lunedì 30 aprile 2018

Mafia/e. Confraternite, battesimi e cresime di mafia.

I mafiosi hanno sempre preteso di avere una loro religiosità, che li inserisce organicamente dentro un’identità culturale legata a un determinato territorio. Si tratta di una religiosità asservita ai propri disegni di potere usata per accrescere la propria legittimazione sociale.


repubblica.it Michele Pennisi

IMG-20180127-WA0009 La mafia è una religione capovolta con una sacralità atea che rende schiave le persone inserendole in un circolo diabolico dal quale è difficile uscire.
I mafiosi, indifferenti alle verità di fede, in un ambiente in cui il sentimento e la pratica religiosa sono ancora consistenti e la religione cattolica è maggioritaria e radicata nella cultura di un popolo, mostrano interesse per i simboli e le manifestazioni religiose. Essi pretendono di dimostrare che la mafia è espressione autentica di quelle zone, anche attraverso i gesti di devozione dei loro capi, che non si pongono alcun problema sull’evidente contrasto fra quei simboli e la coerenza nella vita quotidiana.
Quest’atteggiamento schizofrenico crea notevole confusione e ambiguità. In tal modo la fede cattolica e i suoi segni più sacri sono resi strumenti di ostentazione di potere, di acquisizione di consenso sociale e di onorabilità ecclesiale.
Il loro interesse per dei riti religiosi cresce in alcune circostanze: per esempio quando la chiesa diventa il luogo nel quale celebrare eventi significativi riguardanti gli esponenti del clan, come i matrimoni o i battesimi dei figli o dei nipoti, e giunge all’apice col funerale.

In realtà queste manifestazioni pseudo religiose non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento dei valori evangelici. Bisogna quindi analizzare criticamente il fatto che, spesso, vari mafiosi si ritengono membri della chiesa a pieno titolo, nient'affatto fuori della sua comunione, nonostante la loro appartenenza a quella “struttura di peccato” che è la cosca mafiosa.
Per questo motivo i vescovi siciliani nel 1994 dichiaravano che “siffatte manifestazioni”di devozione meramente esteriore “dovranno essere considerate strumentali e perciò false ed esse stesse peccaminose”.  In una nota pastorale del 24 dicembre 2014 i vescovi calabresi condannano come atea e anticristiana la ’Ndrangheta e denunciano l’”uso distorto e strumentale di riti religiosi” che, surrogato del sacro, si pongono “come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’unico vero Dio”. Nella stessa direzione, Papa Francesco, durante l'udienza i dei fedeli della diocesi di Cassano allo Ionio il 21 febbraio 2015 ha affermato che i “gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita”. Perché questi pronunciamenti diventino effettivi, si richiede un’estrema vigilanza da parte dei pastori della chiesa, affinché le espressioni della religiosità popolare non diventino il set su cui i mafiosi possano inscenare una rappresentazione del loro potere intimidatorio e di seduzione verso i giovani.
Per questo nella mia diocesi ho emesso dei decreti contenenti la proibizione per i mafiosi a fare da padrini per il battesimo e la cresima e a essere membri delle confraternite e delle norme per disciplinare  le processioni. Bisogna che le comunità di fede, a partire dalla fedeltà al Vangelo, si rendano protagoniste di una loro lotta alle mafie e dello sviluppo di una teologia della liberazione nei confronti di un’organizzazione, che rende schiavi di un potere basato sulla violenza e l’ingiustizia, ossia sull’esatto opposto dell’autentica fede.
La resistenza alla mafia esige un rinnovato impegno educativo che porti a un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, per non fare del denaro e della ricerca del potere gli idoli cui sacrificare tutto a partire dalla vita delle persone.

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