Fonte: Sbilanciamoci.infoAutore: Vincenzo Comito
Il nostro immaginario del prossimo futuro è
popolato di incubi come i robot che sostituiscono il lavoro umano o le
cyber intrusioni nella vita privata ma anche nei gangli della democrazia
e poi di altrettante utopie californiane e affini. Ultimamente i
cantori di “le temps des cerises” sembrano avere meno fiato delle sirene
di sciagura.
Le riflessioni, oltre che le notizie, sull’economia digitale occupano un crescente spazio sui giornali, nelle librerie, nei centri di ricerca e questo certamente a ragione, vista le grande importanza del tema per il futuro del mondo.
Analizzando almeno alcune di tali riflessioni abbiamo cercato di estrarne alcuni punti nodali; in particolare, abbiamo isolato quattro minacce che, secondo la letteratura esaminata, lo sviluppo del settore fa planare sul mondo o almeno su di una parte di esso e, d’altro canto, anche un uguale numero di utopie, più o meno benevole.
Quattro minacce
La crescita delle tecnologie numeriche non manca intanto di suscitare delle paure di grande peso, più o meno motivate. Esse sono nella sostanza, in particolare per quanto riguarda alcune di esse, ormai ben presenti all’opinione pubblica.
La minaccia forse più dibattuta riguarda le prospettive del lavoro in un futuro anche prossimo.
Per molti studiosi lo sviluppo della robotica, dell’intelligenza artificiale, del machine learning e delle altre tecnologie correlate pongono il grave problema del ridimensionamento della quantità del lavoro disponibile in prospettiva nel mondo ed anche di una degradazione della qualità dello stesso lavoro.
Si pensi soltanto, per avere un’idea delle dimensioni potenziali del problema a livello quantitativo, come lo sviluppo ormai prossimo dei veicoli a guida autonoma comporterà presumibilmente la progressiva scomparsa degli autisti, che, secondo alcuni calcoli, rappresentano oggi circa il 10% della forza lavoro mondiale.
Va peraltro ricordato che degli altri esperti ci presentano delle opinioni più rassicuranti, ricordando, tra l’altro, che ogni evoluzione tecnologica passata si è semmai tradotta in un incremento globale dell’occupazione, non in una sua riduzione. Al che i pessimisti ribattono di solito che questa volta le cose stanno in modo diverso.
Il dibattito sul tema è molto aspro.
In ogni caso il timore di una scomparsa del lavoro è ormai incorporato nell’immaginario di milioni di persone.
Peggio forse ancora della minaccia sopra citata appare per i destini dell’umanità quella che le macchine possano un giorno non lontano prendere il potere. Così dei personaggi molto autorevoli come l’astrofisico Stephen Hawking, da poco deceduto, Elon Musk, il geniale inventore statunitense, lo stesso Bill Gates, hanno da tempo sottolineato, allarmati, i rischi che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale fa correre alla nostra specie. Entro poche decine di anni si potrebbe arrivare per loro alla fine dell’umanità come la conosciamo oggi, secondo del resto delle linee in gran parte anticipate nei libri di fantascienza.
Peraltro, di fronte a questa visione, altri ricercatori appaiono molto meno allarmisti e mettono, tra l’altro, in rilievo come tale catastrofico sbocco, se mai si materializzerà, cosa di cui molti tra di loro dubitano, appare almeno come temporalmente molto remoto.
E veniamo alla terza minaccia, molto più vicina e al momento molto più concreta.
Una decina di grandi gruppi a base digitale, statunitensi e cinesi, stanno fortemente crescendo come dimensione, si stanno diversificando quasi in ogni direzione e stanno diventando la presenza dominante nel mondo a livello economico, sociale, finanziario, politico.
Di fronte a tale fenomeno, gli sforzi dei pubblici poteri per tenerlo sotto controllo appaiono sino ad oggi molto ridotti e comunque molto diseguali da paese a paese, per un ritardo culturale del mondo politico, per una sua affinità ideologica con i grandi gruppi, per le azioni di difesa di vario tipo poste in essere dagli stessi gruppi e per altre varie ragioni. In ogni caso nell’ultimo periodo l’Unione Europea sembra mostrare una certa sensibilità verso almeno alcuni aspetti della questione, quali quello della protezione dei dati e questo certamente più degli Stati Uniti.
