Moretti col marito della Bozzi, anch’egli coproprietario.
Infatti, ho fatto la mia tesi e poi la specializzazione in fisica della fusione nucleare al Cnen di Frascati, non ho mai frequentato la Casaccia e il nome di Luciana Bozzi non mi dice assolutamente nulla.
Infatti, ho fatto la mia tesi e poi la specializzazione in fisica della fusione nucleare al Cnen di Frascati, non ho mai frequentato la Casaccia e il nome di Luciana Bozzi non mi dice assolutamente nulla.
La
seconda commissione Moro, presieduta da Giuseppe Fioroni, allude ad un
tuo ruolo di supervisore del sequestro. Un suo consulente, il colonnello
dei carabinieri Massimo Giraudo, afferma che la mattina del 16 marzo
dalle finestre dell’abitazione della signora Birgit Kraatz, descritta
come un’esponente del gruppo sovversivo tedesco «2 giugno», in via dei
Massimi 91, avresti osservato i movimenti del commando brigatista
verificando che tutto procedesse come previsto: il parcheggio delle
vetture nel garage della palazzina dello Ior e il trasbordo di Moro
nell’attico. Siamo al delirio?
Anche oltre! Birgit Kraatz era una giornalista assolutamente ben introdotta nei circoli della stampa e del mondo politico romano. L’ho conosciuta nei primi anni ‘70 in occasione di una intervista sul movimento studentesco romano rilasciata per Der Spiegel, il giornale di cui in quegli anni era corrispondente. Niente più lontano dalla intelligenza e dalla sensibilità della signora Kraatz il ruolo di sorvegliante delle prestazioni dei brigatisti.
Anche oltre! Birgit Kraatz era una giornalista assolutamente ben introdotta nei circoli della stampa e del mondo politico romano. L’ho conosciuta nei primi anni ‘70 in occasione di una intervista sul movimento studentesco romano rilasciata per Der Spiegel, il giornale di cui in quegli anni era corrispondente. Niente più lontano dalla intelligenza e dalla sensibilità della signora Kraatz il ruolo di sorvegliante delle prestazioni dei brigatisti.
In effetti aver
tirato in ballo il nome della signora Kraatz appare l’ennesimo
incredibile infortunio di questa commissione. Non solo è iscritta alla
Spd dal ’74, e di fatto ha curato i rapporti della socialdemocrazia
tedesca con la sinistra italiana, in modo particolare col Pci,
intervistando nel 1976 lo stesso Berlinguer (è citata persino nella
biografia scritta da Chiara Valentini), ma è stata corrispondente per
più di trent’anni oltre che di Der Spiegel, dello Stern e ZDF, ha scritto un libro intervista con Willy Brandt, pubblicato da Editori riuniti.
C’è
un episodio molto importante che smentisce alla radice quanto afferma
Gotor: poche settimane dopo la morte di Moro hai incontrato Mario
Moretti. Perché?
La richiesta era venuta dalle Br; l’incontro, come ho riferito alla Commissione presieduta dall’on. Pellegrino, si svolse in un appartamento del quartiere Prati.
La richiesta era venuta dalle Br; l’incontro, come ho riferito alla Commissione presieduta dall’on. Pellegrino, si svolse in un appartamento del quartiere Prati.
In commissione
Stragi ad una precisa domanda dicesti che ad aprire la porta era stato
un maggiordomo. L’episodio suggestionò molto la fantasia dei commissari:
il Presidente Pellegrino vi intravide la presenza di «inquietanti zone di contiguità» che negli anni successivi hanno alimentato la pubblicistica cospirazionista.
Il maggiordomo con i guanti era un modo metaforico per sottolineare la qualità alto-borghese dell’appartamento.
Il maggiordomo con i guanti era un modo metaforico per sottolineare la qualità alto-borghese dell’appartamento.
Insomma li hai presi in giro e loro ci hanno creduto. Cosa volevano sapere le Br?
Moretti ed i suoi avevano chiesto d’incontrarmi con urgenza per ricostruire l’insuccesso della trattativa, ma anche per chiarire se ci fosse stata una nostra influenza esterna sui loro militanti provenienti da Potop. Volevano capire se la vicenda della trattativa fosse stata una nostra costruzione per orientare il sequestro. Nonostante queste premesse, la discussione si concentrò subito sul silenzio di Fanfani. Volevano capire perché il presidente del Senato non parlò il 7 maggio smentendo l’impegno preso. Lì mi resi conto di quanto le Brigate rosse avessero preso sul serio quei segnali di apertura e capii che il sequestro avrebbe potuto avere un esito diverso se solo ci fosse stata quella dichiarazione annunciata.
Moretti ed i suoi avevano chiesto d’incontrarmi con urgenza per ricostruire l’insuccesso della trattativa, ma anche per chiarire se ci fosse stata una nostra influenza esterna sui loro militanti provenienti da Potop. Volevano capire se la vicenda della trattativa fosse stata una nostra costruzione per orientare il sequestro. Nonostante queste premesse, la discussione si concentrò subito sul silenzio di Fanfani. Volevano capire perché il presidente del Senato non parlò il 7 maggio smentendo l’impegno preso. Lì mi resi conto di quanto le Brigate rosse avessero preso sul serio quei segnali di apertura e capii che il sequestro avrebbe potuto avere un esito diverso se solo ci fosse stata quella dichiarazione annunciata.
