L'attacco in Siria non ha provocato morti. Ma il coordinamento e lo scambio di informazioni di russi e americani dimostra quanto i militari temano l'escalation. Scontro all'Onu Usa-Russia.
Per averne contezza non si deve restare
in superficie, facendo la conta delle vittime o dei bersagli centrati.
Perché ciò che si è consumato nella notte di venerdì in Siria racconta
di come si fa la guerra nell'era nucleare.
Non è questione di numeri, che pure
vanno ricordati: gli Usa hanno lanciato 120-130 missili Tomahawk da una
nave da guerra (da due, secondo Mosca) e da bombardieri B-1B. Così ha
lasciato intendere James Mattis, capo del Pentagono, che ha rivelato che
è stata utilizzata una quantità doppia di razzi rispetto ai 59
dell'attacco alla Siria del 2017.
La Francia ha lanciato missili dai
cacciabombardieri Rafale, la Gran Bretagna missili Storm Shadow da 4
Tornado decollati dalla base Raf (Royal Air Force) di Akrotiri a Cipro.
Probabilmente sono entrati in azione anche i sommergibili britannici che
nei giorni scorsi, secondo fonti di stampa, erano stati spostati nelle
acque di fronte alla Siria.
Sono stati colpiti un centro di ricerca
scientifica a Damasco, un impianto di stoccaggio di armi chimiche a
ovest di Homs, un sito di stoccaggio di attrezzature chimiche e un posto
di comando nei pressi di Homs. Secondo fonti siriane, a Homs sarebbero
stati feriti 3 civili. sarebbero stati lanciati tra i 100 e i 120
missili da crociera. Secondo il generale russo Serjey, 71 dei 103
missili lanciati sono stati intercettati. L'Osservatorio siriano per i
diritti umani ha invece indicato 65 colpi non andati a buon fine.
Smentisce il Pentagono: tutti i colpi andati a buon fine. Nessuna
vittima, comunque. Anche perché — fa sapere sempre l'Osservatorio — le
basi colpite erano state completamente evacuate tre giorni prima, ad
eccezione della presenza di alcune guardie.
Aggiunge l'ambasciatore americano a
Mosca Jon Huntsman che gli Stati Uniti hanno informato la Russia
dell'imminente attacco, per evitare vittime tra i militari e la
popolazione civile. E lo hanno confermato anche Francia e Gran Bretagna.
Mentre il Cremlino continua a negare. Non siamo alle solite schermaglie
dialettiche, alla "guerra delle parole" utile più per parlare alle
rispettive opinioni pubbliche che per far comprendere il pericolo
scampato, almeno al momento.
L'attacco di venerdì notte in Siria "ha
azzoppato il programma di armi chimiche" di Damasco e indebolito la
possibilità di futuri attacchi chimici da parte del regime di Assad: lo
affermano i vertici del Pentagono, sottolineando come i bombardamenti
porteranno il programma di armi chimiche siriano indietro di anni.
Pronta la replica di Mosca. "L'obiettivo dei raid degli Usa e dei loro
alleati in Siria è quello di rianimare con la forza la Primavera araba e
cacciare Assad", afferma la portavoce del ministero degli Esteri russo,
Maria Zakharova. Lo riporta l'agenzia Interfax. "Dal punto di vista
diplomatico è certamente un colpo inflitto non solo su un punto
geografico del mappamondo, è un colpo arrecato al diritto internazionale
e all'intero sistema dei rapporti internazionali", ha spiegato la
portavoce.
Lo scopo è impossibile spiegarlo dal
punto di vista della logica e dell'efficacia. Lo si può solo spiegare
con il ritorno del concetto 'Assad se ne deve andare' e dell'idea della
Primavera araba che si voleva mettere in atto alcuni anni fa, e che ora
si vuole rianimare con la forza". Donald Trump non ci sta, e da
"commander in chief" proclama su Twitter: ""L'attacco è stato eseguito
perfettamente. Missione compiuta". E ancora: "Sono così orgoglioso delle
nostre forze armate che, presto, dopo aver speso miliardi di dollari
totalmente approvati, saranno le migliori di sempre", "cinguetta" Trump
congratulandosi per i raid di questa notte in Siria. "Non ci sarà nulla o
nessuno lontanamente vicino" alle forze armate americane, aggiunge.
Ma questo ping pong di proclami, di
dichiarazioni trionfalistiche e di risposte pungenti, serve a coprire ma
non a cancellare la vera posta in gioco nel confronto tra americani e
russi, che va ben al di là del destino di Bashar al-Assad e della stessa
spartizione della Siria. Perché la guerra, nell'era nucleare, non è
solo morti ma capacità di ridefinire i rapporti di forza, che passano
per le sperimentazioni delle armi di nuova generazione. Se vista in
questa ottica, la querelle sui missili andati a segno o intercettati, si
trasforma in qualcosa di molto più serio e strategico: misurare, cioè,
l'efficacia dei sistemi missilistici e di quelli di intercettazione.