Occorrerebbe comunque un forte intervento nazionale ed internazionale su molti fronti, a livello di politica di tutela della concorrenza, di protezione dei dati dei cittadini, delle questioni fiscali, del comportamento di tali gruppi sulle notizie sensibili, della dimensione etica delle scelte, degli stessi loro comportamenti politici.
Un’ultima minaccia riguarda in specifico il nostro continente.
Appare sempre più evidente come le tecnologie numeriche e le grandi imprese del settore siano sempre più originate dagli Stati Uniti e dalla Cina, mentre l’Europa, che ha scarsa capacità di mettere insieme le capacità umane e le risorse finanziarie dei singoli Stati membri, che pure sono notevoli, appare relegata ad un ruolo secondario. Le imprese del nostro continente non riescono a stare al passo ed al massimo colgono qualche limitato successo su pochi dei comparti in cui si articola il settore, o si vendono ad altre imprese, americane (più spesso) o cinesi.
Anche in questo caso occorrerebbe un grande sforzo comune per cercare di cambiare almeno parzialmente la situazione, ma a Bruxelles siamo al momento appena a qualche balbettamento.
E’ questo uno degli elementi fondamentali che fa tra l’altro pensare che il declino del nostro continente sia ormai quasi ineluttabile.
Quattro utopie
Ma poi ci sono le grandi speranze (?).
Bisogna ricordare preliminarmente che già diversi decenni fa si raccontava con fiducioso ottimismo del futuro avvento di una felice società della conoscenza, o, per altro verso, di un’economia del terziario avanzato, che avrebbe portato ad un mondo molto più felice. Sappiamo come sia poi, almeno sino ad oggi, andata a finire.
Per quanto riguardo le utopie odierne, intanto, come ci ricorda ad esempio, peraltro con uno sguardo critico, Evgeny Morozov, la tecnologia digitale, almeno secondo alcuni, potrebbe fornire risposte risolutive a tutte le questioni importanti del nostro tempo, dalla corruzione alla criminalità, allo smaltimento dei rifiuti, all’obesità. Si tratterebbe di un processo che segnerebbe una svolta epocale nei destini dell’umanità ed approderebbe ad un vero eden tecnologico. Siamo di fronte, in realtà e per molti versi, ad una pia illusione.
Una seconda utopia, in qualche modo complementare alla precedente, è quella che intravede il delinearsi di una società armonica, fondata sul calcolo economico, come osserva di nuovo criticamente un noto giurista francese (Supiot, 2015). La resurrezione di una vecchia utopia (o distopia?) occidentale travolge così la legge, la democrazia, lo Stato e tutti i quadri giuridici ai quali noi continuiamo a riferirci. Portato anche dalla rivoluzione numerica, prospera, per Alain Supiot, un nuovo ideale normativo che mira al raggiungimento di obiettivi misurabili fissati peraltro dai tecnici, piuttosto che invece perseguire l’obbedienza a delle leggi giuste. E’ la stessa figura dello Stato moderno che viene messa in questione. In altri termini, il progetto è quello di un mercato totale, raffigurazione di un potere impersonale, di una società popolata di particole che non hanno tra di loro delle relazioni se non fondate sul calcolo e l’interesse economico, che agiscono in ogni momento in una concorrenza senza fine. Questo modello si estende a tutti i livelli di organizzazione della società.
L’ultima incarnazione dello stesso progetto è proprio fornita dalla rivoluzione digitale, che domina per molti versi l’immaginazione contemporanea. Si può pensare ad una nuova forma di tecnocrazia e di governance assistita dagli automatismi dell’intelligenza artificiale e dell’internet delle cose che potrebbe prendere almeno una gran parte del posto dell’agonizzante democrazia rappresentativa (Antonelli, 2018).