Come sei finito in questa storia?
In realtà all’inizio furono Scialoia e Mieli a contattarmi per conto di Livio Zanetti, che conoscevo perché l’Espresso da lui diretto aveva seguito tutto il ‘68. Zanetti mi fece capire che c’era una forte insistenza dei socialisti per aprire una trattativa. Fu lui a mettermi in contatto con Signorile, vice segretario del Psi che si muoveva per conto di Craxi. Il segretario non voleva esporsi direttamente, lo incontrai personalmente solo alcune settimane dopo la morte di Moro. Inizialmente ero restio a farmi coinvolgere malgrado fossi assolutamente consapevole che l’eventuale uccisione di Moro avrebbe provocato una repressione tragicamente liberticida per tutti i movimenti antagonisti di quegli anni. Per altro, il mio trasferimento in Calabria mi aveva allontanato dalla militanza politica; oltre ad insegnare, dirigevo un dipartimento universitario sicché mi restava poco o nessun tempo per l’attività politica extra-accademica. Poi, a metà aprile accadde qualcosa destinata a mutare non solo il mio umore ma la mia vita stessa: Fiora Pirri Ardizzone, allora mia moglie, venne arrestata ed accusata di aver partecipato al rapimento di Moro in via Fani ed all’uccisione degli uomini della scorta. Un testimone aveva scambiato il suo volto con quello di una donna del commando, quando in realtà quella mattina Fiora partecipava ad una assemblea universitaria a Cosenza. Di conseguenza riorganizzai da cima a fondo la mia agenda, rimandai l’impegno di “visiting professor” assunto con il Mit di Boston e mi lasciai afferrare dal dramma che, per altro, l’intero nostro Paese stava vivendo. Cosi, una settimana dopo quell’arresto, mi recai a Roma per incontrare Zanetti e poi Signorile. A maggio il direttore dell’Espresso mi chiese un articolo sulla trattativa che ebbe un destino singolare: apparso il giorno del ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani, dopo 5 ore fu ritirato dalle edicole e inviato al macero. Nel dicembre del 1978 ripresi e sviluppai quel testo che uscì su Pre-print col titolo «Dal terrorismo alla guerriglia».
In realtà all’inizio furono Scialoia e Mieli a contattarmi per conto di Livio Zanetti, che conoscevo perché l’Espresso da lui diretto aveva seguito tutto il ‘68. Zanetti mi fece capire che c’era una forte insistenza dei socialisti per aprire una trattativa. Fu lui a mettermi in contatto con Signorile, vice segretario del Psi che si muoveva per conto di Craxi. Il segretario non voleva esporsi direttamente, lo incontrai personalmente solo alcune settimane dopo la morte di Moro. Inizialmente ero restio a farmi coinvolgere malgrado fossi assolutamente consapevole che l’eventuale uccisione di Moro avrebbe provocato una repressione tragicamente liberticida per tutti i movimenti antagonisti di quegli anni. Per altro, il mio trasferimento in Calabria mi aveva allontanato dalla militanza politica; oltre ad insegnare, dirigevo un dipartimento universitario sicché mi restava poco o nessun tempo per l’attività politica extra-accademica. Poi, a metà aprile accadde qualcosa destinata a mutare non solo il mio umore ma la mia vita stessa: Fiora Pirri Ardizzone, allora mia moglie, venne arrestata ed accusata di aver partecipato al rapimento di Moro in via Fani ed all’uccisione degli uomini della scorta. Un testimone aveva scambiato il suo volto con quello di una donna del commando, quando in realtà quella mattina Fiora partecipava ad una assemblea universitaria a Cosenza. Di conseguenza riorganizzai da cima a fondo la mia agenda, rimandai l’impegno di “visiting professor” assunto con il Mit di Boston e mi lasciai afferrare dal dramma che, per altro, l’intero nostro Paese stava vivendo. Cosi, una settimana dopo quell’arresto, mi recai a Roma per incontrare Zanetti e poi Signorile. A maggio il direttore dell’Espresso mi chiese un articolo sulla trattativa che ebbe un destino singolare: apparso il giorno del ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani, dopo 5 ore fu ritirato dalle edicole e inviato al macero. Nel dicembre del 1978 ripresi e sviluppai quel testo che uscì su Pre-print col titolo «Dal terrorismo alla guerriglia».
Quello che
riprendeva il verso di Yeats, «coniugare insieme la terribile bellezza
del 12 marzo del ‘77 per le strade di Roma con la geometrica potenza
dispiegata in via Fani»?
Sì,
nel testo ragionavo cercando di spiegare perché era meglio liberare
Moro. Al tempo stesso tentavo di aprire un discorso sulla lotta armata
legandola al carattere insurrezionale della manifestazione del 12 marzo.
