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La Cassazione annulla la sentenza della Corte d’Appello di Torino riguardo alle giornate di mobilitazione del movimento No Tav dell’estate 2011: una assoluzione, eliminazione di alcuni capi di imputazione per 7 imputati, con conseguente richiesta di rideterminazione (al ribasso) delle pene, e processo da rifare interamente per i restanti 26 imputati
Giornata nera per la Procura
di Torino e spiragli, forse, sul fronte giudiziario, per gli attivisti
del movimento No Tav sotto processo per le mobilitazioni popolari del 27
giugno e del 3 luglio 2011. Crolla infatti quasi interamente il teorema
giudiziario della Procura di Torino contro il movimento No Tav
costruito negli ultimi vent’anni dall’ex procuratore capo Gian Carlo
Caselli e poi portato avanti dai suoi fedelissimi successori, i
pubblici ministeri Padalino e Rinaudo. E l’impianto accusatorio naufraga
proprio nel Processo con la “P” maiuscola, quello riguardante gli
scontri avvenuti in seguito allo sgombero della Libera Repubblica della
Maddalena. Un’operazione di Polizia violentissima, ricordiamo, in cui
furono lanciati in poche ore più lacrimogeni che al g8 di Genova (molti
ad altezza d’uomo), vennero guidate ruspe a folli velocità contro le
barricate (e gli attivisti che le difendevano) e vennero operati diversi
abusi dalle forze di Polizia, tutti documentati, ma sistematicamente
ben ignorati dalla procura torinese. Magistrati che invece hanno
decisamente preferito criminalizzare i manifestanti che nel corso degli
anni si sono opposti, in diverse forme, alla costruzione della più grande, inutile e dannosa opera
di questo paese: la linea ad alta velocità/alta capacità Torino –
Lione. Supportata dall’immancabile campagna mediatica diligentemente
portata avanti dagli organi di stampa (Repubblica, Corriere e Stampa in primis),
la Procura di Torino guidata da Caselli ha messo infatti in pratica
quello che può definirsi a tutti gli effetti un vero e proprio
accanimento giudiziario nei confronti del movimento No Tav.
Un’ostinazione, una fissazione volta a criminalizzare l’intero movimento
che nel corso degli ultimi vent’anni ha prodotto alcune “capriole
giudiziarie” regolarmente smontate alla prova dei fatti. Ne ricordiamo
solo alcune per rendere evidente la gravità dell’operato della procura
torinese: l’accusa di terrorismo per il danneggiamento di un compressore
all’interno del cantiere TAV, poi bocciata dalla stessa Cassazione; il
reiterato tentativo di introdurre reati associativi, mai andati in
porto; il continuo ricorso alla carcerazione preventiva (molto spesso
annullata dal Tribunale del Riesame) anche nel caso di reati minori
quale, ad esempio, l’occupazione simbolica di un’azienda coinvolta nei
lavori per il TAV (la Geovalsusa Srl); la richiesta di 40 anni (!) di
carcere per 12 attivisti coinvolti in un blocco autostradale di 20
minuti e così via… fino a risalire alla tragica vicenda di Sole e
Baleno, trovati impiccati nel 1998 mentre erano agli arresti per il 270
bis («associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico«) dal quale sarebbe poi stato prosciolto Silvano Pelissero,
arrestato insieme a loro.
Difficile quindi non definire accanimento non solo giudiziario, ma anche ideologico, il comportamento della Procura di Torino. Tuttavia, queste vicende non devono, purtroppo, sorprendere. In questo paese c’è infatti una tradizione ben consolidata nella costruzione di teoremi giudiziari contro i movimenti (Calogero 1979 docet) e Caselli non ha fatto altro che perpetrarla, da buona “Toga Rossa” (l’ex procuratore capo è d’altronde un habitué dei processi per terrorismo). È bene sottolineare però che questa condotta della procura torinese non è soltanto ascrivibile ad un chiaro posizionamento ideologico ostile. La difesa della costruzione del TAV rientra nella salvaguardia di un sistema di potere ben oliato, specchio di come da decenni le risorse di questo paese vengano drenate verso l’alto da una collusione fra attori politici (partiti e potentati locali in primis) ed economici (cooperative di ogni colore e colossi delle grandi opere), con l’essenziale contributo da parte di forze dell’ordine, magistratura e media mainstream. Per averne la conferma, è sufficiente volgere lo sguardo a quella che attualmente, in attesa del sorpasso del TAV, è la grande opera più costosa di sempre: il Mose.