Una terza utopia, cui in qualche modo fanno riferimento questa volta studiosi come Paul Mason e Jeremy Rifkin, teorizza ed auspica, in relazione agli sviluppi tecnologici, l’avvento pressoché ineluttabile, a più o meno lungo termine, di una società e di un’economia post-capitalistiche. Sia pure seguendo un differente filo logico, anche un intellettuale così agguerrito come il tedesco Wolfgang Streeck teorizza l’idea che il capitalismo stia morendo.
Ma noi non crediamo che ciò avverrà spontaneamente. A nostro parere, a costo di imporre anche atroci sofferenze all’umanità, esso combatterà sino allo stremo contro tale ipotesi. Solo la volontà attiva e cosciente delle persone potrebbe forse raggiungere tale obiettivo.
Citiamo infine brevemente un’ultima utopia, quella in qualche modo intravista dal bengalese Muhammad Junus, lodato “inventore” del microcredito, che prefigura in qualche modo come prossimo, grazie anche allo sviluppo in atto delle tecnologie, un mondo senza povertà, senza disoccupazione, senza emissioni inquinanti (Yunus, 2017), avvicinandosi in questo, almeno per alcuni aspetti, al modello intravisto criticamente da Morozov.
Conclusioni
Mentre studiosi come Supiot e Morozov analizzano con molto acume l’inconsistenza e la pericolosità di alcune delle idee che prefigurano per l’ennesima volta e per un prossimo futuro un mondo inevitabilmente più felice e meglio governato, persone come Mason, Rifkin, Junus sembrano proprio sostenere invece una linea molto ottimistica, ignorando quasi del tutto i problemi presenti sul campo e, in particolare, l’esistenza di grandi forze economiche, finanziarie, politiche, che cercano di spingere l’innovazione tecnologica, apparentemente con successo, almeno sino a questo momento, verso obiettivi strettamente compatibili con i loro interessi, trascurando ovviamente invece quello generale.
Ahimè, “le temps des cerises” non sembra seriamente, almeno per il momento, a portata di mano e, per di più, senza alcuno sforzo da parte nostra.
La realtà, almeno per come essa ci appare oggi e in una prospettiva di medio termine, si prospetta come molto meno rosea e segnata da grandi minacce quali quelle sopra indicate, alle quali si può cercare di far fronte soltanto con delle lotte vaste, pazienti e di lungo respiro.
Le riflessioni, oltre che le notizie, sull’economia digitale occupano un crescente spazio sui giornali, nelle librerie, nei centri di ricerca e questo certamente a ragione, vista le grande importanza del tema per il futuro del mondo.
Analizzando almeno alcune di tali riflessioni abbiamo cercato di estrarne alcuni punti nodali; in particolare, abbiamo isolato quattro minacce che, secondo la letteratura esaminata, lo sviluppo del settore fa planare sul mondo o almeno su di una parte di esso e, d’altro canto, anche un uguale numero di utopie, più o meno benevole.
Quattro minacce
La crescita delle tecnologie numeriche non manca intanto di suscitare delle paure di grande peso, più o meno motivate. Esse sono nella sostanza, in particolare per quanto riguarda alcune di esse, ormai ben presenti all’opinione pubblica.
La minaccia forse più dibattuta riguarda le prospettive del lavoro in un futuro anche prossimo.
Per molti studiosi lo sviluppo della robotica, dell’intelligenza artificiale, del machine learning e delle altre tecnologie correlate pongono il grave problema del ridimensionamento della quantità del lavoro disponibile in prospettiva nel mondo ed anche di una degradazione della qualità dello stesso lavoro.
Si pensi soltanto, per avere un’idea delle dimensioni potenziali del problema a livello quantitativo, come lo sviluppo ormai prossimo dei veicoli a guida autonoma comporterà presumibilmente la progressiva scomparsa degli autisti, che, secondo alcuni calcoli, rappresentano oggi circa il 10% della forza lavoro mondiale.
Va peraltro ricordato che degli altri esperti ci presentano delle opinioni più rassicuranti, ricordando, tra l’altro, che ogni evoluzione tecnologica passata si è semmai tradotta in un incremento globale dell’occupazione, non in una sua riduzione. Al che i pessimisti ribattono di solito che questa volta le cose stanno in modo diverso.