Quel giorno ero di passaggio in città perché dovevo raggiungere la
fiera di Lipsia, allora nella Ddr, dove avevo un appuntamento con degli
armeni per acquistare un computer necessario al Dipartimento di Fisica
che allora dirigevo. Per inciso la “macchina socialistica” costava
all’epoca un decimo della sua analoga “capitalistica”, ma occupava uno
spazio venti volte maggiore – insomma fu un viaggio inutile, salvo il
fatto che per caso mi offrì l’occasione, nel pomeriggio di quel fatale
giorno di marzo, di partecipare ad un vero e proprio tentativo
insurrezionale. Nel centro storico di Roma, tutti i negozi e perfino i
bar erano chiusi: per le strade ed i vicoli si svolgevano durissimi
scontri tra manifestanti e gendarmi, scontri nei quali gli abitanti, per
esempio quelli di Campo de Fiori, fraternizzavamo attivamente con i
dimostranti. Ricordo un fruttivendolo che aveva riaperto il suo negozio
per dare rifugio ai feriti; così come un’armeria su Lungotevere presa
d’assalto e saccheggiata dalla folla in tumulto. Prima di quel
pomeriggio di marzo, nei miei non brevi anni di militanza, non avevo mai
partecipato o anche solo assistito ad una esperienza di ribellione
sociale, per dir così, allo stato nascente. Da qui l’immagine sulla
«terribile bellezza» che riprendeva gli scontri della Pasqua irlandese
del 1916.
Secondo te perché Fanfani non parlò?
Ritengo che ci fu un intervento molto forte del Pci, una pressione che fece venir meno l’impegno preso. Io penso che Fanfani avesse informato il Pci del suo intento. Non poteva fare diversamente anche per il ruolo istituzionale che rivestiva. Signorile non aveva parlato solo con Craxi ma anche con altri politici. Di sicuro ne era al corrente il Presidente della Repubblica Leone, il suo addetto militare, ovviamente i vertici socialisti e del partito democristiano. Lo sapevano in troppi perché la cosa non fosse circolata e pervenuta al Pci.
Ritengo che ci fu un intervento molto forte del Pci, una pressione che fece venir meno l’impegno preso. Io penso che Fanfani avesse informato il Pci del suo intento. Non poteva fare diversamente anche per il ruolo istituzionale che rivestiva. Signorile non aveva parlato solo con Craxi ma anche con altri politici. Di sicuro ne era al corrente il Presidente della Repubblica Leone, il suo addetto militare, ovviamente i vertici socialisti e del partito democristiano. Lo sapevano in troppi perché la cosa non fosse circolata e pervenuta al Pci.
In effetti il 2
di maggio Berlinguer aveva visto Craxi e Balzamo. Durante l’incontro i
socialisti spiegarono che un modo possibile per salvare la vita di Moro
sarebbe stato, per esempio, la scarcerazione anche di un solo detenuto
politico con problemi di salute ed in regime di carcerazione preventiva.
Berlinguer era radicalmente contrario a qualsiasi concessione
favorevole ai brigatisti; piuttosto si mostrava, come un commissario
della polizia politica, interessato ad avere informazioni sui canali di
cui si avvalevano i socialisti e che li rendevano sicuri di una
possibile liberazione dell’ostaggio. In
ogni caso, bisogna pur dire che il tentativo dei socialisti, nel quale
fosti coinvolto e travolto, non riuscì e vinse il partito della «fermezza repubblicana», quello che aveva rimosso ogni autocritica e si mostrava disposto a sacrificare la vita di Moro.
In
un primo momento Fanfani si era mostrato disponibile ad intervenire
pubblicamente: Signorile lo aveva incontrato per la sua posizione
critica rispetto alla linea della fermezza ed aveva ricevuto
rassicurazioni. Alle Br giunse questa informazione: «Fanfani ha una
disponibilità ad ascoltare le richieste delle Br purché queste non
comportino inaccettabili violazioni della legalità». Ad esempio:
alleggerire le condizioni carcerarie, al limite della tortura, alle
quali erano sottoposti migliaia di detenuti politici. La domenica invece
parlò Bartolomei, credo ad Arezzo, dove pronunciò un bla bla
incomprensibile e inaccettabile a livello di senso comune. Noi che
eravamo della partita riuscimmo a percepire nelle sfumature di una frase
un esile messaggio. Ma non era questo il segnale atteso. Per i
brigatisti che si aspettavano una dichiarazione chiara e netta quel
discorso suonò come un rifiuto.
Signorile ha
raccontato che davanti a lui Fanfani aveva dato istruzioni telefoniche a
Bartolomei su cosa dire mentre si era riservato di prendere la parola
nella riunione di Direzione prevista il 9 maggio. Ma alla fine non disse
nulla neanche in quella sede, basta leggere i suoi diari. La notizia
del ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani arrivò dopo il suo
intervento.
Risulta anche a me. Credo che questo repentino cambio di atteggiamento riassuma il nodo politico della vicenda: Fanfani fece un passo indietro su pressione del Pci.
Risulta anche a me. Credo che questo repentino cambio di atteggiamento riassuma il nodo politico della vicenda: Fanfani fece un passo indietro su pressione del Pci.
* da Il Dubbio 26 aprile 2018
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