domenica 22 luglio 2018

Gaza, una tregua a cui nessuno crede veramente.

Nella Striscia è estremamente fragile la tenuta dell'ennesimo cessate il fuoco, mediato dall'Egitto, dopo l'ennesima giornata di sangue.

By Umberto De Giovannangeli
Gaza, la guerra oltre la tregua. Perché nella Striscia nessuno crede veramente nella tenuta dell'ennesimo cessate il fuoco, mediato dall'Egitto del presidente al-Sisi e annunciato da Hamas dopo l'ennesima giornata di sangue, ieri, quando sul terreno è rimasto il corpo senza vita di un soldato israeliano, il primo caduto dalla guerra dell'estate 2014.
In mattinata, Hamas ha annunciato un cessate il fuoco con Israele. "Con gli sforzi egiziani e delle Nazioni Unite, è stato raggiunto un accordo per tornare alla precedente situazione di cessate il fuoco tra l'occupazione e le fazioni palestinesi", ha twittato il portavoce Fawzi Barhoum. Della trattativa, confidano ad HuffPost fonti di Gaza, fa parte la fine del lancio dei "palloni incendiari" – preservativi gonfi di elio capaci di volare per alcuni chilometri - dalla Striscia verso i campi frontalieri israeliani: l'"aviazione" di Hamas. In cambio, Israele s'impegnerebbe a riaprire il valico commerciale di Kerem Shalom, e lo stesso farebbe l'Egitto con il valico di Rafah tra Gaza e il Sinai).