Il dibattito sul tema è molto aspro.
In ogni caso il timore di una scomparsa del lavoro è ormai incorporato nell’immaginario di milioni di persone.
Peggio forse ancora della minaccia sopra citata appare per i destini dell’umanità quella che le macchine possano un giorno non lontano prendere il potere. Così dei personaggi molto autorevoli come l’astrofisico Stephen Hawking, da poco deceduto, Elon Musk, il geniale inventore statunitense, lo stesso Bill Gates, hanno da tempo sottolineato, allarmati, i rischi che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale fa correre alla nostra specie. Entro poche decine di anni si potrebbe arrivare per loro alla fine dell’umanità come la conosciamo oggi, secondo del resto delle linee in gran parte anticipate nei libri di fantascienza.
Peraltro, di fronte a questa visione, altri ricercatori appaiono molto meno allarmisti e mettono, tra l’altro, in rilievo come tale catastrofico sbocco, se mai si materializzerà, cosa di cui molti tra di loro dubitano, appare almeno come temporalmente molto remoto.
E veniamo alla terza minaccia, molto più vicina e al momento molto più concreta.
Una decina di grandi gruppi a base digitale, statunitensi e cinesi, stanno fortemente crescendo come dimensione, si stanno diversificando quasi in ogni direzione e stanno diventando la presenza dominante nel mondo a livello economico, sociale, finanziario, politico.
Di fronte a tale fenomeno, gli sforzi dei pubblici poteri per tenerlo sotto controllo appaiono sino ad oggi molto ridotti e comunque molto diseguali da paese a paese, per un ritardo culturale del mondo politico, per una sua affinità ideologica con i grandi gruppi, per le azioni di difesa di vario tipo poste in essere dagli stessi gruppi e per altre varie ragioni. In ogni caso nell’ultimo periodo l’Unione Europea sembra mostrare una certa sensibilità verso almeno alcuni aspetti della questione, quali quello della protezione dei dati e questo certamente più degli Stati Uniti.
Occorrerebbe comunque un forte intervento nazionale ed internazionale su molti fronti, a livello di politica di tutela della concorrenza, di protezione dei dati dei cittadini, delle questioni fiscali, del comportamento di tali gruppi sulle notizie sensibili, della dimensione etica delle scelte, degli stessi loro comportamenti politici.
Un’ultima minaccia riguarda in specifico il nostro continente.
Appare sempre più evidente come le tecnologie numeriche e le grandi imprese del settore siano sempre più originate dagli Stati Uniti e dalla Cina, mentre l’Europa, che ha scarsa capacità di mettere insieme le capacità umane e le risorse finanziarie dei singoli Stati membri, che pure sono notevoli, appare relegata ad un ruolo secondario. Le imprese del nostro continente non riescono a stare al passo ed al massimo colgono qualche limitato successo su pochi dei comparti in cui si articola il settore, o si vendono ad altre imprese, americane (più spesso) o cinesi.
Anche in questo caso occorrerebbe un grande sforzo comune per cercare di cambiare almeno parzialmente la situazione, ma a Bruxelles siamo al momento appena a qualche balbettamento.
E’ questo uno degli elementi fondamentali che fa tra l’altro pensare che il declino del nostro continente sia ormai quasi ineluttabile.
Quattro utopie
Ma poi ci sono le grandi speranze (?).
Bisogna ricordare preliminarmente che già diversi decenni fa si raccontava con fiducioso ottimismo del futuro avvento di una felice società della conoscenza, o, per altro verso, di un’economia del terziario avanzato, che avrebbe portato ad un mondo molto più felice. Sappiamo come sia poi, almeno sino ad oggi, andata a finire.
Per quanto riguardo le utopie odierne, intanto, come ci ricorda ad esempio, peraltro con uno sguardo critico, Evgeny Morozov, la tecnologia digitale, almeno secondo alcuni, potrebbe fornire risposte risolutive a tutte le questioni importanti del nostro tempo, dalla corruzione alla criminalità, allo smaltimento dei rifiuti, all’obesità. Si tratterebbe di un processo che segnerebbe una svolta epocale nei destini dell’umanità ed approderebbe ad un vero eden tecnologico. Siamo di fronte, in realtà e per molti versi, ad una pia illusione.
