I renziani rincarano: "E se anche il suo fosse amore sincero, non sarebbe corrisposto". Verso il no in direzione nazionale Dem.
"Esito positivo, dialogo avviato", dice
Roberto Fico al Quirinale mentre, dopo aver riferito a Sergio
Mattarella, 'impacchetta' davanti alle telecamere il suo mandato
esplorativo di una maggioranza tra Pd e M5s. Ma dalle parti di Matteo
Renzi, che anche oggi è rimasto nella sua Firenze, il dialogo con il M5s
è finito, insieme al mandato del presidente della Camera. Chiuso, ammesso che sia mai stato aperto.
Fico è l'ultimo a seminare stupore e irritazione nel fronte Democratico
contrario alla trattativa. Prima di lui, c'è stato Luigi Di Maio. La
giornata insomma rafforza le ragioni del no in un Pd che si avvia a
discutere nella direzione nazionale del 3 maggio con un esito che al
momento appare scontato: nessun ponte con il M5s. Anzi, i renziani
scommettono che da lunedì, all'indomani delle regionali in Friuli, Luigi
Di Maio tornerà al suo primo 'amore' di questa crisi istituzionale:
Matteo Salvini.
I Dem contrari all'accordo con i pentastellati si ringalluzziscono
ascoltando il discorso del leader del M5s alla Camera, subito dopo il
suo turno di consultazioni con Fico. Ci ritrovano tutte le sponde che
vogliono. Soprattutto quando Di Maio torna a criticare l'operato dei
governi Renzi e Gentiloni, sottolineando che "non ci si può fossilizzare
sull'idea di difendere per partito preso tutto quello che hanno fatto i
governi in questi anni: dal voto del 4 marzo sono emerse delle
richieste chiare sui problemi del precariato, sugli insegnanti che
devono fare mille chilometri per andare a lavorare, sulle grandi opere
inutili".
Qui si infastidiscono non solo gli ultrà del no al M5s. Ma anche
mediatori come il coordinatore della segreteria Dem Lorenzo Guerini, che
ci dice: "Forse Di Maio pensa di essere ancora in campagna elettorale e
cerca di rassicurare la pancia dei suoi. Per me l'impianto riformatore
dei governi Renzi e Gentiloni è stato un valore per il nostro paese e
per quanto mi riguarda non potrà mai essere oggetto di abiure".
Fine della storia.
E poi c'è quell'attacco di Di Maio al "conflitto di interessi di Berlusconi", impostato in maniera tale da agitare i sospetti del Pd sul suo dialogo mai interrotto con Salvini. Qui si impensieriscono anche il reggente Maurizio Martina, Dario Franceschini e Piero Fassino, i capofila del 'partito del sì'. Certo, loro non mollano, ci sperano ancora. Dopo il secondo round di consultazioni con Fico, Martina esordisce parlando di "passi in avanti" in attesa della direzione del 3 maggio.
Fassino dice che "il no a prescindere non è una posizione
politicamente utile, la politica è fatta di confronto. E poi quali
prospettive apre? Ricacciamo nuovamente Di Maio nelle braccia di Salvini
favorendone, noi, un governo M5S-Lega?".
Cesare Damiano, altro esponente del fronte aperturista, evidenzia che non tutto è perduto: "Abbiamo poche buone notizie ma le abbiamo – dice - la prima è che, su richiesta di Martina, Di Maio abbia dichiarato di aver chiuso il 'forno' di Salvini. La seconda, è la convocazione della Direzione del Pd il 3 maggio, dopo l'improvvida cancellazione dell'Assemblea Nazionale, per decidere se proseguire o meno il confronto. Io penso che non possiamo sottrarci al dialogo, ovviamente partendo dai nostri contenuti. La cosa più difficile non è la stesura di un programma, se esiste la volontà di arrivare a un accordo: la questione, come si dice nel nostro linguaggio, è esclusivamente politica".
Ecco, appunto. Chi dice no urla più forte, convinto di avere la maggioranza in direzione: oltre 110 su un totale di 209. E Renzi e i suoi hanno anche ottenuto che la direzione si tenga il 3 maggio e non prima: Martina aveva chiesto di convocarla già lunedì 30 aprile, per bruciare i tempi e bloccare un'eventuale nuova interlocuzione tra Di Maio e Salvini. Niente. Questo è Michele Anzaldi, deputato vicino a Renzi, area di competenza: la Rai e i media.
Poi, quando Fico esce nella Loggia d'onore del Quirinale per parlare con la stampa dopo il colloquio con il presidente della Repubblica, il fronte del no nel Pd si scatena. "L'ottimismo del presidente Fico è sorprendente - dice il capogruppo al Senato Andrea Marcucci - Con la logica del fatto compiuto non si va da nessuna parte. La direzione del Pd, che è una cosa seria, dovrà decidere se aprire o meno un confronto con il Movimento 5 Stelle. A questo proposito va ricordato che le distanze programmatiche erano e restano profonde".
Da lunedì, scommettono nel Pd, parte di nuovo il film già visto nei due mesi trascorsi dal voto: il dialogo tra Di Maio e Salvini. E il leader della Lega sembra dare ragione a questo ragionamento quando dice: "Io non chiudo la porta in faccia a nessuno, spero che la telenovela tra Renzi e Di Maio non duri troppo e secondo me sarebbe un governo irrispettoso per gli italiani. Quando avranno finito il loro amoreggiamento, se gli andasse male come io penso, io ci sono".
