I dati presentati dal Ministero degli Interni sugli sfratti
evidenziano una leggera diminuzione degli stessi come delle sentenze
emesse e delle esecuzioni realizzate (i dati sono ancora incompleti).
rifondazione.it Monica Sgherri*
Non possiamo però assolutamente consolarci né tanto meno pensare che
la questione degli sfratti sia in via di risoluzione. Gli sfratti sono
sempre tanti, troppi, e soprattutto si conferma ancora l’equazione
“perdi il lavoro perdi la casa”, confermandosi così di fatto anche come
indice di povertà oltre a quello più proprio di diritto, negato,
all’abitare: il 12% delle sentenze emesse sono per fine locazione o per
necessità del locatore contro ben l’88,2% per morosità, quasi sempre per
morosità incolpevole (90%) di tale percentuale.
Il dato estremamente allarmante ci dice che gli sfratti esecutivi non
si concentrano più solo nelle città capoluogo (ad eccezione delle città
capoluogo di regione, le cosiddette città ad alta tensione abitativa;
vedi Roma dove gli sfratti per morosità sono il 67,7% delle sentenze
emesse su tutto il territorio provinciale) ma coinvolge ormai anche le
città capoluogo di provincia e soprattutto pesantemente i comuni
confinanti con il capoluogo di provincia.
Nel 2017, su un totale di 59.600 sfratti emessi la media nazionale ci
dice che quelli nei comuni della provincia, superano ormai quelli
emessi nel comune capoluogo: 43% degli sfratti nel capoluogo (22.629)
contro il 57% nei comuni della provincia (29.962).
La concentrazione delle sentenze di sfratto (e poi delle esecuzioni)
non si concentra più nelle sole grandi aree urbane e metropolitane ma si
estende e si spalma sui territori provinciali e regionali.
Insomma potremmo definire regioni ad alta tensione abitativa quelle
dove la percentuale di sfratti emessi nei comuni della provincia
rispetto a quelli capoluogo è molto più pesante della media nazionale:
72% in Lombardia 72% Sardegna nelle 75% Marche, 67 % in Puglia, 62 in
Toscana, ma anche dove si conferma vicino alla media nazionale: 55% in
Emilia Romagna, 53% Veneto, 52% in Campania (oltre al Lazio che con il
13,5% delle sentenze emesse sul territorio nazionale si conferma
ovviamente Comune e Regione ad alta tensione abitativa) .
Ai dati sugli sfratti si affianca il quadro dell’insufficienza ed
inesistenza delle politiche delle amministrazioni comunali: il quadro
raccapricciante lo conosciamo; è noto ed acquisito da una larga platea
di sindacati dell’inquilinato, associazioni, ecc.: 700.000 i nuclei
aventi diritto ad un alloggio del Comune sono parcheggiati in lista di
attesa nelle graduatorie comunali; 1.700.000 le famiglie in disagio
abitativo (incidenza dell’affitto superiore del 30% al reddito
famigliare). E questa è una situazione ormai stabile da 10 anni! Le
assegnazioni annuali di alloggio sono inferiori sempre alle nuove
domande che si aggiungono a quelle inevase. La drammaticità della
situazione abitativa è dunque una strutturale e bene si farebbe a
riconoscerla come tale smettendo definitivamente di chiamarla “emergenza
abitativa”.
Se invece prendiamo in esame il patrimonio costruito ci accorgiamo
che formalmente, sulla carta, lo stock di alloggi e stanze costruite e
non utilizzate, o sottoutilizzate, è superiore alla domanda inevasa di
abitazioni.
Dai dati Istat del 2011 risulta che il 25% di tutto il patrimonio
abitativo è sotto utilizzato, parliamo di oltre 8 milioni e mezzo di
alloggi e di questi ben 7 milioni sono effettivamente vuoti. E questo su
tutto il territorio nazionale: ossia in media possiamo dire che 1
alloggio su 4 è vuoto in Piemonte, 1 su 5 in Toscana e Veneto, poco meno
in Lazio (22%), e poco più in Lombardia (16%) ma ben il 40% in
Calabria. Un patrimonio considerevole di alloggi vuoti anche nelle città
dove è più forte la pressione degli sfratti.
Alberto Ziparo, (Il Manifesto settembre 2017) ci dice che si “possono
considerare consistenti le stime che presentano quote di vani vuoti di
poco inferiori a 200.000 a Milano e Roma, 100.000 circa a Torino, poco
meno a Napoli, decine di migliaia a Venezia, Padova, Bologna, Firenze e
Genova.