Una seconda utopia, in qualche modo complementare alla precedente, è quella che intravede il delinearsi di una società armonica, fondata sul calcolo economico, come osserva di nuovo criticamente un noto giurista francese (Supiot, 2015). La resurrezione di una vecchia utopia (o distopia?) occidentale travolge così la legge, la democrazia, lo Stato e tutti i quadri giuridici ai quali noi continuiamo a riferirci. Portato anche dalla rivoluzione numerica, prospera, per Alain Supiot, un nuovo ideale normativo che mira al raggiungimento di obiettivi misurabili fissati peraltro dai tecnici, piuttosto che invece perseguire l’obbedienza a delle leggi giuste. E’ la stessa figura dello Stato moderno che viene messa in questione. In altri termini, il progetto è quello di un mercato totale, raffigurazione di un potere impersonale, di una società popolata di particole che non hanno tra di loro delle relazioni se non fondate sul calcolo e l’interesse economico, che agiscono in ogni momento in una concorrenza senza fine. Questo modello si estende a tutti i livelli di organizzazione della società.
L’ultima incarnazione dello stesso progetto è proprio fornita dalla rivoluzione digitale, che domina per molti versi l’immaginazione contemporanea. Si può pensare ad una nuova forma di tecnocrazia e di governance assistita dagli automatismi dell’intelligenza artificiale e dell’internet delle cose che potrebbe prendere almeno una gran parte del posto dell’agonizzante democrazia rappresentativa (Antonelli, 2018).
Una terza utopia, cui in qualche modo fanno riferimento questa volta studiosi come Paul Mason e Jeremy Rifkin, teorizza ed auspica, in relazione agli sviluppi tecnologici, l’avvento pressoché ineluttabile, a più o meno lungo termine, di una società e di un’economia post-capitalistiche. Sia pure seguendo un differente filo logico, anche un intellettuale così agguerrito come il tedesco Wolfgang Streeck teorizza l’idea che il capitalismo stia morendo.
Ma noi non crediamo che ciò avverrà spontaneamente. A nostro parere, a costo di imporre anche atroci sofferenze all’umanità, esso combatterà sino allo stremo contro tale ipotesi. Solo la volontà attiva e cosciente delle persone potrebbe forse raggiungere tale obiettivo.
Citiamo infine brevemente un’ultima utopia, quella in qualche modo intravista dal bengalese Muhammad Junus, lodato “inventore” del microcredito, che prefigura in qualche modo come prossimo, grazie anche allo sviluppo in atto delle tecnologie, un mondo senza povertà, senza disoccupazione, senza emissioni inquinanti (Yunus, 2017), avvicinandosi in questo, almeno per alcuni aspetti, al modello intravisto criticamente da Morozov.
Conclusioni
Mentre studiosi come Supiot e Morozov analizzano con molto acume l’inconsistenza e la pericolosità di alcune delle idee che prefigurano per l’ennesima volta e per un prossimo futuro un mondo inevitabilmente più felice e meglio governato, persone come Mason, Rifkin, Junus sembrano proprio sostenere invece una linea molto ottimistica, ignorando quasi del tutto i problemi presenti sul campo e, in particolare, l’esistenza di grandi forze economiche, finanziarie, politiche, che cercano di spingere l’innovazione tecnologica, apparentemente con successo, almeno sino a questo momento, verso obiettivi strettamente compatibili con i loro interessi, trascurando ovviamente invece quello generale.
Ahimè, “le temps des cerises” non sembra seriamente, almeno per il momento, a portata di mano e, per di più, senza alcuno sforzo da parte nostra.
La realtà, almeno per come essa ci appare oggi e in una prospettiva di medio termine, si prospetta come molto meno rosea e segnata da grandi minacce quali quelle sopra indicate, alle quali si può cercare di far fronte soltanto con delle lotte vaste, pazienti e di lungo respiro.
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