Per tutte le motivazioni appena descritte, il pronunciamento della Cassazione che annulla la sentenza della Corte di Appello di Torino assume una rilevanza decisiva. In primo luogo, è la prima sconfessione pubblica (da parte della Cassazione!) dell’impianto accusatorio della Procura di Torino e, più in generale, vista l’importanza del processo, dell’intero operato recente di Caselli in materia. Inoltre, con la richiesta (accolta) del procuratore generale della Cassazione di non riconoscere i risarcimenti in favore dei sindacati di Polizia concessi in appello si evidenzia finalmente, anche se indirettamente e non formalmente, come il comportamento delle forze di Polizia non sia stato proprio ineccepibile, al contrario della strenua difesa degli agenti agitata nel processo d’Appello dal procuratore Saluzzo, il quale affermò che «l’intervento delle forze dell’ordine fu legittimo e non superò i limiti» di fronte alla «vera e propria azione militare messa in atto dagli imputati»… Infine – l’aspetto più importante della sentenza di ieri – gli imputati avranno di nuovo la possibilità di dibattere e argomentare le richieste di assoluzione «per aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale». A maggior ragione visto il documento ufficiale della Presidenza del Consiglio che riconosce come le previsioni passate di crescita del traffico merci con le quali si è da sempre giustificata la costruzione del TAV siano state del tutto smentite dai fatti (salvo poi affermare la volontà di proseguire nella costruzione dell’opera, seppur, forse, ridimensionata).
Sarebbe ora di mettere la parola fine sulla vicenda della Torino – Lione: chiudere i cantieri, bonificare l’area di Chiomonte e prosciogliere, una volta per tutte, gli imputati e le imputate alle prese con questi processi degni di uno Stato di Eccezione. E riconoscere finalmente che i No Tav hanno sempre avuto ragione. Da più di vent’anni.
Difficile quindi non definire accanimento non solo giudiziario, ma anche ideologico, il comportamento della Procura di Torino. Tuttavia, queste vicende non devono, purtroppo, sorprendere. In questo paese c’è infatti una tradizione ben consolidata nella costruzione di teoremi giudiziari contro i movimenti (Calogero 1979 docet) e Caselli non ha fatto altro che perpetrarla, da buona “Toga Rossa” (l’ex procuratore capo è d’altronde un habitué dei processi per terrorismo). È bene sottolineare però che questa condotta della procura torinese non è soltanto ascrivibile ad un chiaro posizionamento ideologico ostile. La difesa della costruzione del TAV rientra nella salvaguardia di un sistema di potere ben oliato, specchio di come da decenni le risorse di questo paese vengano drenate verso l’alto da una collusione fra attori politici (partiti e potentati locali in primis) ed economici (cooperative di ogni colore e colossi delle grandi opere), con l’essenziale contributo da parte di forze dell’ordine, magistratura e media mainstream. Per averne la conferma, è sufficiente volgere lo sguardo a quella che attualmente, in attesa del sorpasso del TAV, è la grande opera più costosa di sempre: il Mose.
Per tutte le motivazioni appena descritte, il pronunciamento della Cassazione che annulla la sentenza della Corte di Appello di Torino assume una rilevanza decisiva. In primo luogo, è la prima sconfessione pubblica (da parte della Cassazione!) dell’impianto accusatorio della Procura di Torino e, più in generale, vista l’importanza del processo, dell’intero operato recente di Caselli in materia. Inoltre, con la richiesta (accolta) del procuratore generale della Cassazione di non riconoscere i risarcimenti in favore dei sindacati di Polizia concessi in appello si evidenzia finalmente, anche se indirettamente e non formalmente, come il comportamento delle forze di Polizia non sia stato proprio ineccepibile, al contrario della strenua difesa degli agenti agitata nel processo d’Appello dal procuratore Saluzzo, il quale affermò che «l’intervento delle forze dell’ordine fu legittimo e non superò i limiti» di fronte alla «vera e propria azione militare messa in atto dagli imputati»… Infine – l’aspetto più importante della sentenza di ieri – gli imputati avranno di nuovo la possibilità di dibattere e argomentare le richieste di assoluzione «per aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale». A maggior ragione visto il documento ufficiale della Presidenza del Consiglio che riconosce come le previsioni passate di crescita del traffico merci con le quali si è da sempre giustificata la costruzione del TAV siano state del tutto smentite dai fatti (salvo poi affermare la volontà di proseguire nella costruzione dell’opera, seppur, forse, ridimensionata).
Sarebbe ora di mettere la parola fine sulla vicenda della Torino – Lione: chiudere i cantieri, bonificare l’area di Chiomonte e prosciogliere, una volta per tutte, gli imputati e le imputate alle prese con questi processi degni di uno Stato di Eccezione. E riconoscere finalmente che i No Tav hanno sempre avuto ragione. Da più di vent’anni.
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