Sembra tutto scritto, anche se Mattarella si prenderà dei giorni di riflessione in attesa di sviluppi da parte del Pd e del M5s. "Se anche quello di Di Maio fosse amore sincero verso il Pd, non sarebbe corrisposto", rimarcano dalla cerchia del segretario dimissionario Renzi.
E nel partito già si scaldano i motori per il congresso, che evidentemente viaggia insieme ad un'accelerazione sul voto anticipato che già si scorge all'orizzonte, almeno come possibilità. Il governatore Nicola Zingaretti interviene sul dibattito nazionale con un blog su Huffpost: "Il modo migliore per non essere subalterni ai 5 Stelle è vincere, sconfiggerli alle elezioni. Il modo più eclatante per essere subalterni è diventare come loro; mutuare le loro forme, il loro modo di essere: come a volte sembra stia accadendo".
Perché se la direzione si concludesse con una spaccatura e i no prevalessero sui sì, ne uscirebbe sconfitta la linea di Martina e la sua reggenza decadrebbe, chiaro. Il presidente Matteo Orfini, uno dei quattro delegati Pd ai colloqui con Fico insieme ai capigruppo Delrio e Marcucci e lo stesso Martina, spera in una soluzione unitaria. "Io sono contrario ad un accordo con M5s, per me Di Maio è come Salvini – dice in Transatlantico alla Camera - ma in Direzione ci confronteremo, la convochiamo apposta. E spero in un esito unitario".
E poi c'è quell'attacco di Di Maio al "conflitto di interessi di Berlusconi", impostato in maniera tale da agitare i sospetti del Pd sul suo dialogo mai interrotto con Salvini. Qui si impensieriscono anche il reggente Maurizio Martina, Dario Franceschini e Piero Fassino, i capofila del 'partito del sì'. Certo, loro non mollano, ci sperano ancora. Dopo il secondo round di consultazioni con Fico, Martina esordisce parlando di "passi in avanti" in attesa della direzione del 3 maggio.
Cesare Damiano, altro esponente del fronte aperturista, evidenzia che non tutto è perduto: "Abbiamo poche buone notizie ma le abbiamo – dice - la prima è che, su richiesta di Martina, Di Maio abbia dichiarato di aver chiuso il 'forno' di Salvini. La seconda, è la convocazione della Direzione del Pd il 3 maggio, dopo l'improvvida cancellazione dell'Assemblea Nazionale, per decidere se proseguire o meno il confronto. Io penso che non possiamo sottrarci al dialogo, ovviamente partendo dai nostri contenuti. La cosa più difficile non è la stesura di un programma, se esiste la volontà di arrivare a un accordo: la questione, come si dice nel nostro linguaggio, è esclusivamente politica".
Ecco, appunto. Chi dice no urla più forte, convinto di avere la maggioranza in direzione: oltre 110 su un totale di 209. E Renzi e i suoi hanno anche ottenuto che la direzione si tenga il 3 maggio e non prima: Martina aveva chiesto di convocarla già lunedì 30 aprile, per bruciare i tempi e bloccare un'eventuale nuova interlocuzione tra Di Maio e Salvini. Niente. Questo è Michele Anzaldi, deputato vicino a Renzi, area di competenza: la Rai e i media.
Poi, quando Fico esce nella Loggia d'onore del Quirinale per parlare con la stampa dopo il colloquio con il presidente della Repubblica, il fronte del no nel Pd si scatena. "L'ottimismo del presidente Fico è sorprendente - dice il capogruppo al Senato Andrea Marcucci - Con la logica del fatto compiuto non si va da nessuna parte. La direzione del Pd, che è una cosa seria, dovrà decidere se aprire o meno un confronto con il Movimento 5 Stelle. A questo proposito va ricordato che le distanze programmatiche erano e restano profonde".
Da lunedì, scommettono nel Pd, parte di nuovo il film già visto nei due mesi trascorsi dal voto: il dialogo tra Di Maio e Salvini. E il leader della Lega sembra dare ragione a questo ragionamento quando dice: "Io non chiudo la porta in faccia a nessuno, spero che la telenovela tra Renzi e Di Maio non duri troppo e secondo me sarebbe un governo irrispettoso per gli italiani. Quando avranno finito il loro amoreggiamento, se gli andasse male come io penso, io ci sono".
Sembra tutto scritto, anche se Mattarella si prenderà dei giorni di riflessione in attesa di sviluppi da parte del Pd e del M5s. "Se anche quello di Di Maio fosse amore sincero verso il Pd, non sarebbe corrisposto", rimarcano dalla cerchia del segretario dimissionario Renzi.
E nel partito già si scaldano i motori per il congresso, che evidentemente viaggia insieme ad un'accelerazione sul voto anticipato che già si scorge all'orizzonte, almeno come possibilità. Il governatore Nicola Zingaretti interviene sul dibattito nazionale con un blog su Huffpost: "Il modo migliore per non essere subalterni ai 5 Stelle è vincere, sconfiggerli alle elezioni. Il modo più eclatante per essere subalterni è diventare come loro; mutuare le loro forme, il loro modo di essere: come a volte sembra stia accadendo".
Perché se la direzione si concludesse con una spaccatura e i no prevalessero sui sì, ne uscirebbe sconfitta la linea di Martina e la sua reggenza decadrebbe, chiaro. Il presidente Matteo Orfini, uno dei quattro delegati Pd ai colloqui con Fico insieme ai capigruppo Delrio e Marcucci e lo stesso Martina, spera in una soluzione unitaria. "Io sono contrario ad un accordo con M5s, per me Di Maio è come Salvini – dice in Transatlantico alla Camera - ma in Direzione ci confronteremo, la convochiamo apposta. E spero in un esito unitario".
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