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Quasi 13 milioni di euro in meno per il Pd. Quasi 10 milioni in meno per la Lega. Una media negli ultimi cinque anni del 60% di entrante in meno. Per i partiti italiani è crisi finanziaria. E' quanto emerge dai dati di "Partiti in crisi - analisi dei bilanci dei partiti tra il 2013 e il 2017", realizzato da Openpolis e Agi. Una contrazione derivante soprattutto dal taglio dei rimborsi elettorali operato dai governi Monti-Letta.
Nel dettaglio la situazione delle singole forze politiche emerge che, nel 2013, il Pd rendicontava entrate per 37,6 milioni di euro, di cui 24,7 milioni dai rimborsi elettorali (il 2x1000 ancora non era stato introdotto). Nel 2017 i proventi della gestione caratteristica per i democratici ammontano a 17,7 milioni (-53%). I rimborsi elettorali, ormai eliminati, non contribuiscono più a questa cifra e il 2x1000 incassato dal Pd vale circa 8 milioni, un terzo di quanto offrivano i rimborsi nel 2013.
Altro esempio degli effetti del taglio del finanziamento pubblico lo si osserva con la Lega Nord. Nel 2013 incassava 12,5 milioni di euro: nel 2017 le entrate si riducono a 2,9 milioni.
Se non ci fossero i parlamentari. Restano essenziali per la vita dei partiti i contributi di singoli parlamentari. Nel caso di Sel e della Lega Nord, la quasi totalità delle donazioni da persone fisiche nel 2017 è rappresentata dai contributi degli eletti. A seguire, Scelta civica (83,9%), Fratelli d'Italia (72%), Alternativa popolare (70,7%). Per Partito democratico e Forza Italia la percentuale di incassi dagli eletti si aggira attorno ai due terzi delle donazioni da persone fisiche complessive (rispettivamente 67,3% e 66%). La percentuale di contributi da eletti sul totale è inferiore al 50% nel caso del Partito socialista italiano (42%) e Rifondazione comunista (20,38%).
Non ci sono i soldi per gli stipendi. Complessivamente le spese dei partiti sono calate del 75%, passando da 129 a 31 milioni. Il settore più colpito dai tagli è stato l'acquisti di beni, calato del 90% (da 4,2 milioni di euro a 300mila euro). Dimezzate le spese per il personale: da 19,6 a 9,4 milioni. Tra queste, la voce stipendi è stata quella più colpita. Nei 5 esercizi considerati è passata da 14,5 a meno di 7 milioni annui, una contrazione del 53%.
L'oasi: i gruppi parlamentari. E mentre calano le spese per il personale dei partiti, crescono quella per il personale dei gruppi parlamentari: da 38,6 a 40,3 milioni di euro. Non conosciamo ancora il dato 2017 per i gruppi, ma basandosi su una media degli anni precedenti dovrebbe collocarsi tra i 39 e i 40 milioni. Perché? I gruppi sono titolari di una forma di finanziamento pubblico che è rimasta piuttosto stabile negli anni, e che vale complessivamente attorno a 53 milioni di euro annui (circa 32 milioni di euro alla Camera e 21 al Senato). E questi contributi vengono corrisposti da ciascun ramo del Parlamento ai gruppi, in parte in quota fissa, in parte in base al numero di deputati e Senatori. In massima parte servono per pagare i dipendenti che si occupano di assistere il gruppo. Ma possono anche essere utilizzati per pagare servizi, attività di studio e per spese di comunicazione. Di fatto negli ultimi anni sono andati sempre più ad effettuare attività (e spese) che tradizionalmente competevano ai partiti politici. Ad esempio in occasione del referendum costituzionale del 2016, i gruppi Pd e M5s hanno rendicontato spese per lo svolgimento della campagna referendaria.
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