In diverse città del sud il numero dei vani costruiti supera quello
degli abitanti; in molte aree interne, non solo meridionali, addirittura
gli edifici sono più degli abitanti”.
In tutti questi anni si è costruito molto, e questo significa consumo
di suolo, cementificazione, degrado territoriale, distruzione di
habitat naturali, villaggi vacanze e chilometri di litorali ridotti a
case fantasma l’inverno perché completamente abbandonati e l’altra
faccia della stessa medaglia è stato l’abbandono di paesi montani e
rurali ridotti, nella migliore ipotesi, ad avere pochi mesi di vita
durante l’estate.
Una grande attività edilizia ma non per la residenza, non per
risolvere il diritto all’abitare e la precarietà abitativa. Questo è il
dato politicamente significativo. L’attività edilizia è da anni
finalizzata all’investimento, alla rendita fondiaria, ad attività
immobiliare ed economica, speculativa, finanziaria e anche al lavaggio
di denaro sporco.
Cancellati i fondi GESCAL non sono mai più stati sostituiti con altri
finanziamenti. Questo corrisponde anche all’abbandono degli
investimenti nell’edilizia residenziale pubblica, cosa che non è
avvenuta in Europa in Stati ben più ricchi dell’Italia, e alla
vendita/svendita del patrimonio ERP.
Dall’amministrazione centrale a quelle locali di fatto si sono
abbandonate le fasce popolari più deboli (come se fossero in estinzione
come effetto delle politiche miracolose del libero mercato o peggio se
la condizione di povertà fosse per colpa individuale!) dirottando le
politiche verso la cosiddetta fascia grigia (prima casa in periferia e
comuni limitrofi, seconde case sui litorali, montagne,) e il comparto
dell’edilizia.
Così a fronte di un trend nazionale di decrescita della popolazione,
si è assistito a una grandissima riorganizzazione territoriale su grande
scala che ha registrato una crescita demografica a cerchi concentrici
dei comuni limitrofi dalla città capoluogo, per effetto dell’esodo delle
famiglie espulse dal capoluogo, (la distanza da esso essendo
determinata dalla possibilità economica effettiva sia per l’acquisto che
per l’affitto).
Proprio quei comuni limitrofi che oggi sono aggrediti dalla crisi
economica e dove esplodono gli sfratti per morosità incolpevole, sempre
quei Comuni che oggi sono sensibilmente interessati a un processo di
trasformazione della residenza perché interessati da rendita immobiliare
e finanziaria!
E’ questo Il fallimento delle politiche del PD e dei governi di
centro sinistra la cui conseguenza è che il problema abitativo ormai
strutturale è stato accentuato drammaticamente dalla crisi economica di
questo decennio. L’altra conseguenza di cui oggi avvertiamo pesantemente
è la desertificazione dei centri storici pregiati, ridotti a Disneyland
a cielo aperto, e dei piccoli borghi trasformati in paese vacanza.
Una ricerca svolta nel 2017 a Firenze sul quartiere di San Fredsiano
nell’Oltrarno, promossa da cittadini in collaborazione con un
dipartimento dell’Università di Firenze, evidenzia che, nel 2017, il 94%
degli immobili acquistati nel centro storico di della città sono stati
fatti prevalentemente a fini speculativi e di investimento per case
vacanza, alloggi per studenti, relegando al solo 6% gli acquisti per
il trasferimento della residenza principale della famiglia e questo
fenomeno interessa ormai anche le periferie adiacenti dove gli acquisti
per investimenti sono saliti al 33%.
Una trasformazione profonda (diminuzione della residenza) e veloce se
si pensa che nel 2015 le attività manifatturiere in questo quartiere
dell’Oltrarno sono diminuite del 31% (era un quartiere a vocazione
artigianale) e contestualmente sono aumentati del 69% le attività
adibite ad alberghi, ristoranti, B&B. E proprio dal sito AirB&B
si evidenzia la grande densità di affittacamere e di affitti di
appartamenti privati in tutta l’area metropolitana con la maggiore
densità proprio nelle zone del sito UNESCO.
Nel centro storico di Firenze i residenti sono ormai solo il 15% ma è
significativa la fotografia sociale di chi sceglie di venire ad
abitarci o di continuare a viverci: la maggioranza è costituita dalla
tipologia familiare di 1 persona e a seguire di due persone, il grado di
istruzione è superiore alla media comunale con oltre il 30% di laureati
(21% nel restante del Comune) e di diplomati.