Non è decisivo sapere cosa c'era dentro i
tre target inquadrati dal Pentagono. La cosa davvero decisiva è sapere
quanti di quei 120 missili hanno effettivamente centrato gli obiettivi e
quanti, invece, sono stati abbattuti: è attorno a questi dati che si
potrà misurare vincitori e vinti di questa prova di forza. A compimento
della giornata, c'è chi ipotizza una "rappresaglia condivisa" da
Washington e Mosca. Ma se anche fosse così, sarebbe la riprova non di
una sceneggiata ma dell'esatto opposto: la consapevolezza che stavolta
c'era il rischio di un confronto senza rete America e Russia, allargato
ad altre due potenze nucleari: Francia e Gran Bretagna. Nasce da questa
consapevolezza il lavorio sotterraneo che nei giorni e nelle ore
precedenti l'attacco missilistico, ha visto impegnati i vertici militari
delle due potenze.
Quando si è a un passo da un confronto
diretto, il dilettantismo di improvvisati "commander in chief", i loro
roboanti proclami, vanno neutralizzati o comunque rimodulati da chi sa
cosa significhi una guerra diretta nell'era nucleare. Una catastrofe
irrecuperabile. Per evitarla, l'ex generale John Mattis, a capo del
Pentagono, ha imposto ai falchi dell'amministrazione Trump, il
consigliere presidenziale alla Sicurezza nazionale John Bolton e il
neosegretario di Stato, l'ex direttore della Cia, Mike Pompeo, una
delimitazione dell'operazione e una condivisione d'informazioni con i
Russi. Scampato pericolo, dunque. Ma averne la percezione è propedeutico
per non abbassare la guardia.
Al momento, Vladimir Putin si è limitato
a parlare di "atto di aggressione" e ha chiesto, e ottenuto, una
riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, convocato alle ore
17 italiane Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres,
commentando i raid in Siria, ha ricordato che "c'è l'obbligo, in
particolare quando si tratta di questioni di pace e sicurezza, di agire
coerentemente con la Carta delle Nazioni Unite e con il diritto
internazionale, che sono molto chiari su questi temi".
"Il Consiglio di sicurezza ha la
responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza
internazionali", ha precisato, ribadendo il suo "invito ai membri del
Consiglio a unirsi e ad esercitare tale responsabilità". Anche Teheran,
l'altro grande alleato di Assad, ha risposto duramente. Il presidente
iraniano, Hassan Rouhani, ha affermato che "gli attacchi di Usa e
alleati porteranno distruzione e devastazione in Medio Oriente". E la
guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei ha definito Trump, Macron e May
"criminali".
"Le azioni degli Usa e dei loro alleati
non resteranno senza conseguenze", rilancia, in questo continuo ping
pong dialettico, l'ambasciatore russo a Washington Anatoly Antonov.
L'impressione di molti osservatori però è che gli obiettivi da colpire
siano stati condivisi con Mosca, non fosse altro che per evitare
incidenti e non colpire personale o postazioni russe in Siria. Ma sul
palcoscenico siriano si muovono anche attori regionali, statuali e non,
che potrebbero forzare la mano, sperando di trarne vantaggi per i propri
disegni di potenza: la Turchia, l'Iran, l'Arabia Saudita, le milizie
jihadiste, ciò che resta dell'Isis.
Portare alle estreme conseguenze il
confronto tra russi e americani rientrerebbe, in dimensione geopolitica,
nella logica del "tanto peggio, tanto meglio". Nel frattempo, è scontro
totale tra Stati Uniti e Russia durante il Consiglio di sicurezza
dell'Onu riunito d'urgenza dopo l'attacco notturno di Usa, Regno Unito e
Francia in Siria. Mosca ha accusato Washington di "minare l'autorità
del Consiglio" e, ha aggiunto l'ambasciatore russo Vassily Nebenzia, "è
il momento che gli Usa imparino che il codice internazionale di
comportamento sull'uso della forza è regolato dalla Carta delle Nazioni
Unite". L'ambasciatrice americana Nikki Haley ha però subito chiarito
che "il tempo delle parole è finito" e che se Bashar al-Assad userà
ancora le armi chimiche, "gli Stati Uniti hanno il colpo in canna e sono
pronti a sparare". Haley ha parlato di una "campagna di
disinformazione" della Russia: "Ma le foto dei bambini morti non sono
fake news".
Da New York a Bruxelles. "Tutti gli
alleati della Nato hanno espresso il loro pieno sostegno all'azione"
militare congiunta di Usa, Francia e Gran Bretagna, "che aveva
l'intenzione di ridurre la capacità delle armi chimiche del regime
siriano e come deterrenza rispetto a nuovi attacchi chimici". Così il
segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al termine della
riunione con gli ambasciatori. I prossimi giorni diranno se la reazione
russa rimarrà circoscritta al campo della politica e della diplomazia o
si spingerà oltre. E lo stesso vale per l'Iran, alleato sì della Russia
in Siria ma attento a salvaguardare i propri interessi nell'area.
Interessi che Israele e Arabia Saudita vedono come una minaccia diretta.
Non è mistero che Gerusalemme e Riyadh avrebbero preferito un'azione
più pervasiva in Siria, indirizzata non solo contro gli arsenali chimici
di Assad ma estesa ai centri di comando dei Guardiani della
Rivoluzione.
Si spiega così la freddezza con cui i
vertici politici dello Stato ebraico hanno commentato la "missione
compiuta" americana. Una missione monca, vista da Gerusalemme. E dal
Regno Saud. Ma nell'era nucleare, la guerra può essere combattuta su
terreni altri dai tradizionali campi di battaglia. Resta il fatto che
nella notte siriana a trovarsi di fronte, senza Paesi terzi, siano stati
Americani e Russi. Se fosse stato scontro, sarebbe stato l'inizio della
Terza guerra mondiale.
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