Dopo mesi di crescente escalation sul confine orientale di Gaza, ieri la situazione è precipitata quando cecchini di Hamas appostati in un gruppo di dimostranti hanno teso un'imboscata ad una pattuglia di confine israeliana. Secondo fonti locali, un soldato è stato colpito in modo grave, e l'esercito ne ha confermato più tardi il decesso. La reazione israeliana è stata immediata: quattro palestinesi (tre dei quali miliziani di Hamas) sono rimasti uccisi, altri 120 sono stati feriti. Per ore Israele ha colpito con carri armati e caccia obiettivi di Hamas, che ha reagito con colpi di mortaio e razzi sul Neghev. Gli abitanti israeliani della zona sono accorsi nei rifugi mentre a Tel Aviv nel ministero della Difesa il premier Benyamin Netanyahu, il ministro Avigdor Lieberman e il capo di stato maggiore facevano il punto della situazione. Lieberman, ha accusato la dirigenza di Hamas, di portare Israele a una situazione senza scelta. "Avremo bisogno di portare a termine una dolorosa operazione militare su vasta scala", aveva avvertito. Dall'altra parte, le brigate Ezzedin al-Qassam, l'ala militare del movimento islamista, avevano annunciato che Israele pagherà "un alto prezzo" per i raid condotti nella Striscia.
Sempre nella serata di ieri, l'emissario dell'Onu Nickolay Mladenov ha lanciato un drammatico appello: "Tutti a Gaza facciano un passo indietro, prima di cadere nel baratro. Non fra una settimana, non domani, subito. Quanti vogliono innescare una nuova guerra fra palestinesi e israeliani non devono riuscire nel loro intento". Una possibile allusione all'Iran, che questa settimana ha organizzato a Gaza un convegno di sostegno alla lotta armata palestinese. Da un appello all'altro. L'escalation al confine di Gaza è seguita con apprensione dal presidente dell'Anp Mahmoud Abbas che ha fatto appello alla comunità internazionale affinché intervenga immediatamente per impedire un ulteriore deterioramento della situazione. Lo riferisce la agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa secondo cui Abbas ha attivato contatti con ''personalità regionali ed internazionali per contenere la crisi". Contenere la crisi. Tradotto: alla Muqata, il quartier generale dell'Anp a Ramallah, il pensiero dominante che la tregua non reggerà e che il massimo a cui poter tendere è "gestire il conflitto" in una guerra a bassa intensità.
"Annientare Gaza". Non è il nome in codice della guerra prossima ventura che Israele scatenerà nella Striscia. È qualcosa d'altro e di più pervasivo: è usare, da parte del governo di Gerusalemme, due milioni di palestinesi come arma di ricatto nei confronti dell'Egitto di al-Sisi e, soprattutto, delle petromonarchie del Golfo. Israele sa che Gaza resta una polveriera pronta a riesplodere, oltre lo scenario di una guerra a bassa intensità. E sa altrettanto bene che le due opzioni di sempre sono, per ragioni diverse, impraticabili: rioccupare la Striscia e/o mantenere lo status quo. Ecco allora materializzarsi, negli ambienti governativi dello Stato ebraico, l'idea, aggiornata, di qualcosa che dai tempi degli accordi di Camp David (settembre 1978) tra Menachem Begin e Anwar al Sadat si era affacciata, da parte dell'allora premier (Likud) israeliano: costringere il vicino arabo a farsi carico della Striscia, annettendola al proprio territorio nazionale o, se ciò era troppo, facendone una sorta di protettorato arabo, militarmente garantito dall'Egitto e finanziato dagli Emirati Arabi Uniti e dal Qatar. D'allora sono trascorsi quarant'anni. E Gaza resta un problema irrisolto. E una tragedia umanitaria immanente. Gaza sta morendo. L'ultimo, documentato grido d'allarme, è stato lanciato da Oxfam.
L'assedio sta privando una popolazione di 1,900 milioni di abitanti, il 56% al di sotto dei 18 anni, del bene più vitale: l'acqua. A oltre quattro anni dal sanguinoso conflitto che nel 2014 distrusse buona parte del sistema idrico e fognario di Gaza, il sistema straordinario disegnato dalla comunità internazionale per la ricostruzione post-bellica (il cosiddetto Gaza Reconstruction Mechanism-Grm) non riesce ancora a rispondere ai bisogni dei quasi 2 milioni di abitanti della Striscia "intrappolati" in una delle zone più densamente popolate del mondo. Una situazione drammatica, rimarca il report di Oxfam, aggravata degli effetti del decennale blocco di Israele sulla Striscia, di cui le prime vittime sono oltre 1,9 milioni di persone che devono sopravvivere con uno scarsissimo accesso all'acqua e una situazione igienico-sanitaria in continuo peggioramento. Basti pensare che il 95% della popolazione – anche solo per bere e cucinare – dipende dall'acqua marina desalinizzata fornita dalle autocisterne private, semplicemente perché l'acqua fornita dalla rete idrica municipale (che presenta oltre 40% di perdite) non è potabile o perché oltre 40mila abitanti non sono allacciati alla rete. A questo si aggiunge un sistema fognario del tutto inadeguato con oltre un terzo delle famiglie che non è connesso al sistema delle acque reflue. Una situazione di carenza idrica di cui fanno le spese soprattutto donne e bambini, che in molti casi sono costretti a lavarsi, bere e cucinare con acqua contaminata e si trovano esposti così al rischio di diarrea, vomito e disidratazione. Gli effetti del blocco israeliano nella vita di tutti i giorni: commercio praticamente inesistente, famiglie divise e persone che non possono muoversi per curarsi, studiare o lavorare. Le Nazioni Unite annunciano che entro il 2020, tra nemmeno due anni, sarà praticamente impossibile vivere a Gaza per la mancanza di energia elettrica, il più alto tasso di disoccupazione al mondo e l'impossibilità per la popolazione di accedere anche a beni essenziali come cibo e, per l'appunto, acqua pulita. Siamo all'annientamento di una popolazione. Gaza non è alla soglia del baratro. Gaza, la sua popolazione fatta in maggioranza di minorenni, è sul fondo del baratro. In attesa di una quarta guerra, prossima ventura.

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