Le politiche delle amministrazioni comunali sono corresponsabili di
questo processo di trasformazione e desertificazione sociale dei centri
storici, e peggio ancora, di perdita di identità: dalla mancanza di
investimenti nel settore dell’ERP alla vendita di questo patrimonio
quando collocato in aree pregiate, clamorosa la vicenda fiorentina dove
il Tar, per merito di un ricorso di un inquilino, ha bloccato la vendita
in pieno centro storico di alloggi bocciando una falsa interpretazione
dell’amministrazione comunale che negava la natura sociale dell’alloggio
per poterlo vendere a libero mercato e perdere i proventi della vendita
nel buglione dl bilancio comunale.
Al pari di privati investitori, anche la vendita e la trasformazione
di patrimonio pubblico non è finalizzata a nuova residenza o ritorno
alla residenza. Questo è l’aspetto peggiore: consumo di suolo per nuova
residenza e valorizzazione speculativa, turistica e commerciale per il
patrimonio edificato e vuoto.
Su questo la circolare dell’ex Ministro Minniti che imponeva alle
prefetture di stilare una mappatura dei beni immobili pubblici e privati
inutilizzati (da quello demaniale a quello dell’esercito, da quello
delle asl alle scuole abbandonate dei Comuni) al fine di predisporre
l’effettivo “utilizzo e riuso a fini abitativi”.
Se l’intento, in pieno stile prefettizio era quello di garantire “le
tutele alloggiative degli aventi diritto in relazione a ciascuno degli
interventi di sgombero programmati” era da temere e respingere con
fermezza il pericolo di un attacco alle occupazioni come era da ottenere
l’allargamento della platea a tutte le famiglie in disagio abitativo e
sociale.
“Io credo – scriveva Massimo Pasquini, in un comunicato dell’unione
Inquilini – invece che questa circolare denoti come il governo si sia
reso consapevole che esiste un immenso patrimonio immobiliare pubblico e
privato che è inutilizzato…Io credo, altresì, che noi dobbiamo
politicamente e socialmente rovesciare questa impostazione. Dobbiamo
chiedere che questa mappatura si faccia in tempi rapidi, che diventi
patrimonio dei comuni e delle regioni, che gli immobili pubblici e
privati presenti nella mappatura siano utilizzati non limitatamente agli
sgomberi, ma come indirizzo strategico e strutturale con il quale
affrontare l’insieme del fabbisogno abitativo e della precarietà
abitativa.”
L’utilizzo e il riuso a fini abitativi dell’immenso patrimonio
dismesso e inutilizzato è un indirizzo strategico per risolvere il
problema strutturale del diritto all’abitare perché coniuga il ritorno
alla residenza dei centri urbani, la risposta al bisogno casa senza
consumo di suolo, la realizzazione di esperienze anche di auto-recupero
con finanziamenti europei (sono andati in porto tre importanti progetti
di auto-recupero proprio a Firenze), la sperimentazione di piccoli
cantieri anche per combattere il lavaggio di denaro sporco.
Unire la battaglia per il diritto alla casa (alloggio) alla battaglia
per il diritto all’abitare in un contesto urbano sociale e solidale.
Risolvere il disagio e la precarietà abitativa e riconquistare il
diritto alla città sociale quella dove si vive, si lavora, si studia ci
si incontra. La difesa dei centri storici, dei centri urbani, dei
quartieri urbani e delle periferie, della loro identità e storia passa
per questa via come per questa via passa l’arresto al processo di
polverizzazione e decontestualizzazione dove ognuno di noi, ogni
famiglia vive isolata nella propria abitazione e si perde in un
pendolarismo estenuante per qualsiasi altra funzione.
Una grande campagna per il blocco della privatizzazione e vendita del
patrimonio pubblico che ponga al suo centro la sua riconversione per
alloggi, per agevolare occasioni di lavoro (offrire spazi per
sperimentare e avviare attività economiche e sociali) spazi per
l’associazionismo, per attività sociali e del tempo libero. Una
campagna per il diritto all’abitare per arrestare così quel processo
insopportabile che consegna a turismo e benestanti il “centro” e il
“bello”, relegando la residenza dei ceti popolari a un anonima e
spersonalizzata periferia diffusa.
*Responsabile Casa PRC-S.E.
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
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lunedì 2 luglio 2018
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