Lo sciopero degli operai blocca lo stabilimento Ilva di Taranto. “Registriamo la fermata totale delle acciaierie”, hanno annunciato i coordinatori di fabbrica e le rappresentante di Fim, Fiom e Uilm commentando lo sciopero di 24 ore che si svolge da lunedì mattina per richiamare l’attenzione sulle problematiche della sicurezza legate ai mancati interventi di manutenzione. Anche se è scontro con l’azienda sulla percentuale di adesione, ferma al 34,8% nel primo turno, secondo Ilva, e invece tra il 70 e l’80 per cento ad avviso dei sindacati calcolando i lavoratori in cassa integrazione e coloro che hanno usufruito di ferie o hanno presentato il certificato di malattia. E al di là di numeri, sostengono, “l’obiettivo di fermare la produzione nelle acciaierie nella giornata dello sciopero”.

Traguardo raggiunto, insomma, e “messaggio chiaro ad Ilva in amministrazione straordinaria e Am InvestCo“. Occupazione, sicurezza, ambiente e salute, spiegano, “sono i temi che il sindacato unitariamente sta affrontando con responsabilità e deve essere chiaro che la stessa Mittal deve rivedere il proprio piano, condizione necessaria per riaprire la trattativa, per la salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori anche dell’indotto”. Il 2 maggio si terrà un consiglio di fabbrica unitario con le Rsu e “saranno decise e programmate – concludono le organizzazioni sindacali – assemblee con i lavoratori e nuove iniziative di mobilitazione“.
Da mesi, dice il segretario provinciale della Fim Cisl Taranto-Brindisi, Valerio D’Alò, “denunciamo l’assenza totale di manutenzioni ordinarie e straordinarie” e “non possiamo continuare a lavorare in queste condizioni”. Per D’Alò, “oggi è il giorno in cui la misura è colma sul serio: i lavoratori non possono più aspettare e il sindacato nemmeno. Sono state proclamate queste 24 ore di sciopero proprio perché il segnale che vogliamo dare è che gli impianti, chiunque li debba gestire, questi deve garantire la sicurezza di chi lavora dentro e di chi è fuori in città”.
Eppure il momento è critico, perché la trattativa tra i sindacati e AmInvestco, la cordata di Mittal, Gruppo Marcegaglia e Banca Intesa che si è aggiudicata l’Ilva, è a un punto morto. Il governo ha deciso di sospendere il tavolo perché gli acquirenti – per la seconda volta – sono tornati a parlare, con “una tattica negoziale fessa” secondo il ministro Carlo Calenda, di 8.500 occupati nel 2023. Cioè 1.500 in meno rispetto agli impegni presi in fase di contrattazione privata e oltre 5mila in meno rispetto alla forza lavoro attuale, che i sindacati vogliono che venga mantenuta.
Per poter proseguire la trattativa, è la posizione unitaria dei rappresentanti dei lavoratori, è necessario che ArcelorMittal modifichi radicalmente l’impostazione sui numeri. “Quello che loro hanno stabilito col governo (cioè i 10mila riassunti, ndr) per noi può rappresentare soltanto un punto di partenza su cui trattare – aggiunge D’Alò – Noi chiediamo la copertura per tutti i 14mila dipendenti del gruppo e che nessuno perda il posto di lavoro. Copertura che può passare anche dalle uscite volontarie incentivate. È importante quindi che il governo prenda i suoi impegni su quello che dobbiamo fare”.